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  • Martedì 8 novembre 2016

Cosa prevedono i sondaggi

Guida a numeri, percentuali e tassi di probabilità, per capire chi è avanti tra Clinton e Trump e quali possono essere gli imprevisti

di Francesco Costa – @francescocosta

Una mappa appesa in un comitato elettorale. (JIM WATSON/AFP/Getty Images)
Una mappa appesa in un comitato elettorale. (JIM WATSON/AFP/Getty Images)

Mentre gli elettori statunitensi votano per scegliere il loro prossimo presidente – oltre a rinnovare parzialmente il Congresso ed esprimersi su una serie di referendum – giornali e istituti demoscopici pubblicano le loro previsioni finali basate sui sondaggi. Da oltre due anni infatti, con frequenza pressoché quotidiana, vengono realizzati e diffusi sondaggi sull’esito delle elezioni presidenziali americane, e sulla base di questi sondaggi si è sviluppato anche il racconto della campagna elettorale: chi è avanti, chi è indietro, chi sta rimontando, chi sta perdendo terreno. I sondaggi cercano di prevedere l’esito di un’elezione analizzando le intenzioni di un campione rappresentativo dell’elettorato, e ovviamente non sono infallibili: negli Stati Uniti però c’è una buona tradizione recente, e bisogna arrivare all’elezione del 1948 – Harry Truman contro Thomas Dewey – per trovare un errore di grandi proporzioni. Errori più piccoli invece sono più probabili, e in una sfida equilibrata anche uno scarto di due punti percentuali – tecnicamente dentro il cosiddetto margine di errore – può cambiare completamente la situazione.

Il modo migliore per consultare i sondaggi
Data la grandissima quantità di sondaggi realizzati e diffusi in campagna elettorale – da istituti diversi, con metodologie diverse e affidabilità diverse – il modo migliore per evitare di aggrapparsi a un solo dato, oppure scegliere il dato che più fa comodo alla propria tesi, è consultare le medie. Nella politica statunitense, le medie dei sondaggi più citate e tenute in considerazione sono quelle realizzate dal sito RealClearPolitics.

Cosa dicono i sondaggi su Clinton e Trump
In questa campagna elettorale Hillary Clinton, la candidata del Partito Democratico, ha mantenuto quasi sempre un certo vantaggio nazionale su Donald J. Trump, candidato del Partito Repubblicano.

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Trump ha superato Clinton per pochi giorni dopo la convention del Partito Repubblicano di Cleveland, alla fine di luglio, e si è avvicinato molto a Clinton altre due volte, senza però mai sorpassarla: prima dell’inizio dei dibattiti televisivi, alla metà di settembre, e alla fine di ottobre dopo che l’FBI ha annunciato di aver deciso un supplemento di indagine sulle email inviate da Clinton quando era segretario di stato.

Ma c’è un ma, come probabilmente ormai sapete: gli Stati Uniti non eleggono il presidente con un voto nazionale, bensì con un voto stato per stato. Il dato nazionale è un buon indicatore dell’aria che tira, ma per capire davvero chi è in vantaggio bisogna guardare le medie dei sondaggi stato per stato. Quest’anno questa regola è persino più vera del solito: i sondaggi dicono che Clinton potrebbe andare molto bene in stati che probabilmente perderà comunque, come il Texas o l’Arizona, quindi il suo dato nazionale risente di una parte di voti per lei che – nella conta stato per stato – non contano niente, visto come funziona la legge elettorale statunitense (potete fare un ripasso qui).

Cosa dicono i sondaggi stato per stato
Per comodità basiamoci di nuovo sulle medie di RealClearPolitics, anche se esistono altri calcoli che differiscono leggermente da questo. Gli stati colorati in blu vedono in vantaggio Hillary Clinton, quelli in rosso Donald Trump. L’intensità dei colori indica l’ampiezza del vantaggio.

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Secondo questi dati, Clinton può essere ragionevolmente sicura di ottenere 203 grandi elettori contro i 164 di Trump: ne servono 270 per vincere e verranno fuori dagli stati in grigio, i cosiddetti stati in bilico, cioè quelli in cui i due candidati sono molto vicini. Alcuni di questi stati hanno avuto comunque uno dei due candidati in vantaggio per mesi: sarebbe una sorpresa se Trump non vincesse in Georgia (dove la media dei sondaggi dice che ha un vantaggio di 4,8 punti percentuali) o in Arizona (+4%), per esempio, così come sarebbe una sorpresa se Clinton non vincesse in Virginia (+5%), New Mexico (+5%) e Michigan (+3,4%). In entrambi i casi, una loro mancata vittoria anche in uno solo di questi stati vorrebbe dire una sconfitta certa o quasi. Aggiornando il conteggio e attribuendo loro la vittoria negli stati di cui sopra, la mappa diventa così:

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Quelli che restano sono i veri stati in bilico, e i numeri rendono evidente perché Clinton è considerata la favorita: se vincesse in Colorado (+2,9%), dove il crescente elettorato latinoamericano è andato a votare in massa, e in Pennsylvania (+1,8%), dove è stata in grande vantaggio per mesi, Clinton arriverebbe a 266. Le basterebbe a quel punto aggiungere praticamente uno qualsiasi tra gli altri stati in bilico per vincere, anche se dovesse perdere i più grandi e influenti, come Ohio e Florida. Per questo Trump deve cercare di fermare Clinton in Nevada (+0,8%) – dove ci sono molti latinoamericani, quindi generalmente pro-Clinton, ma anche molti maschi bianchi con un basso livello di istruzione, il segmento demografico che lo preferisce – e strapparle a sorpresa uno o due stati del Midwest. Quelli in cui una sorpresa pro-Trump è considerata plausibile, per quanto improbabile, sono Michigan (+3,4%) e Pennsylvania (+1,8%).

