A che ora ci sarà il nuovo presidente?
Guida pratica alla giornata e nottata elettorale negli Stati Uniti, con tutte le cose da seguire ora per ora
Dopo due anni di campagna elettorale, oggi sarà eletto il prossimo presidente degli Stati Uniti. Qui sotto ci sono le cose più importanti da sapere per seguire la giornata elettorale, che dall’Italia diventerà interessante però quando sarà già notte inoltrata e arriveranno i risultati degli stati chiave, quelli dall’esito più incerto e dove probabilmente si deciderà chi vincerà tra Donald Trump e Hillary Clinton.
Prima cosa: come si elegge il presidente degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti non eleggono direttamente il presidente, ma ogni stato elegge con sistema prevalentemente maggioritario un gruppo di cosiddetti “grandi elettori”, distribuiti in modo proporzionale alla popolazione. Gli stati più popolosi esprimono più grandi elettori degli altri e in ogni stato il candidato che prende un voto in più degli altri si porta a casa tutti i grandi elettori espressi da quello stato. Ci sono due eccezioni, Maine e Nebraska, dove il maggioritario è applicato su grandi circoscrizioni interne. I grandi elettori sono in tutto 538: per diventare presidente bisogna ottenerne la maggioranza assoluta, quindi 270. I grandi elettori si radunano stato per stato il lunedì successivo al secondo mercoledì di dicembre, dunque il 19 dicembre, e votano per un candidato alla presidenza e uno alla vicepresidenza; poi comunicano a Washington la loro scelta, che si formalizzerà con il giuramento e l’insediamento del 20 gennaio. Qui, la versione lunga di questo aspetto formale delle elezioni.
Voto anticipato
Una cosa da tenere a mente stasera è che in moltissimi stati americani da settimane gli elettori possono già votare per il prossimo presidente degli Stati Uniti: martedì 8 novembre è il giorno delle elezioni, ma anche l’ultimo in cui si potrà votare. Ma perché si vota di martedì?
Le tappe
Le modalità del voto e gli orari del voto vengono stabiliti dai singoli stati in base ai vari fusi orari. Dalle 13 italiane di martedì i seggi apriranno in buona parte degli Stati Uniti orientali, alle sei del mattino di mercoledì chiuderanno invece gli ultimi seggi, quelli in Alaska. Questa mappa semplifica le cose (tenete presente il fuso orario: la east coast è sei ore indietro rispetto all’Italia, la west coast, nove ore indietro):
Alle ore 21 di martedì, quando i seggi saranno ancora aperti dappertutto, inizieranno a uscire i primi exit poll tematici e demografici e si potrà cominciare a capire qualcosa, ma con grande cautela. Ci sono alcuni segmenti demografici che preferiscono un candidato sull’altro e negli stati in cui sono più presenti possono avere un ruolo importante. Per esempio Trump ha un grande vantaggio tra i maschi bianchi non laureati, Clinton invece piace molto alle donne bianche laureate: i dati di stati con forti maggioranze demografiche vanno quindi contestualizzati e non possono essere presi come un’indicazione generale di come vanno le cose.
Tra mezzanotte e l’una di mercoledì chiuderanno i seggi prima in Indiana e in Kentucky, poi anche in Georgia, South Carolina, Vermont e Virginia. Gli stati da tenere d’occhio sono soprattutto Virginia e Georgia. In Virginia Clinton è stata praticamente sempre in vantaggio: se dovesse andare male, sarà una prima importante indicazione. La Georgia, invece, è uno stato tradizionalmente Repubblicano dove Trump ha avuto molte difficoltà. Se Trump dovesse vincere con poco margine oppure perdere, sarebbe un’ottima notizia per Clinton. Se Trump dovesse andare molto bene, vorrebbe dire che forse non ci saranno grandi defezioni nell’elettorato Repubblicano.
