Il modo migliore per cucinare un tacchino

Trucchi culinari per americani, da giorno del Ringraziamento: un po' truci ma validi anche qui, per chi volesse cimentarsi

di Rachel Feltman e Sarah Kaplan – The Washington Post

(AP Photo/Larry Crowe)
(AP Photo/Larry Crowe)

Esistono diversi modi per cucinare un tacchino, ma negli ultimi anni una tecnica in particolare ha visto la sua popolarità aumentare in modo vertiginoso. Se non la conoscete già, preparatevi a essere piacevolmente sorpresi. La vostra vita sta per cambiare per sempre, e tutto per merito della fisica. Lettori, vi presentiamo lo spatchcocking.

#spatchcock the second coming #food #cooking

Una foto pubblicata da Rachel Feltman (@rafeltman) in data:

Il meraviglioso tacchino aperto a ventaglio che vedete qui sopra è il migliore pennuto che possiate presentare ai vostri ospiti il Giorno del Ringraziamento. Partiamo però dalla scienza che sta dietro il metodo per preparare questa squisitezza.

I tacchini sono talmente paffuti e rotondi che in sostanza si possono considerare delle sfere di carne cruda (e spesso leggermente surgelata) pronti da infilare nel forno. Hanno però una forma poco pratica da cucinare, perché il calore deve fare il tragitto più lungo per arrivare dalla sua fonte al centro della carne. Bisogna far sì che la carne nel mezzo si cuocia a puntino – o perlomeno che non rischi di trasmettervi la salmonella – senza far bruciare la pelle croccante del tacchino, e si deve fare in modo che la carne che sta più vicina alle pareti del forno che emanano il calore non cuocia troppo diventando secca e stopposa.

Modificando la forma del tacchino, tuttavia, si può cambiare anche il processo termodinamico. Lo spatchcocking inizia estraendo la colonna vertebrale del tacchino per ottenere un volatile relativamente sottile e piatto, una forma di gran lunga migliore per una cottura efficiente rispetto a una grossa sfera. L’anno scorso lo scienziato alimentare J. Kenji López-Alt ha spiegato perché questa è la forma ideale, in un articolo su Digg: «Innanzitutto la pelle viene esposta alla zona più calda del forno per tutta la cottura», ha scritto, «e poi c’è molto spazio per permettere ai grassi fusi di sgocciolare sulla teglia, cosa che rende la pelle più sottile e croccante. Infine, lo sgocciolamento dei grassi distribuisce l’energia termica sulla carne durante la cottura, contribuendo a cuocerla in maniera più uniforme e creando uno strato che impedisce alla carne di seccarsi».

Per la battitura della carne ci sono i consigli degli esperti della sezione food del Washington Post. Ma non fatevi intimidire: siamo riuscite nell’impresa diverse volte usando solo un paio di forbici da cucina, un decente coltello seghettato e un po’ di sangue freddo (come si vede nel video qui sopra). A volte Rachel ha avuto bisogno di saltellare per raccogliere la forza sufficiente a rompere le ossa del tacchino, ma c’è da dire che lei ha i polsi delicati. Sarah invece è riuscita a eseguire lo spatchcock nonostante sia vegetariana. Fidatevi: se ce l’abbiamo fatta noi, può riuscirci chiunque.

Una volta portato a termine il macabro compito, inizia la magia. Se siete il tipo di persone a cui piace la farcitura, infilatela sotto il tacchino. Dopodiché mettete il volatile appiattito nel forno a 230 gradi per 80 minuti. Esatto, solo 80 minuti. Oltre alla cottura velocissima, il metodo dello spatchcocking sottopone una porzione più ampia della pelle del tacchino alla reazione di Maillard, una deliziosa interazione tra zuccheri e aminoacidi che si innesca in un ambiente caldo e secco e rende la carne saporita. Con lo spatchcocking è minore la porzione del tacchino immersa nei liquidi sgocciolati, che impediscono la deliziosa reazione chimica. Con una cottura ad alta temperatura ma rapida – possibile solo grazie alla sottigliezza del tacchino – si ottengono i benefici della reazione di Maillard senza cuocere troppo la carne e farla seccare a causa dell’alta temperatura del forno. In definitiva, ne guadagnano tutti; tranne il tacchino, che in effetti viene parecchio maltrattato: a dirla tutta, però, era già morto.

© 2016 – The Washington Post