Lo Zimbabwe ha una nuova moneta (circa)
A forza di stampare soldi, la precedente non vale nulla, e dollari non se ne trovano: è l'ultimo tentativo del presidente Mugabe per risolvere la crisi
Lunedì la Banca centrale dello Zimbabwe ha introdotto una specie di nuova moneta – le cosiddette “note obbligazionarie” – con la quale il governo spera di risolvere la grave crisi di liquidità che ha colpito il paese: le note obbligazionarie (in inglese “bond notes”) sono una sorta di mini-titoli di stato, anche di piccolissimo valore. L’ultima mossa della Banca centrale sembra essere un tentativo disperato di far circolare nuova moneta, visto che di dollari ormai ce ne sono sempre meno, ma potrebbe avere esiti fallimentari. Diversi giornali internazionali hanno definito l’introduzione delle note obbligazionarie “l’ultima scommessa” del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, dopo la precedente decisione di smettere di stampare moneta locale.
La Banca centrale dello Zimbabwe ha annunciato l’emissione delle note obbligazionarie lo scorso maggio, per affrontare la riduzione dei dollari in circolazione, un problema che esiste da tempo. La decisione ha provocato forti reazioni e conseguenze: per esempio moltissime persone hanno svuotato i loro conti correnti in dollari, per paura di un aggravamento della crisi. Lo scetticismo generale dipende da quanto è successo nel 2008: a forza di stampare soldi l’ultima valuta locale dello Zimbabwe aveva raggiunto un valore così basso che la banconota più grossa in circolazione, quella da 10mila miliardi, non era sufficiente per comprare un biglietto dell’autobus. Il governo aveva deciso così di smettere di stamparla e sostituirla per le sue transazioni con il dollaro americano e altre valute estere come lo yuan. Quell’anno si sono tenute anche diverse manifestazioni contro Mugabe, le più grandi dell’ultimo decennio: e solo nell’ultimo mese le autorità hanno arrestato decine di persone che stavano pianificando altre proteste contro il governo, tra cui Patson Dzamara, un importante oppositore di Mugabe che sembra sia stato picchiato.
Gli scontri tra manifestanti e polizia ad Harare, nell’agosto 2016 (WILFRED KAJESE/AFP/Getty Images)
L’iperinflazione nello Zimbabwe cominciò nei tardi anni Novanta, quando Mugabe ordinò il sequestro di tutta la terra in mano agli ex-coloni bianchi e la sua redistribuzione. Il processo però non funzionò e la produzione agricola del paese cominciò a crollare. Negli anni successivi una serie di cattive scelte economiche peggiorarono ulteriormente la situazione: le esportazioni crollarono mentre Mugabe portò più volte il paese in guerra, costringendo il governo ad aumentare le spese militari. La Banca centrale del paese cominciò a finanziare le necessità economiche del governo stampando tantissimo denaro e la popolazione smise rapidamente di credere nella capacità della moneta locale di mantenere il suo valore. Il governo dichiarò illegale l’inflazione e arrestò molte persone accusate di aver alzato i prezzi: ma queste misure, come molte altre volte nella storia, non produssero effetti rilevanti.
La crisi non è mai stata risolta nel tempo, a causa soprattutto del governo corrotto e inefficiente da un lato e la sfiducia della popolazione dall’altro. L’ultimo tentativo della Banca centrale di risollevare la situazione – quello delle note obbligazionarie – è arrivato in un momento molto difficile per lo Zimbabwe. Quest’anno diverse zone del paese sono state colpite da una gravissima siccità che ha indotto il governo a dichiarare lo stato di calamità in molte aree rurali. Nonostante le molte crisi, Mugabe – che ha 92 anni ed è il più anziano capo di stato al mondo – non sembra avere alcuna intenzione di lasciare il suo posto da presidente.