All’1.30 di mercoledì chiuderanno i seggi in due stati molto importanti: North Carolina e Ohio, due stati in bilico, stati cioè in cui, secondo i sondaggi, Hillary Clinton e Donald Trump sono separati da un distacco così piccolo da rendere imprevedibile l’esito del voto, e da permettere a un gruppo anche relativamente ridotto di elettori di risultare determinanti. Il North Carolina è praticamente sul confine tra nord e sud, oltre il 20 per cento dei suoi abitanti sono afroamericani, ed è uno dei pochi stati in bilico nel sud degli Stati Uniti: nel 2008 vinse Obama dello 0,8 per cento, nel 2012 però vinse Romney. L’Ohio è un altro stato in bilico: nel 2000 e nel 2004 scelse George W. Bush, nel 2008 e nel 2012 scelse Barack Obama, e mai con una distanza tra i candidati superiore ai 4 punti percentuali. Se in questi due stati Clinton o Trump dovessero avere da subito un grande vantaggio, ci sarebbe il primo vero punto di svolta della nottata.
Alle 2 di mercoledì chiuderanno i seggi in molti stati. Tra questi: Florida, New Hampshire e Pennsylvania. La Florida è storicamente uno stato che pesa moltissimo alle presidenziali, e la sua popolazione è particolarmente frastagliata: è lo stato americano con la più alta percentuale di persone con più di 65 anni, i due terzi dei suoi abitanti sono nati da un’altra parte, ci sono tantissimi abitanti di origini latinoamericane (circa il 30 per cento) e tanti di questi hanno origini cubane (e i latinos di origini cubane sono generalmente piuttosto conservatori). Se Clinton vincesse in Florida, salvo sorprese clamorose, avrebbe anche vinto le elezioni. Se dovesse perdere in Florida, dovrebbe sperare allora di aver tenuto nel Midwest: e quindi anche in New Hampshire e Pennsylvania. Se Clinton dovesse andare bene in tutti e tre, sarebbe per lei un’ottima notizia, se invece dovesse andare male in tutti e tre, Trump comincerebbe ad avere delle buone possibilità.
Alle 3 di mercoledì chiuderanno i seggi in altri stati del Midwest, come Michigan, Minnesota e Wisconsin, e poi anche in Colorado e New Mexico. E anche in Arizona e Texas. Alle 4 di mercoledì sarà il momento della chiusura dei seggi nello Utah dove non si può ancora escludere una vittoria del candidato di protesta Evan McMullin.
Tra le 4 e le 5 cominceranno ad arrivare dati più solidi dal Midwest e dalla Florida e potrebbe essere il momento in cui si conoscerà il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti.
Alle 5 di mercoledì chiuderanno i seggi in tutti gli stati rimanenti – tra cui la California, il più popoloso d’America – eccetto l’Alaska. Se a quel punto la situazione sarà chiara, sarà annunciato il nome del nuovo presidente. Potrebbe comunque volerci più tempo, se cioè in alcuni stati il risultato sarà equilibrato e se ci saranno dei ricorsi.
Cosa deve succedere perché Trump vinca?
Tra i due candidati è quello con meno possibilità di farcela, secondo i sondaggi, ma non è impossibile che vinca. Francesco Costa ha spiegato qui cosa deve succedere perché Trump possa arrivare a 270 grandi elettori.
Gli stati in bilico
Gli Stati che secondo i sondaggi sono attualmente in bilico assegnano 158 delegati in totale. Sono anche gli stati da tenere d’occhio. E sono: Nevada, Arizona, Florida, Colorado, New Mexico, Georgia, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, Iowa, New Hampshire, Michigan, Maine.
Le altre elezioni americane
Martedì 8 novembre negli Stati Uniti si voterà anche per rinnovare gran parte del Congresso, cioè il Parlamento americano. Le elezioni del Congresso si tengono lo stesso giorno delle presidenziali ma sono una cosa separata, quindi è possibile – ed è già successo più volte – che gli elettori scelgano il presidente di un partito e diano la maggioranza al Congresso a un altro partito. Il risultato delle elezioni per il Congresso sarà fondamentale per capire quanto il nuovo presidente sarà in grado di realizzare le cose che ha promesso.
Martedì 8 novembre i cittadini di alcune stati voteranno anche dei referendum. In particolare, in nove stati si deciderà sulla legalizzazione della cannabis. In California, Maine, Nevada, Arizona e Massachusetts il quesito avrà a che fare con la legalizzazione e la regolamentazione della cannabis a scopo ricreativo: si tratterà dunque di un’estensione della legislazione vigente, dato che in quegli stati l’uso per scopi medici è già consentito. In altri quattro stati (Arkansas, Florida, Montana e North Dakota) il voto riguarderà invece la produzione e la compravendita di marijuana a scopo terapeutico.