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  • Giovedì 1 dicembre 2016

Cosa rimane della Libia

Vi ricordate quando se ne parlava su tutte le prime pagine? Un nuovo rapporto ha fatto il punto della situazione, e non sono buone notizie

Bengasi, Libia (ABDULLAH DOMA/AFP/Getty Images)
Bengasi, Libia (ABDULLAH DOMA/AFP/Getty Images)

La scorsa settimana l’International Crisis Group, un’organizzazione non governativa che si occupa di conflitti, ha diffuso un rapporto esteso e particolareggiato sulla situazione in Libia, che da tempo sta attraversando una grave crisi politica. Il rapporto spiega soprattutto come siano cambiate le cose nel corso dell’ultimo anno, da quando cioè è stato firmato un importante accordo a Skhirat, in Marocco, per tentare di stabilizzare la situazione nel paese. Le conclusioni non sono per niente positive.

L’International Crisis Group ha scritto che l’accordo non è stato in grado di risolvere le lotte interne del paese, ma si è limitato a riconfigurarle: «Un anno fa il conflitto era tra i parlamenti rivali e i governi a loro associati; oggi è principalmente tra sostenitori e oppositori dell’accordo». In Libia continua a esserci grande caos, anche per l’intervento di diversi paesi occidentali e arabi. Ecco cosa è successo finora, in ordine, e cosa ci si deve aspettare per il futuro.

Come siamo arrivati fin qui

Nel dicembre 2015 i rappresentanti degli allora due governi rivali della Libia – insediati uno a est e uno a ovest – si incontrarono a Skhirat, una città sulla costa marocchina tra Casablanca e Rabat. L’obiettivo dell’incontro era firmare un accordo sostenuto dall’ONU e dai paesi occidentali che mettesse fine alle lotte interne tra le varie fazioni in Libia. L’accordo si fece, alla fine: si decise tra le altre cose di garantire la sopravvivenza del parlamento insediato nell’est del paese e la creazione di un nuovo governo di unità nazionale, che avrebbe dovuto diventare l’unico organo esecutivo a livello nazionale. A quel tempo c’era parecchio scetticismo attorno all’accordo, ma anche qualche aspettativa. Si pensava che i due governi libici potessero finalmente collaborare per combattere lo Stato Islamico, che nel frattempo era diventata una presenza importante in alcune città della fascia costiera del paese, tra cui Sirte. Si era anche scelto il capo del nuovo governo di unità nazionale: il semi-sconosciuto Fayez al Serraj.

Nel corso degli ultimi undici mesi le cose però non sono andate come sperato. Il parlamento insediato nell’est del paese, nella città di Tobruk, si è rifiutato di riconoscere l’autorità del nuovo governo guidato da Serraj, che a sua volta non è riuscito ad entrare e insediarsi a Tripoli fino al marzo 2016, a causa dell’opposizione di molte milizie. Allo stesso tempo alcuni esponenti del governo e del parlamento di Tripoli – che sembravano avere accettato inizialmente l’autorità di Serraj – hanno tentato un colpo di stato contro il governo di unità nazionale, senza successo. Oggi l’avversario più potente del governo di Serraj è il generale Khalifa Haftar, che controlla ancora buona parte dei territori orientali della Libia e che ha rifiutato più volte l’accordo di Skhirat. Ma soprattutto dal settembre 2016 gli uomini di Haftar controllano le principali infrastrutture petrolifere del paese, che si trovano nella cosiddetta “Mezzaluna del petrolio” tra Sirte e Bengasi. Le hanno conquistate cacciando una milizia che era alleata al governo di Serraj e che a sua volta aveva cacciato i miliziani dello Stato Islamico.

Com’è la Libia oggi
Uno dei momenti più importanti degli ultimi mesi è stato lo scontro per il controllo delle infrastrutture petrolifere, il cui funzionamento è indispensabile per la ripresa dell’economia libica. A settembre per la prima volta le forze legate ai due governi presenti in Libia – quello legato al parlamento orientale e quello di Serraj, insediato a Tripoli – si sono scontrate usando la violenza. Il generale Haftar ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di scendere a patti con il governo di unità nazionale, confermando la sua ambizione a diventare l’uomo più potente del paese. Allo stesso tempo il governo di Serraj ha mostrato la sua incapacità sia a trovare sostegno politico che a creare una forza militare affidabile e leale. Da mesi le milizie di Misurata, alleate di Serraj, stanno combattendo con fatica contro lo Stato Islamico a Sirte, la principale città libica ancora sotto il controllo dell’ISIS. Non tutte queste milizie comunque si sono dette disposte a combattere anche contro Haftar, mettendo il governo di Serraj in una situazione di grande debolezza.

Uno dei problemi della Libia di oggi, ha scritto l’International Crisis Group, è che le potenze esterne coinvolte sono a loro volta molto divise. I paesi europei e gli Stati Uniti appoggiano il governo di unità nazionale di Serraj, ma sono concentrati sui propri interessi. Le priorità per l’Occidente sono sconfiggere lo Stato Islamico e trovare una qualche forma di gestione dei flussi migratori che partono dalle coste libiche. L’idea espressa più volte in passato è seguire in maniera fedele la roadmap stabilita a Skhirat, anche senza l’appoggio del parlamento insediato a Tobruk; in pratica significa scommettere che migliorando la capacità di governo di Serraj si spingeranno i membri del parlamento orientale e il generale Haftar ad accettare l’autorità del governo di unità nazionale. Il guaio è che il piano finora non ha funzionato per niente e non sembra che Haftar sia disposto ad accettarlo in futuro. Inoltre il fronte dei paesi occidentali non è esattamente unito: nelle ultime settimane, per esempio, si è parlato molto dell’ambiguità della Francia, che a parole sostiene Serraj ma nei fatti appoggia anche Haftar. Allo stesso tempo Haftar può contare su alleati importanti: sono l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia, che non vogliono che le milizie islamiste di Tripoli estendano troppo il loro potere.

Il risultato di tutto questo è che la Libia di oggi è in una situazione molto complicata ed è difficile dire se esistano delle soluzioni da applicare nel breve periodo. Le priorità dell’Occidente non sembrano essere del tutto coincidenti con quelle del governo di Serraj, che comunque fatica non poco a trovare sostegno politico e militare e ad affermarsi come principale potere esecutivo della Libia. La presenza dello Stato Islamico ha reso le cose ancora più ingarbugliate e ha evidenziato le divisioni nello schieramento di Serraj. Per non fare precipitare la situazione, ha scritto l’International Crisis Group, ci sarebbero alcune cose da fare: provare a implementare l’accordo di Skhirat senza escludere il parlamento orientale; coinvolgere nei negoziati tutte le più importante milizie armate libiche, senza le quali non è possibile trovare davvero un accordo che porti alla pacificazione del paese; ed evitare ulteriori atti di aggressione, da parte di tutte le forze in campo. Altri esperti hanno opinioni leggermente diverse, come l’analista Mohamed Eljarh, che lavora per il think tank Atlantic Council. Eljarh sostiene che l’ONU e la comunità internazionale dovrebbero abbandonare l’idea che l’accordo di Skhirat sia l’unica via possibile, «quando tutti hanno visto che non funziona»: «C’è mancanza di creatività nelle soluzioni proposte», ha aggiunto Eljarh.