Perché gli chef famosi sono quasi tutti uomini?
C'entrano ragioni storiche – la cucina è una "cosa da donne" solo in casa – ma anche gli orari di lavoro e un bel po' di pregiudizi: sia tra i colleghi che tra i clienti
Quasi tutti gli chef più famosi del mondo sono uomini. Sono uomini gli chef che conducono MasterChef, uno dei programmi televisivi di cucina più famosi, ed è un uomo Massimo Bottura, lo chef dell’Osteria Francescana di Modena, attualmente considerata il miglior ristorante al mondo nella classifica “The World’s 50 Best Restaurants”. Di questa lista, un unico ristorante ha per chef una donna: il ventunesimo, cioè il ristorante Arzak di San Sebastián, in Spagna, gestito da Elena Arzak Espina, che però lavora al fianco del padre, lo chef Juan Mari Arzak. La rivista Restaurant, che ogni anno realizza la classifica dei 50 migliori ristoranti, ha anche istituito a parte il premio di miglior chef donna (per il 2016 assegnato a Dominique Crenn del ristorante Atelier Crenn and Petit Crenn di San Francisco) che sembra davvero pensato come una specie di quota rosa. Nei popolari documentari sugli chef prodotti da Netflix, Chef’s Table, per ognuna delle quattro stagioni realizzate finora ci sono solo una o due (nella seconda stagione) chef donne.
C’è anche una questione di numeri, che riguarda tutti gli chef e non solo i più famosi. Le donne chef non solo sembrano poco famose e riconosciute rispetto ai colleghi uomini, ma sono anche meno. Nel Regno Unito, secondo le statistiche dell’Office of National Statistics, nel 2015 solo il 18,5 per cento dei cuochi professionisti era una donna; mentre il numero assoluto degli chef è in aumento (rispetto al 2014 sono 21mila in più), la percentuale di chef donne è in calo e così anche il loro numero assoluto.
Ovviamente non c’è nessuna ragione scientifica per cui le donne dovrebbero essere meno capaci a cucinare rispetto agli uomini. Lo stesso vale per altri mestieri e abilità tecniche e artistiche, dalla scrittura alla recitazione, dalla fotografia alla politica, ma il fatto che ci siano molti più uomini che donne che fanno gli chef sembra più strano, considerando che per secoli la preparazione del cibo è stata un’attività femminile e spesso continua a esserlo all’interno delle case.
La prima persona a ottenere tre stelle Michelin – il massimo riconoscimento assegnato a un ristorante nelle Guide Michelin, ritenute le più autorevoli del settore in tutto il mondo – in due diversi ristoranti (per un totale di sei) fu una donna: la chef francese Eugénie Brazier (1895-1977), i cui ristoranti erano a Lione e a Pollionnay, una cittadina vicina a Lione. Dopo di lei solo altri quattro chef sono riusciti a ottenere sei stelle Michelin e sono tutti uomini: Alain Ducasse, Marc Veyrat, Thomas Keller e Joël Robuchon. Solo altri tre ristoranti gestiti da donne hanno ricevuto tre stelle Michelin: Marie Bourgeois (più nota come “la mère Bourgeois”) che le ebbe dal 1933 al 1937, Marguerite Bise nel 1951, e Anne-Sophie Pic dal 2007 in poi. Il primato di Brazier è anche una notevole eccezione. Anche in tv, nonostante lo chef più famoso di tutti sia Gordon Ramsay, sempre un uomo, ci sono e ci sono state chef donne. Il primo chef televisivo è stata probabilmente l’americana Julia Child, la cui vita è raccontata nel film del 2009 Julie & Julia con Meryl Streep. E almeno negli Stati Uniti, è molto famosa Lidia Bastianich, che oltre a essere stata la conduttrice di Junior MasterChef Italia per una stagione ed essere la madre di Joe Bastianich (uno dei giudici di MasterChef, sebbene non sia un cuoco), è una chef e insieme ai figli possiede sei ristoranti. Nonostante queste eccezioni, anche chi conosce molti nomi di chef famosi fa fatica a dirne uno che sia di una donna.
