Il posto dove mettiamo tutti i semi del mondo
È lo Svalbard Global Seed Vault: un posto da film di fantascienza, fatto per resistere più di mille anni e, nel caso, salvare l'umanità
In Norvegia – nell’arcipelago delle isole Svalbard, sull’isola di Spitsbergen, a 1.300 chilometri dal Polo Nord – c’è il più grande deposito di semi del mondo: lo Svalbard Global Seed Vault. È stato costruito per «resistere al tempo e sopravvivere a disastri naturali e causati dall’uomo», e per farla breve ha lo scopo ultimo di salvare l’umanità nell’eventualità in cui succeda qualcosa di particolarmente devastante. Come sa chi ha visto The Martian, avere dei semi e riuscire a coltivarli è un fondamentale prerequisito perché l’umanità sopravviva, ovunque si trovi. Qualche giornalista ha parlato dello Svalbard Global Seed Vault come di “un’arca di Noe della biodiversità”; usando paragoni più attuali lo si può definire un backup di 13mila anni di agricoltura mondiale. A vederlo sembra uscito da un film di fantascienza e al suo interno ci sono semi da praticamente ogni paese del mondo, anche dalla Corea del Nord.
Un’altra spiegazione di cosa sia e cosa faccia il più grande deposito di sementi al mondo l’ha data qualche mese fa BBC, in un articolo sui cinque posti meno visitabili al mondo (tra gli altri c’erano gli Archivi vaticani e l’Area 51):
Immaginate il mondo dopo un disastro naturale. La popolazione è decimata, le infrastrutture distrutte e le risorse alimentari scarsissime. Un sopravvissuto ha una missione: ricostruire tutto. In uno scenario di questo tipo, da film di Hollywood, dove va, questo eroe? Va allo Svalbard Global Seed Vault, l’ultima risorsa dell’umanità contro una crisi alimentare globale.
Lo Svalbard Global Seed Vault esiste dal 2008 ed è stato costruito dentro una montagna, all’interno della quale si estende per oltre 120 metri. Alla fine del deposito, dopo un lungo tunnel e alcune stanze intermedie, ci sono tre grandi stanze lunghe 27 metri ciascuna, larghe dieci e alte sei. Ci sono spesse porte d’acciaio – ricoperte da ghiaccio – e le pareti sono in calcestruzzo: la struttura potrebbe resistere a un attacco nucleare, per capirci.
Secondo gli ultimi dati disponibili, nello Svalbard Global Seed Vault ci sono circa 860mila tipi di colture: catalogate e conservate in appositi sacchetti di alluminio, con circa 500 semi in ogni sacchetto. Sono tanti, ma potrebbero essere anche di più: la capacità del deposito è di oltre 4,5 milioni di tipi di colture, cioè 2,5 miliardi di semi totali. Il più grande deposito di colture al mondo si trova in una sperduta isola molto a nord della Norvegia – la distanza del deposito da Roma è maggiore della distanza tra Roma e il Qatar, per capire quanto sta a nord – per motivi ben precisi: è una zona non sismica, lontana da zone di conflitto, e il deposito si trova 130 metri sopra il livello del mare (rimarrebbe quindi raggiungibile anche se si alzasse parecchio). Il deposito è stato costruito per resistere almeno mille anni.
Nonostante siano in pochi a poterlo vedere dal vivo, lo Svalbard Global Seed Vault ospita anche un’opera d’arte. Si chiama “Ripercussione Perpetua” ed è stata realizzata dall’artista norvegese Dyveke Sanne. È quella cosa luminosa che si vede all’ingresso del deposito ed è costruita in acciaio inossidabile, specchi e prismi. È fatta per riflettere la luce polare – d’estate, quando c’è – e per fare luce d’inverno, grazie a 200 cavi in fibra ottica.
Nel 2014 The Atlantic scrisse che dal punto di vista strutturale il deposito potrebbe essere in grado di resistere a «terremoti, guerre atomiche, sconvolgimenti climatici e forse pure alla collisione di un asteroide». I semi sono conservati a una temperatura di 18 gradi centigradi sotto zero: il fatto che sia vicino al polo Nord quindi è anche comodo per risparmiare sulla refrigerazione. La temperatura lassù è bassa, ma per tenerla così bassa c’è un sistema di raffreddamento che funziona grazie al carbone estratto in quelle zone. Anche se il sistema dovesse smettere di funzionare, ci sono misure di sicurezza in grado di mantenere basse temperature per settimane. Passate quelle settimane la temperatura salirebbe, ma non troppo: fa comunque freddo, le sale principali sono sotto il permafrost – un terreno sempre ghiacciato – e la temperatura non salirebbe comunque mai sopra i -3,5 gradi centigradi. Si stima che a questa temperatura alcuni semi potrebbero resistere per qualche decennio, altri per qualche millennio.
