Cosa succede adesso a Cuba?
Il giudizio su Fidel Castro dividerà gli abitanti a lungo, ma su una cosa sono tutti d'accordo: comincia una fase nuova, affascinante e complessa
La tarda sera del 25 novembre Raúl Castro, attuale presidente di Cuba, ha annunciato la morte del fratello Fidel, l’uomo che aveva governato i cubani e il loro paese per più di mezzo secolo. Le reazioni sono state molto diverse nel paese: a seconda dell’età ma non solo. Per quelli che lo amavano Castro era il più grande; per quelli che lo odiavano, non c’era nessuno che fosse peggio di lui. Al di là di ogni giudizio, Fidel Castro esercitava ancora una grande influenza sulla vita politica del paese: dopo la sua morte in molti si chiedono che cosa effettivamente succederà a Cuba.
Nel 2006 Castro lasciò per la prima volta l’incarico di presidente al fratello Raúl, che è ora al suo secondo mandato e che è considerato uno dei principali artefici del riavvicinamento tra Cuba e gli Stati Uniti, e delle riforme degli ultimi tempi verso lo sviluppo di un’economia di mercato. Per alcuni le liberalizzazioni volute da Raúl Castro avevano il solo scopo di risollevare l’economia cubana in difficoltà, senza indebolire le strutture tradizionali del potere statale. La morte di Fidel avrà dunque un impatto emotivo, anche politico, ma non avrà alcun impatto sostanziale sul modo in cui il paese è di fatto governato. Per altri le riforme degli ultimi anni sono state invece il primo passo verso un cambiamento reale, verso cioè lo smantellamento del sistema comunista che la morte di Fidel potrà accelerare.
«Dal suo ritiro nella periferia de L’Avana, Fidel ha trascorso l’ultimo decennio ad agire come un freno alle riforme», scrive ad esempio l’Economist. I cubani, scrisse ancora qualche mese fa Jon Lee Anderson, un giornalista del New Yorker esperto di Cuba e del Sud America, dicevano che sarebbe bastata una sola parola di Fidel per fermare tutto e riportare indietro il paese di vent’anni. L’ultimo congresso del Partito comunista cubano dello scorso aprile, il VII, mostrò in effetti come le resistenze al cambiamento fossero ancora molto forti e come Fidel Castro ne fosse in qualche modo responsabile.
Nel suo discorso Fidel fece capire che presto sarebbe morto e mise in chiaro che «le idee del comunismo cubano» sarebbero rimaste. In una lettera scritta dopo la storica visita di Barack Obama a Cuba disse che al suo paese «non serviva nulla di quello che arriva dall’Impero» e sempre al congresso, quando molti si aspettavano un cambio ai vertici del partito, vennero riconfermati quasi tutti i membri della “vecchia guardia”, coloro cioè che avevano partecipato alle prime fasi del nuovo governo rivoluzionario e che consideravano Fidel Castro come l’ultimo baluardo contro le aperture compiute da Raúl. Per chi pensa che Raúl fosse frenato dal fratello, la morte di Fidel rappresenta dunque l’eliminazione del più grande ostacolo alla trasformazione.
Raúl Castro, comunque, ha anche lui una certa età: ha compiuto 85 anni, ha detto che si dimetterà da presidente nel 2018 e la persona a lui più vicina è Miguel Díaz-Canel, ex ministro dell’Istruzione, che molti indicano come suo successore, e che potrebbe diventare il primo leader cubano a non aver fatto parte della rivoluzione che rovesciò il precedente regime di Batista. Non è chiaro comunque quale e quanto importante sarà il ruolo delle forze armate nella transizione né se Cuba, come vorrebbe Raúl Castro, rimarrà uno stato a partito unico anche se ha cominciato a muoversi verso un’economia di mercato, un po’ come la Cina.
Tutti gli osservatori sono d’accordo soprattutto nel giudizio su questa transizione molto complicata: le riforme adottate per migliorare le pessime condizioni economiche del paese sono in fase di stallo da due anni e Fidel è morto in un momento di grande incertezza. Il rapido collasso economico del Venezuela ha peggiorato le cose, mettendo a rischio gli enormi sussidi che hanno mantenuto il paese a galla negli ultimi dieci anni. L’economia del paese è cresciuta solo dell’1 per cento nel primo semestre di quest’anno e accelerare le riforme sarebbe necessario. Il problema è che all’interno del Partito Comunista, al di là di quello che sembra aver dimostrato Raúl Castro finora, non si è creato un vero e proprio ceto dirigente favorevole o in grado di accompagnare i cambiamenti.
L’altra cosa da cui dipenderà il futuro di Cuba è la presidenza di Donald Trump negli Stati Uniti. Raúl Castro ha risposto alla vittoria di Trump dichiarando cinque giorni di esercitazioni militari; Trump durante la campagna elettorale ha detto su Cuba qualsiasi cosa: all’inizio delle primarie si è detto favorevole alla normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, poi ha detto di essere contrario all’accordo ma che ormai era troppo tardi per cambiarlo, poi ha detto che è un accordo sbagliato e che fa male agli Stati Uniti. Infine, parlando a Miami, ha detto che tutte le concessioni di Obama al regime dei Castro erano state fatte attraverso degli ordini esecutivi e che lui avrebbe potuto facilmente annullarle. Il comunicato che ha diffuso dopo la morte di Castro è durissimo e ha toni molto diversi da quello diffuso dalla Casa Bianca. Lunedì 28 novembre, infine, ha parlato ancora di Cuba con un tweet in cui dice che se Cuba non accetterà di rinegoziare i nuovi accordi con gli Stati Uniti, lui li cancellerà tutti. Resta da vedere che cosa farà davvero.