Facebook sperimenta un sistema per censurare i post in Cina
Gli consentirebbe di rispettare le limitazioni imposte dal governo e non rinunciare al grande mercato cinese, dice il New York Times
Facebook ha realizzato un sistema per rendere invisibili alcuni post nella sezione Notizie (“Newsfeed”) degli utenti che si collegano da specifiche aree geografiche, una soluzione che gli potrebbe consentire di migliorare i rapporti con i governi che impongono censure online. La notizia non è ufficiale, ma il New York Times ha ottenuto diverse informazioni in merito da alcuni ex impiegati di Facebook, alcuni dei quali hanno collaborato al progetto. Il nuovo strumento è stato pensato soprattutto per la Cina, dove il governo controlla rigidamente Internet imponendo censure su molti contenuti e rendendo inaccessibili ai suoi cittadini molti siti occidentali, Facebook compreso.
Mark Zuckerberg, il CEO di Facebook, non ha mai nascosto di essere molto interessato al mercato cinese per espandere il numero di iscritti al suo social network. La Cina potrebbe offrire diverse centinaia di milioni di nuovi utenti, ma per poterli raggiungere Facebook dovrebbe prima offrire al governo cinese sufficienti garanzie circa le sue capacità di censurare i contenuti, rispettando le leggi molto severe del paese. Zuckerberg ha difeso questa possibilità la scorsa estate, durante uno dei periodici incontri che organizza per rispondere direttamente alle domande dei suoi impiegati. Secondo le fonti del New York Times, avrebbe spiegato che: “Per Facebook è meglio essere parte della conversazione, anche se non si tratta ancora di una conversazione completa”.
Il software per rendere invisibili i contenuti è stato sperimentato internamente dagli sviluppatori di Facebook, ma per ora non è stato impiegato su nessuna versione del social network e non si può escludere che non lo sia mai. Il social network sperimenta spesso nuovi sistemi, algoritmi e filtri per la sua sezione Notizie che vengono poi abbandonati, senza essere messi a disposizione degli utenti. Il fatto che comunque siano state spese risorse per realizzarlo è indicativo del ruolo che Facebook sta assumendo nella gestione e nella selezione dei contenuti, tema tornato di grande attualità con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, secondo alcuni condizionata proprio dai social network e dalla facilità con cui hanno contribuito a diffondere notizie false che avrebbero sfavorito Hillary Clinton.
Facebook ha del resto tenuto sotto controllo la diffusione di specifici contenuti già in passato, per esempio in Pakistan, in Turchia e in Russia, accettando le richieste dei governi per censurare informazioni di vario tipo, pena la sospensione dell’accesso al social network nei loro confini. Come altre grandi aziende di Internet, Facebook ha un sito dove rende pubblici i conteggi delle richieste ricevute dai governi per eliminare determinati contenuti: tra luglio 2015 e dicembre 2015 ne ha bloccati o rimossi, a seconda dei casi, circa 55mila. La rimozione non riguarda sempre atti di censura e in alcuni casi si deve alla tutela della privacy degli utenti o deriva da necessità di sicurezza nazionale.
Secondo il New York Times, Facebook non intende comunque occuparsi direttamente della soppressione dei post attraverso il suo nuovo software sperimentale: il compito sarebbe affidato a un’altra azienda od organizzazione incaricata di monitorare i contenuti più condivisi dagli utenti e di intervenire nel caso in cui ce ne siano di non consentiti o sottoposti a censura, in modo da oscurarli. Alcuni impiegati che erano stati assegnati al progetto nei mesi scorsi avevano espresso il loro scetticismo e le loro preoccupazioni sul nuovo strumento, al punto da decidere di dimettersi.
Le grandi aziende di Internet finora non hanno avuto molta fortuna in Cina proprio a causa delle limitazioni e delle censure imposte dal governo. Nel 2010 Google ha sostanzialmente rinunciato alla sua presenza nel paese, dirottando il traffico della versione cinese del suo motore di ricerca verso quella di Hong Kong, proprio per sfuggire in parte alle censure e ai numerosi e sospetti attacchi informatici che aveva subito nei suoi anni di permanenza in Cina. Altre aziende hanno invece deciso di rimanere accettando di limitare la diffusione di alcuni contenuti, come ha fatto per esempio LinkedIn.
Chi non accetta le restrizioni imposte dal governo finisce nella sterminata lista di siti censurati, resi sostanzialmente inaccessibili attraverso i fornitori di connessioni a Internet in Cina. Per accedere a Facebook, Twitter, YouTube e ad altri siti occidentali, un cittadino cinese deve utilizzare sistemi come le VPN (virtual private network), che consentono di eludere i blocchi governativi facendo credere al sistema di trovarsi in un’area geografica diversa dalla Cina. È una soluzione che per molti risulta macchinosa e che comunque non garantisce sempre di riuscire a collegarsi a tutti i siti. Inoltre, se per qualche motivo si è già oggetto di particolari attenzioni da parte delle autorità (se per esempio si è attivisti), si rischiano sanzioni di diverso tipo per avere violato le limitazioni imposte dal governo.
Il governo cinese non è comunque contrario in assoluto alla possibilità di aprire gli accessi a Facebook, a patto che segua regole specifiche e accetti di censurare alcuni contenuti. Un accordo con il più grande social network al mondo sarebbe un importante precedente per la Cina, un modello da usare come esempio con le altre aziende interessate a entrare nel mercato online cinese. Notizie su contatti tra Facebook e governo della Cina erano già circolate negli anni passati, ma le trattative si erano sostanzialmente arenate proprio sul tema del controllo dei contenuti. Il nuovo software per nasconderli potrebbe riaprire il confronto, ma esporrebbe Facebook a nuove critiche soprattutto in occidente sulla tutela della libertà di espressione dei suoi utenti.