Gli aumenti ai dipendenti pubblici
Governo e sindacati si sono accordati per aumentare in media di 85 euro gli stipendi degli statali e per alcuni altri piccoli interventi
Mercoledì sera poco prima delle 20, e dopo una riunione durata otto ore, il governo e i sindacati hanno raggiunto un accordo su stipendi e contratti dei dipendenti pubblici. La misura più importante è la decisione di spendere 5 miliardi di euro nei prossimi tre anni per aumentare lo stipendio di circa 800 mila dipendenti pubblici di una media di 85 euro mensili. Gli aumenti saranno introdotti nel corso delle rinegoziazioni dei vari contratti nazionali delle singole categorie di lavori pubblici, molti dei quali inizieranno a essere rinnovati nei prossimi mesi.
Quello raggiunto ieri è un accordo che impegna il governo a prendere una serie di misure che dovranno essere introdotte in futuro tramite nuovi provvedimenti e nuovi accordi sindacali. Alcuni dettagli, quindi, non sono ancora chiari. Ieri, per esempio, il ministro Marianna Madia ha detto che «ci sarà maggiore sostegno a chi ha sofferto di più la crisi, non è detto che gli aumenti saranno uguali per tutti». In generale l’accordo soddisfa quasi tutte le richieste dei sindacati, tanto che Repubblica ha scritto oggi: «Le richieste dei sindacati vengono accettate in blocco».
L’accordo impone al governo di impegnarsi affinché l’aumento da 85 euro si sommi al bonus da 80 euro e non finisca per cancellarlo. Circa 200 mila lavoratori potrebbero infatti perdere il diritto di accedere al bonus se dovessero ricevere l’aumento concordato. Tutti gli altri lavoratori dipendenti che non appartengono al settore pubblico, invece, non riceveranno gli 80 euro oppure dovranno restituirli se il loro stipendio supererà la soglia massima che dà diritto al bonus.
Il governo si è anche impegnato a rivedere il rapporto tra “legge” e “contrattazione”. Significa che la regolamentazione di una serie di ambiti, come malattie, congedi, permessi e lotta all’assenteismo, non saranno più regolati da leggi ma dai contratti di lavoro. Le nuove regole saranno quindi il risultato di accordi con i sindacati e non saranno più imposte dall’alto. Si tratta di un ritorno al passato rispetto alla “riforma Brunetta” del 2009, che aveva regolato una serie di materie per legge, sottraendole alla possibilità di trattativa con i sindacati.