Il diario di Arthur Conan Doyle nell’Artico
È stato appena pubblicato e racconta, con parole e disegni, la spedizione di caccia alla balena a cui partecipò a 21 anni l'inventore di Sherlock Holmes
Il 29 novembre la casa editrice Utet ha pubblicato un libro di Arthur Conan Doyle – noto soprattutto per essere l’autore dei romanzi di Sherlock Holmes – finora inedito che si intitola Avventura nell’Artico. Il sottotitolo è Sei mesi della baleniera Hope: il libro è il diario di bordo che Conan Doyle tenne a 21 anni durante una spedizione di caccia alla balena nel Mar Glaciale Artico. Conan Doyle, che all’epoca aveva pubblicato un unico racconto (e non su Sherlock Holmes), era il medico di bordo sulla nave Hope: interruppe i suoi studi di medicina a Edimburgo per imbarcarsi. La Hope salpò da Peterhead, in Scozia, il 28 febbraio 1880, e rientrò nello stesso porto l’11 agosto dello stesso anno. Per Arthur Conan Doyle il viaggio fu una specie di rito di passaggio, anche perché compì 21 anni, cioè la maggiore età, proprio il 22 maggio di quell’anno.
Nel diario, che doveva tenere per via del suo ruolo di medico, Conan Doyle racconta, a parole e con molti disegni, la vita a bordo della nave, le attività di caccia, le sue disavventure (in un solo giorno cadde per ben tre volte nelle gelide acque dell’Artico) e gli animali che vide. Come medico si trovò soprattutto a mettere punti ai marinai che si ferirono durante la spedizione, anche se gli capitò di dover assistere il più anziano membro della ciurma, che morì per una peritonite, senza poter fare granché.
Il diario di bordo di Conan Doyle su quel viaggio è stato pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 2012, dalla British Library, curato da Jon Lellenberg e Daniel Stashower. Utet ne ha realizzato una versione italiana, un’edizione con copertina rigida, che oltre alla traduzione del diario fatta da Davide Sapienza, contiene un inserto in cui si possono osservare 64 tavole a colori che mostrano le fotografie dei taccuini di Conan Doyle. Nella sua recensione su Repubblica lo scrittore Michele Mari ha notato che il diario «rilascia una potente energia melvilliana» – cioè che ricorda Herman Melville, l’autore di Moby Dick – ma anche che «Doyle non sembra aver letto Melville, che non cita mai».