Una foto di gruppo degli chef di alcuni capi di stato a Berlino. L’unica donna del gruppo è Cristeta Comerford, chef della Casa Bianca, la prima donna ad ricoprire questo incarico, dal 2005. Nella seconda fila, in fondo a destra, ci sono i due chef del Quirinale: Claudio Giuntoli e Federico Iori (Andreas Rentz/Getty Images)
A sentire l’opinione degli esperti del settore, c’è una concomitanza di cause. Prima di tutto c’è una ragione storica: anche se nelle cucine delle case hanno sempre lavorato le donne, in quelle dei ristoranti ci sono sempre stati soprattutto uomini. Lo stesso sistema gerarchico in vigore nei grandi ristoranti – definito alla fine dell’Ottocento dallo chef e scrittore di testi di cucina Auguste Escoffier – si basa sui gradi dell’esercito, tutti declinati al maschile: l’insieme delle persone che lavorano sotto lo chef (che in francese significa “capo”) sono chiamate brigata di cucina. Nel sistema della brigata di cucina gli chef non sono considerati solo cuochi, ma anche direttori, uomini d’affari, e dunque per definizione non donne storicamente. Per molti anni è stato difficile per le donne entrare nelle brigate di cucina: cucinavano a casa ed erano chiamate cuoche, mentre gli uomini cucinavano nei ristoranti ed erano chiamati chef.
Oggi le cucine dei ristoranti sono più aperte alle donne che in passato, però ci sono ancora dei pregiudizi nei loro confronti. Molti uomini del settore pensano che le donne non siano fisicamente ed emotivamente forti abbastanza per lavorare nelle cucine dei grandi ristoranti, considerati ambienti di lavoro molto stressanti. Anche i clienti dei ristoranti hanno a volte pregiudizi simili. Nel 2010 all’Astor Center di New York fu organizzata una conferenza sul tema dei pregiudizi di genere nell’ambito delle cucine dei ristoranti. Durante l’evento fu fatto un esperimento per capire se le persone che erano lì per parlare avessero dei pregiudizi. Fu servito loro un pasto di sei portate, per ognuna delle quali c’erano due piatti diversi: l’unica cosa che avevano in comune era che condividevano un ingrediente. I conferenzieri dovevano indovinare quali fossero i piatti preparati da una donna e quali quelli preparati da un uomo, basandosi solo sull’aspetto e sul gusto delle pietanze. Il risultato del test fu che era impossibile indovinare da un piatto il genere di chi l’avesse preparato: alcune volte i conferenzieri indovinarono, altre no. Per provarci usarono alcuni pregiudizi su quelli che sarebbero i gusti e i sapori femminili e quelli che invece sarebbero maschili; per esempio, nel caso di un piatto guarnito con dei fiori commestibili, pensarono che fosse stato preparato da una donna.
Come quando tra i politici la preparazione e la dimostrazione di competenza sono spesso viste in modo positivo se a parlare è un uomo, mentre sono considerate segno di arroganza e presunzione se l’oratrice è una donna, così le qualità neutre di un piatto vengono descritte con parole diverse a seconda del genere di chi lo ha preparato. Dello stesso piatto di carne può essere detto che ha un sapore “intenso” se lo chef è un uomo, oppure che è “preparato con amore” se lo chef è una donna.
Molte chef donne, intervistate più volte su questo tema (per esempio qui e qui), dicono anche che per avere successo come chef le donne devono provare il loro valore più degli altri. Da un lato devono comportarsi in maniera mascolina, e quindi per esempio evitare di piangere anche se arrabbiate, rispondere a tono agli scherzi e alle allusioni sessuali fatte dai colleghi, e trasportare cose pesanti senza chiedere aiuto. D’altra parte però non devono dare ordini come farebbe un uomo, perché potrebbero essere etichettate come “stronze” e danneggiare così la propria autorità. In pratica devono riuscire a rientrare nel modello di madri o di sorelle maggiori per riuscire a farsi rispettare dai colleghi uomini.
Poi ci sono gli orari di lavoro. Molte donne smettono di lavorare nelle cucine dei grandi ristoranti prima di arrivare a dirigerne una (e magari fondano un’azienda di catering) perché gli chef lavorano anche sette giorni alla settimana, spesso per 12-14 ore di seguito e sempre all’ora dei pasti: questo fa sì che per una donna che vuole avere figli sia molto difficile portare avanti la carriera di cuoca, a meno di avere un compagno con molto tempo da dedicare ai figli.
Secondo la chef Amanda Cohen, che gestisce il ristorante di New York Dirt Candy, è in parte una responsabilità dei media se oggi non ci sono chef donne davvero famose. I giornali e i critici danno meno attenzione alle chef donne secondo Cohen e questo fa sì che anche chi vuole investire in un ristorante sia meno propenso ad affidarne la guida a una donna perché sa che se ne parlerà meno.