C’è un oceano sotto Plutone?

I dati forniti dalla sonda New Horizons della NASA suggeriscono che il pianeta nano cambiò la sua inclinazione forse a causa di un mare sotterraneo

La grande area pianeggiante a forma di cuore su Plutone potrebbe nascondere un oceano sotterraneo, che spiegherebbe tra le altre cose perché il pianeta nano mostra sempre la stessa faccia alla sua luna Caronte. Almeno questa è l’ipotesi di due ricerche scientifiche pubblicate sull’ultimo numero di Nature, realizzate utilizzando i dati forniti dalla sonda spaziale New Horizons della NASA, che l’anno scorso ha compiuto un volo ravvicinato di Plutone, consentendoci di osservarne la superficie come mai era stato possibile prima. Le prove dell’esistenza dell’oceano sono indirette, ma sembrano confermare le ipotesi formulate negli ultimi decenni dagli astronomi sulla presenza di uno strato liquido all’interno del pianeta nano, e dimostrerebbero che gli oceani sotterranei sono comuni anche nei corpi celesti che si trovano nella parte più esterna e remota del nostro Sistema Solare.

Sputnik Planitia
Le prove sull’esistenza dell’oceano sotterraneo di Plutone sono state raccolte analizzando il lobo occidentale della pianura a forma di cuore sul pianeta nano, chiamato informalmente Sputnik Planitia, che ha una larghezza massima intorno ai 1.000 chilometri. Questa regione è particolare: invece di essere grinzosa e con crateri come il resto della superficie di Plutone, è ricoperta da uno strato di azoto ghiacciato più chiaro e sostanzialmente liscio, con pochissimi crateri e asperità. Secondo i ricercatori, la Sputnik Planitia è fatta così perché è il luogo in cui anticamente avvenne un impatto con un altro corpo celeste, che causò la formazione di una grande depressione nella quale in seguito si stratificarono nuovi banchi di ghiaccio più giovane. Finora nessuno aveva però formulato una spiegazione convincente sulla posizione di questa regione, nei pressi dell’equatore del pianeta nano e in allineamento quasi perfetto con Caronte.

Foto News 2015

Caronte e Plutone
Caronte è la luna più massiccia ed evidente di Plutone e ha la caratteristica di essere in rotazione sincrona con il pianeta nano: il tempo impiegato da Caronte per fare un giro intorno a Plutone (periodo di rivoluzione) è uguale a quello impiegato per fare un giro su se stessa (periodo di rotazione). L’orbita di Caronte è inoltre in sincronia con la rotazione di Plutone, quindi l’uno mostra all’altro sempre la stessa faccia e viceversa: a un osservatore su Plutone, Caronte appare fisso sempre nello stesso punto, che è quasi perfettamente opposto a quello in cui si trova la Sputnik Planitia dall’altra parte del pianeta nano. Semplificando, immaginate di tracciare una linea dritta che parta dal centro di Caronte, raggiunga la superficie di Plutone e prosegua fino al centro del pianeta per poi riemergere dall’altra parte: la linea salterebbe fuori in prossimità della Sputnik Planitia.

plutone-caronte

Le probabilità che un grande impatto abbia anticamente colpito Plutone creando un cratere in un’area in così perfetto allineamento con Caronte sono davvero poche, per questo i ricercatori hanno provato a indagare meglio le caratteristiche della Sputnik Planitia. Insieme ai suoi colleghi, James Tuttle Keane della University of Arizona di Tucson (Stati Uniti) ha analizzato i dati forniti da New Horizons, confrontandoli con quelli ottenuti da altri telescopi terrestri, ottenendo infine un modello matematico per valutare come la formazione della Sputnik Planitia abbia condizionato l’evoluzione interna e orbitale di Plutone. Con criteri diversi, le medesime analisi sono state condotte dagli autori dell’altra ricerca pubblicata sempre su Nature, e firmata da Francis Nimmo della University of California di Santa Cruz (Stati Uniti).

Inclinazione di Plutone
Dagli studi è emerso che la spiegazione più logica per l’allineamento con Caronte è che l’area in cui si trova la Sputnik Planitia abbia una densità maggiore rispetto al resto di Plutone. Nel corso di milioni di anni, questa condizione avrebbe portato l’intero pianeta a inclinarsi fino ad allineare la regione con Caronte. Per rendere l’idea, è l’effetto che si ottiene incollando un piccolo peso su un pallone da calcio: il peso lo farà ruotare verso il basso orientandolo diversamente (ci sono naturalmente differenze dovute alla forza di gravità e al fatto che in questo esempio aggiungiamo una massa, invece di trasferire parte del materiale del pallone come avvenuto su Plutone).

La simulazione elaborata da Keane e colleghi ipotizza che la Sputnik Planitia si sia formata più a nord-ovest di dove si trova adesso, e che acquisendo progressivamente una densità maggiore abbia sbilanciato e fatto inclinare l’intero pianeta nano spingendosi fino alla posizione attuale. I ricercatori hanno confrontato gli esiti del loro processo ipotetico con quanto osservato di recente da New Horizons, trovando numerose corrispondenze tra le fratture e i canyon sulla superficie di Plutone e la formazione di asperità analoghe previste dalla loro simulazione.

Oceano
Il gruppo di ricerca guidato da Nimmo si è spinto oltre, ipotizzando che sia un oceano sotto la superficie ghiacciata della Sputnik Planitia a rendere quest’area di Plutone più pesante rispetto al resto del pianeta nano. Come abbiamo visto, questa regione nacque in seguito a un impatto con un altro corpo celeste, che scavò e rimosse enormi quantità di ghiaccio formando una profonda depressione. Secondo Nimmo e colleghi, la parte liquida sottostante riuscì ad attraversare lo strato di ghiaccio assottigliatosi dopo l’impatto, raggiungendo la superficie, dove formò una sorta di grande cicatrice ghiacciata. Le successive stratificazioni sulla superficie resero la regione più liscia e al tempo stesso con una densità maggiore rispetto al resto del pianeta, a tal punto da riorientare Plutone e la sua rotazione.

Secondo la ricerca di Nimmo, l’oceano sotterraneo di Plutone sarebbe profondo almeno 100 chilometri e avrebbe un’età di diversi miliardi di anni. Nonostante la temperatura media del pianeta nano sia di -235 °C, questo oceano si mantiene allo stato liquido grazie a grandi quantità di ammoniaca, un elemento che si ritrova spesso nei corpi celesti ghiacciati nelle aree più esterne e remote del nostro Sistema solare; l’oceano sarebbe inoltre protetto da una crosta di ghiaccio spessa 200 chilometri. Condizioni di questo tipo rendono improbabile la formazione della vita, per lo meno per come la conosciamo, e Plutone è troppo remoto per essere oggetto di studi di astrobiologia con gli attuali strumenti. Il team di Keane è invece più cauto e non esclude la possibilità che sotto la Sputnik Planitia ci sia semplicemente una grande massa ormai completamente ghiacciata.

Saranno necessari nuovi studi e analisi dei dati forniti da New Horizons per comprendere meglio la storia e l’evoluzione di Plutone. Anche se non danno risposte definitive, le due ricerche sono molto importanti perché dimostrano per la prima volta con efficacia come singoli eventi, che interessano porzioni limitate di un corpo celeste, possono avere ripercussioni su scala globale e sui suoi movimenti.