Chi lavora allo Svalbard Global Seed Vault ne parla come della «migliore polizza assicurativa per l’agricoltura mondiale»; l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ne disse: «Questo è un giardino dell’Eden ibernato. Un luogo dove la vita può essere mantenuta in eterno, qualsiasi cosa succeda nel mondo».
Lo Svalbard Global Seed Vault è stato costruito dove prima c’era una miniera di carbone: a qualche chilometro dal deposito c’è Longyearbyen, che ha poco più di duemila abitanti ed è la città più popolosa delle isole Svalbard. Lo Svalbard Global Seed Vault fu totalmente finanziato dal fondo sovrano norvegese (che pagò circa 9 milioni di dollari) in seguito a un accordo tra la Norvegia, il Fondo mondiale per la diversità delle colture (a cui partecipa anche l’Italia) e il Nordic Genetic Resource Center, di cui fanno parte anche altri paesi scandinavi (e che già dal 1984 si occupa di salvare e catalogare semi di piante nordiche). Al deposito, al suo mantenimento, al reperimento e alla gestione delle colture collaborano poi molti enti europei e mondiali, per esempio la FAO.
Dal 2008 lo Svalbard Global Seed Vault è un deposito che sta sopra a tutti gli altri depositi, simili ma più piccoli, che ci sono in varie parti del mondo. Se un ricercatore italiano dovesse avere bisogno di un determinato seme lo chiederebbe al deposito regionale o nazionale di riferimento; gli unici enti con cui interagisce lo Svalbard Global Seed Vault sono gli altri depositi in giro per il mondo, che eventualmente fanno da tramite per altri ricercatori. Oltre a essere quasi inaccessibile per quasi ogni essere umano, lo Svalbard Global Seed Vault è anche molto sicuro: The Atlantic ha scritto che «i sistemi di sicurezza sono all’avanguardia», che «non c’è personale permanente nel centro» e che «non c’è una sola persona che abbia tutti i codici necessari per entrare». Non c’è nemmeno un gran viavai di semi, a dire il vero: «i nuovi semi vengono accettati e depositati due volte l’anno» e finora è successo solo una volta che dovessero uscire dal centro (tra un po’ ci arriviamo).
I vari tipi di semi sono da conservare e preservare perché ogni tipo di pianta ha bisogno di varietà per poter sopravvivere a eventuali problemi, parassiti o infestazioni. La funzione dello Svalbard Global Seed Vault è quindi conservare in modo imparziale – cioè accettandolo da ogni stato e dandolo a ogni stato che dimostri di averne davvero bisogno – ogni tipo di seme (i più diffusi sono grano, riso e orzo), da usare in caso di necessità. Funziona come quando si deposita qualcosa nella cassetta di sicurezza di una banca: la banca possiede e gestisce l’edificio in cui si trova la cassetta, ma la cassetta è di proprietà di chi ci mette dentro le cose, che può quindi averne accesso quando vuole.
Dello Svalbard Global Seed Vault si parlò molto nel 2008 – secondo qualcuno il mondo sarebbe finito da lì a quattro anni, ed era comunque una storia buona per complottismi vari – e poi sempre meno. Oltre a servire da backup generale per permettere ai più fortunati di noi (quelli che sopravviverebbero a un’eventuale apocalisse di qualsiasi tipo) di avere qualcosa da mangiare, lo Svalbard Global Seed Vault serve anche per casi meno estremi.
Nel febbraio 2012 Cary Fowler – che al tempo era direttore del Fondo mondiale per la diversità delle colture, che gestisce il deposito – disse che «verrà usato con molta probabilità prima di quanto si possa pensare». Sempre nel febbraio 2012 lo Svalbard Global Seed Vault ricevette per il suo quarto compleanno una donazione di semi da molti stati, fra cui anche la Siria. Nel settembre 2015 lo Svalbard Global Seed Vault ha ricevuto la sua prima richiesta di prelievo: arrivava dall’ICARDA (il Centro internazionale per la Ricerca Agricola in aree asciutte) di Aleppo, in Siria. La guerra civile aveva fatto perdere il controllo del deposito di ICARDA in Siria, e il Centro aveva quindi chiesto di poter riavere alcuni suoi semi – 38.073, in 128 scatole – da lasciare nei suoi nuovi edifici in Marocco e in Libano, ricevendoli in poco tempo.