Per il resto Trump dovrebbe avere un certo vantaggio in Ohio (+3,5%) e in Iowa (+3%), Clinton dovrebbe avere un vantaggio in Maine (+4,5%, ma due superdelegati si assegnano nei collegi congressuali in cui è diviso lo stato), mentre in New Hampshire (+0,6%), in Florida (+0,2%) e in North Carolina (+1%) la situazione è equilibratissima.

Cosa può andare storto
Due cose possono sfuggire ai sondaggisti, per quel che abbiamo visto in questi mesi. La prima: una parte di elettori di Donald Trump potrebbe non voler dichiarare la sua preferenza, visto quanto è controverso il candidato del Partito Repubblicano. La seconda: gli istituti potrebbero non dare un peso adeguato alla grandissima organizzazione logistica del comitato Clinton, che ci si aspetta – anche sulla base dei risultati del voto anticipato – che raggiunga, convinca e porti a votare milioni di persone. Trump non ha una rete organizzativa di questo tipo.

La prima possibilità è nota ai sondaggisti, che da mesi affinano i loro campioni e ne tengono conto: gli esperimenti in questo senso hanno dimostrato che gli elettori di Trump “timidi” ci sono ma sono molto pochi: e infatti durante le primarie del Partito Repubblicano i sondaggi su Trump si sono dimostrati affidabili. La seconda possibilità è più complessa da sondare, ma gli istituti dovrebbero averne tenuto conto anche perché questa è la ragione per cui nel 2012 sottostimarono il risultato di Barack Obama. Quattro anni fa la media dei sondaggi nazionali di RealClearPolitics diceva che Obama aveva un vantaggio di 0,7 punti percentuali: finì con un vantaggio di 3,9 punti percentuali. Il modello di FiveThirtyEight diceva che Obama avrebbe vinto con circa 300 grandi elettori: ne ottenne 332.

Le probabilità di vittoria
I sondaggi però non sono tutti uguali: sulla base della precisione di quelli delle elezioni passate, sappiamo che alcuni istituti sono più precisi e affidabili, altri meno. Sappiamo anche che esiste una correlazione tra il risultato elettorale e molti altri fattori, come la composizione demografica dell’elettorato, l’affluenza, il tasso di disoccupazione e la popolarità del presidente uscente. Gli istituti di sondaggi tengono in considerazione tutto questo, o quantomeno ci provano, tanto che qualche mese fa il New York Times ha fatto un esperimento: ha fatto un sondaggio sull’elettorato della Florida e poi ha dato gli stessi dati grezzi a quattro istituti diversi. I quattro istituti hanno applicato i loro pesi e i loro modelli e dagli stessi dati grezzi sono arrivati a quattro conclusioni diverse.

Anche per questo si è sviluppato negli ultimi anni un nuovo modo di prevedere i risultati delle elezioni, che combina le medie dei sondaggi adeguatamente pesate con modelli statistici basati su precedenti storici e varie informazioni di contesto. Il più famoso di questi modelli è quello dello statistico Nate Silver, che ha previsto correttamente l’esito delle elezioni presidenziali del 2008 e del 2012 praticamente stato per stato. Nate Silver e il suo sito, FiveThirtyEight, non fanno sondaggi e non producono dati sui consensi per i candidati, ma calcolano le loro probabilità di vittoria. Secondo FiveThirtyEight, Hillary Clinton ha il 71,4 per cento di probabilità di vincere contro il 28,6 di Donald Trump.

La mappa elettorale prevista da Nate Silver è fatta così:

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Secondo Silver, quindi, tra gli stati in bilico la vittoria di Clinton è probabile in Colorado, New Mexico, Virginia, Pennsylvania, Michigan e Maine, mentre Trump dovrebbe vincere in Ohio, Iowa, Georgia e Arizona. Gli stati col colore azzurro più lieve – Nevada, Florida e North Carolina – sono quelli in cui i candidati sono vicinissimi in termini di probabilità di vittoria, ma con un leggero vantaggio per Clinton. Secondo i calcoli di Nate Silver, Clinton otterrà il 48,5 per dei voti contro il 44,9 di Trump, che si tradurranno in circa 302-303 grandi elettori per Clinton e 235 per Trump.

In conclusione
Secondo i sondaggi Hillary Clinton è la favorita, ma una vittoria di Donald Trump non è impossibile: e se dovesse avvenire, probabilmente non saremmo in presenza di un grave errore nei sondaggi ma semplicemente di uno scarto di uno o due punti, in molti stati, e sempre nella sua direzione.