L’ISIS ha usato armi chimiche in Siria e Iraq
Dal 2014 ad oggi ha compiuto almeno 52 attacchi usando in maniera rudimentale il cloro e il gas mostarda, dice un rapporto di una società di analisi londinese
Lo Stato Islamico (o ISIS) ha usato armi chimiche in Iraq e in Siria, anche se in maniera “rudimentale”. Un nuovo rapporto dell’IHS Conflict Monitor, una società di analisi e consulenza con sede a Londra, ha rilevato l’uso di sostanze come il cloro e l’iprite (detta anche “gas mostarda” per il suo odore) in almeno 52 attacchi compiuti dal 2014 ad oggi, per buona parte nella zona di Mosul, in Iraq. L’IHS Conflict Monitor ha usato per la sua analisi notizie riportate da giornali e televisioni locali, dai social media e dal materiale di propaganda diffuso dallo Stato Islamico. Il rapporto verrà pubblicato martedì, ma il New York Times lo ha già ottenuto e ne ha anticipato i contenuti in un articolo scritto dal giornalista Eric Schmitt, che si occupa spesso di questioni legate alla sicurezza e al Medio Oriente.
Le conclusioni dell’IHS Conflict Monitor non sono sorprendenti e già in passato si era parlato dell’uso di armi chimiche da parte dello Stato Islamico, anche se a farlo erano stati per lo più singoli governi. All’inizio del 2015, per esempio, gli Stati Uniti avevano detto che era stato rilevato del gas mostarda su frammenti di armi usate in attacchi compiuti dallo Stato Islamico in Iraq e in Siria. Alcuni test di laboratorio effettuati sui vestiti delle persone colpite da questi attacchi avevano inoltre mostrato la presenza di tracce di iprite, che è una sostanza vietata dalle norme internazionali e che provoca ustioni alla pelle, alle vie respiratorie e agli occhi. Gli attacchi sono stati compiuti usando diversi vettori a cui ha avuto accesso nel tempo lo Stato Islamico, tra cui differenti tipi di razzi e proiettili riadattati per trasportare agenti chimici.
Non è chiaro dove lo Stato Islamico abbia recuperato il gas mostarda, anche perché le armi scoperte finora non sono compatibili con quelle appartenenti al programma chimico sviluppato dal regime dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, destituito da un intervento militare americano nel 2003. Una delle teorie più accreditate sostiene che lo Stato Islamico produca il gas autonomamente; un’altra sostiene invece che arrivi dalla Siria e faccia parte di quelle riserve di agenti chimici che il regime di Assad non ha dichiarato durante lo smantellamento del programma chimico, avvenuto negli anni scorsi. Per quanto riguarda il cloro invece è un discorso diverso. È una sostanza disponibile in commercio ed è più diffusa rispetto all’iprite: per decenni in Iraq è stato usato con una certa frequenza da diversi gruppi di miliziani sunniti.
Columb Strack, analista e capo di IHS Conflict Monitor, ha detto al New York Times che per molto tempo il centro della produzione delle armi chimiche dello Stato Islamico è stato Mosul, in Iraq. È possibile che il gruppo abbia però trasferito in Siria attrezzature ed esperti di armi chimiche nelle settimane precedenti l’inizio delle operazioni militari della coalizione anti-ISIS per la riconquista della città. Secondo Strack, c’è anche il rischio che lo Stato Islamico cominci a usare con più frequenza le armi chimiche proprio nella battaglia di Mosul, come mezzo per rallentare l’avanzata delle forze nemiche, oltre che per demoralizzare i dissidenti che agiscono all’interno della città.
Lo Stato Islamico non è l’unica forza che usa armi chimiche in Siria. Il regime del presidente siriano Bashar al Assad ha fatto uso di sostanze chimiche molto più sofisticate di quelle impiegate dallo Stato Islamico: negli ultimi due anni, ha concluso un’indagine svolta dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), il regime di Assad ha sganciato sui civili bombe contenenti del cloro in almeno due occasioni.