Un processo per decidere cos’è Uber
Lo deciderà la Corte di Giustizia dell'UE, e dalla sentenza dipenderà il futuro europeo della cosiddetta "sharing economy"
Oggi comincia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il massimo tribunale per gli affari europei, che si trova in Lussemburgo, un processo molto atteso e con possibili implicazioni nei 28 paesi dell’UE per quanto riguarda le società della cosiddetta “sharing economy”. La Corte deve decidere se Uber, il servizio di trasporto privato a metà tra il taxi e il noleggio di auto con autista che si usa con un’app del cellulare, sia una compagnia di trasporti o una piattaforma digitale. Le ragioni dietro al processo sono legate alle discussioni, nate in diversi stati europei, sul fatto che Uber debba o no rispettare le rigide regolamentazione richieste ai tassisti, o se invece debba esserne esentata perché solo un intermediario, una piattaforma dove si incontrano i soggetti privati che offrono e chiedono un certo servizio. È un tema di cui si discute da anni e sul quale non si è ancora arrivati a una vera risposta, e che coinvolge anche altre famose società che hanno rivoluzionato un settore economico, da Airbnb a BlablaCar, e che come Uber non offrono direttamente un servizio ma mettono in contatto chi lo cerca con chi lo offre.
Il processo è arrivato alla Corte di Giustizia dell’UE dopo che un sindacato di tassisti di Barcellona aveva fatto causa a Uber nel 2014 per concorrenza sleale: dopo la causa, Uber aveva sospeso le sue attività in Spagna, per poi riprenderle nei mesi successivi ma solo a Madrid. Uber si era difesa proprio sostenendo di essere una semplice piattaforma digitale che mette in contatto gli autisti con i clienti, e non un servizio di trasporti.
Il servizio più criticato di Uber è UberPop (che in diversi paesi si chiama UberX), i cui autisti non hanno una licenza professionale ma sono semplici persone con un’auto che vogliono guadagnare portando in giro per la propria città la gente. UberPop, i cui prezzi sono più bassi rispetto all’Uber “normale”, era stato introdotto anche in Italia, a Milano, ma era stato poi ritirato dopo una sentenza del tribunale di Milano che lo aveva dichiarato illegale. UberPop era stato molto contestato dai tassisti, così come è successo e continua a succedere in diversi paesi europei. In Spagna, in Germania e in Francia i governi sono spesso intervenuti per provare a regolamentare Uber, mentre in altri paesi, come Portogallo e Finlandia, servizi come Uber e Airbnb hanno incontrato più collaborazione. Non è neanche la prima volta che Uber incontra guai legali: due suoi dirigenti sono stati processati in Francia con l’accusa di gestire un’attività di trasporti illegale. Alcuni autisti del servizio sono poi stati aggrediti da tassisti durante una protesta a Parigi.
Oggi Uber opera in oltre 300 città nel mondo e il suo valore è stimato in 69 miliardi di dollari. È una delle start up della Silicon Valley che ha avuto più successo ma la sentenza della Corte Europea, che ci si aspetta non arriverà prima di marzo, potrebbe avere conseguenze notevoli sulle sue attività europee. Nel caso in cui venisse deciso che Uber è un servizio di trasporti, la società dovrebbe accordarsi con ciascuno dei 28 paesi dell’UE (per ora opera in 21 di questi) sulle norme da rispettare nei singoli stati, e iniziare a rispettare le regole sindacali e di sicurezza sul lavoro previste per i tassisti (cosa che in parte già succede in certi stati, per esempio in Italia, dove però la rigidità delle regole ha di fatto arrestato la sua espansione). Se invece la Corte di Giustizia dell’UE deciderà che Uber è una semplice piattaforma digitale, potrebbe essere reintrodotto UberPop in alcuni paesi dove è stato bloccato. C’è poi la possibilità che la sentenza stabilisca che Uber è una combinazione tra un servizio di trasporti e una piattaforma digitale: a quel punto le conseguenze potrebbero essere molte, a seconda dei dettagli della decisione della Corte di Giustizia.
Il destino delle attività europee di Uber è molto importante per la società, soprattutto perché lo scorso agosto ha venduto alla società rivale Didi Chuxing le sue attività in Cina, dopo una lunga battaglia concorrenziale. E la sentenza potrebbe influenzare anche l’approccio dei paesi verso le altre start up simili a Uber, dai rivali come Lyft ad Airbnb, che a sua volta è stato molto contestato dalle associazioni di albergatori, e che in certi posti si è provato a regolamentare. Debbie Wosskow, presidente dell’organizzazione Sharing Economy UK, ha spiegato al Financial Times: «Ovviamente ci sono implicazioni per altre piattaforme di sharing economy, che siano consegne a domicilio in bicicletta, servizi di pulizia o di montaggio di mobili Ikea. L’Europa è un mercato incredibilmente importante per tutte le società, e la sentenza potrebbe rappresentare una grande sfida per loro».