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  • Domenica 20 novembre 2016

La Cina fa i conti con i soldati morti

L'ambiziosa politica estera del presidente Xi Jinping sta cambiando l'esercito cinese e il modo in cui viene impiegato, ma ha un costo a cui la popolazione forse non era pronta

Un soldato cinese a Juba, il 4 ottobre 2016 (ALBERT GONZALEZ FARRAN/AFP/Getty Images)
Un soldato cinese a Juba, il 4 ottobre 2016 (ALBERT GONZALEZ FARRAN/AFP/Getty Images)

All’inizio di luglio il caporale Li Lei e il sergente Yang Shupeng, entrambi cinesi, sono stati uccisi a Juba, in Sud Sudan, durante una missione di peacekeeping organizzata dall’ONU. Il loro veicolo blindato è stato colpito da una granata mentre si dirigeva verso un campo profughi poco distante. Qualche settimana prima un ingegnere militare cinese era stato ucciso a Gao, in Mali, sempre nell’ambito di una missione di peacekeeping dell’ONU. In Cina queste morti sono state accolte con grande stupore e disorientamento: è stata la prima volta che dei soldati cinesi venivano uccisi in un paese straniero dai tempi degli scontri di confine successivi alla guerra con il Vietnam, nel 1979. È stata anche la prima volta che la leadership cinese si è trovata ad affrontare direttamente le conseguenze della nuova politica estera voluta dal presidente cinese Xi Jinping, che prevede una maggiore presenza dei soldati cinesi fuori dai confini nazionale e che mira a fare della Cina una grande potenza mondiale, anche dal punto di vista militare.

Delle morti in Sud Sudan e delle loro conseguenze si sono occupati due giornalisti del Wall Street Journal in un articolo con un titolo eloquente: «La Cina scopre il prezzo del potere globale: i soldati che ritornano nelle bare». Il Wall Street Journal ha descritto così il modo in cui è stata accolta la notizia dell’attacco a Juba e della conseguente morte del caporale Li:

«Quando la televisione di stato ha trasmesso le immagini della fanteria cinese sotto attacco a Juba, e i tentativi di salvare i commilitoni feriti, molti telespettatori sono rimasti sconvolti. Poche persone in Cina avevano capito i rischi dell’operazione, inclusa la famiglia del caporale Li, che vive a Fuxing, un tranquillo paesino dell’altopiano tibetano dove si coltivano i kiwi. […] Il dolore è stato amplificato dalla giovinezza di Li e dalla sua devozione verso la famiglia. Nato sotto la politica cinese del figlio unico, Li era cresciuto senza fratelli e sorelle e a 13 anni aveva perso il padre per cancro.»

JubaL’immagine di un video trasmesso dalla televisione cinese mostra un soldato cinese ferito in Sud Sudan, l’11 luglio 2016 (CCTV via AP Video)

In termini assoluti, era già successo che dei peacekeeper cinesi morissero durante una missione all’estero. La Cina cominciò a partecipare a missioni internazionali di peacekeeping nel 1990, quando alla presidenza del paese c’era Yang Shangkun. Fino a tempi recenti, comunque, il governo cinese si era limitato a mandare in missione personale specializzato – poliziotti, ingegneri e medici, soprattutto – e mai truppe di combattimento; le morti avvenivano quasi sempre per malattia, incidenti o disastri naturali. Il cambiamento è avvenuto con la presidenza di Xi Jinping, iniziata nel 2013, durante la quale la Cina ha accelerato la sua trasformazione da paese isolazionista e continentale a potenza globale marittima. Per esempio ha cominciato a costruire il suo primo avamposto militare all’estero, a Gibuti, che sarà completato nel 2017. La costruzione di avamposti militari in altri paesi è considerata una delle priorità della politica estera del presidente Xi ed è un processo che secondo diversi osservatori non si fermerà con la base a Gibuti: alcuni funzionari americani pensano che nel giro dei prossimi anni la Cina costruirà diversi altri avamposti per tutelare i suoi interessi nazionali all’estero.

Xi ha cercato di mostrarsi un forte leader militare già dal suo primo anno di presidenza. Oltre alla costruzione dell’avamposto a Gibuti, Xi ha riformato profondamente l’Esercito di liberazione popolare (Elp), tradizionalmente poco incline a subire un eccessivo controllo del potere civile. Tra le altre cose, Xi ha introdotto una struttura di comando simile a quella dell’esercito statunitense, in cui i comandanti che fanno riferimento alle diverse aree regionali sono responsabili dell’insieme delle forze aeree, navali e di terra del proprio territorio di competenza. L’obiettivo di questa e di altre riforme è stato superare i molti problemi di coordinamento tra i diversi rami dell’esercito e rendere la struttura dell’Elp, risalente agli anni Cinquanta, adatta ad affrontare una guerra moderna che impiega alti livelli di tecnologia.

Non è chiaro quanto consenso ci sia attorno alle proposte del presidente Xi. In Cina non sono sostanzialmente permessi né il dissenso politico né organi di informazioni critici nei confronti del governo e del Partito comunista. È difficile anche capire se ci siano posizioni divergenti nel partito su una determinata proposta. Il Wall Street Journal, che solitamente è ben informato sulle questioni cinesi, ha scritto che sulla nuova politica estera nazionale qualche divisione c’è. La posizione prevalente all’interno del ministero degli Esteri sostiene che la Cina dovrebbe espandere rapidamente le proprie attività di peacekeeping, uno strumento da usare per imporsi a livello internazionale. Un diplomatico occidentale citato dal Wall Street Journal ha sintetizzato così l’idea che starebbe alla base di un’espansione dell’attività militare cinese all’estero: «Loro [i cinesi] si stanno rendendo conto rapidamente che non si può essere una potenza commerciale senza essere in qualche forma una potenza imperiale».

Sembra però che diversi comandanti militari si vogliano muovere con molta più prudenza, consapevoli della mancanza di esperienza delle loro truppe (due settimane fa si è parlato per esempio di un grosso scandalo, quando l’ONU ha diffuso un rapporto in cui denunciava tra gli altri anche i peacekeeper cinesi per non essere intervenuti durante le terribili violenze di metà luglio in Sud Sudan, quando furono uccisi molti civili e operatori umanitari). Inoltre c’è da considerare che molti dei soldati che fanno parte oggi dell’esercito cinese sono nati dagli anni Novanta in poi: hanno conosciuto praticamente solo la prosperità e hanno trovato nuovi spiragli di critica del potere attraverso i social media.

Funerale CinaIl funerale dei due peacekeeper cinesi uccisi in Sud Sudan, che si è tenuto a Xuchang, nella provincia cinese di Henan, il 21 luglio 2016 (VCG/Getty Images)

Nonostante le morti dei due peacekeeper cinesi a Juba, l’intenzione di Xi è proseguire in una politica estera più aggressiva, che non si limiti solo a concludere accordi commerciali favorevoli come invece succedeva frequentemente negli anni passati. Intanto il corpo del caporale Li è stato riportato in Cina dentro a una bara avvolta da una bandiera cinese. È stato ricevuto dalla guardia d’onore ed è stato trasportato per le strade di Xuchang (provincia di Henan) alla presenza di 200mila persone. La cerimonia è anche stata trasmessa dalla televisione statale. Il corpo del caporale Li è stato cremato e trasportato in un cimitero per i martiri della rivoluzione, riservato prevalentemente a coloro che parteciparono alla guerra civile cinese e che reagirono all’occupazione giapponese.