In quale momento dell’anno le donne in Europa cominciano a lavorare gratis?
Un'infografica mostra quando le lavoratrici smettono di essere retribuite, a causa della disparità salariale
Il 7 novembre in Francia ci sarà uno sciopero delle donne per protestare contro il cosiddetto “gender pay gap”, cioè la differenza tra la retribuzione maschile e quella femminile. Lo sciopero comincerà alle 16.34. La data e l’ora sono state stabilite dal collettivo Les Glorieuses, che ha calcolato – sulla media dei giorni lavorativi durante un intero anno e sulla media della differenza salariale – il momento in cui ogni giorno le donne francesi cominciano a svolgere il loro lavoro senza essere retribuite. Lo scorso 26 ottobre le donne islandesi hanno fatto la stessa cosa, cominciando a scioperare alle 14.38. Le islandesi sono pagate in media il 14 per cento in meno rispetto ai loro colleghi maschi, secondo i dati OCSE: considerando una giornata lavorativa di otto ore, mentre gli uomini continuano ad essere pagati fino alle 17, il salario delle donne si ferma alle 14.38. Il lavoro che svolgono fino alle 17 non è retribuito, usando come standard lo stipendio degli uomini.
L’edizione francese di Slate ha fatto un calcolo simile (che ha un significato puramente indicativo, ma molto efficace) sulla base dei dati Eurostat del 2014 mostrando poi in un’infografica in quale momento dell’anno, in media e nei paesi d’Europa, le donne cominciano a svolgere un lavoro “volontario”, cioè non retribuito. Il paese peggiore nella classifica è l’Estonia: il lavoro non pagato delle donne estoni comincia infatti il 20 settembre. L’Italia è invece ai primi posti: le italiane cominciano a lavorare gratis “solamente” a dicembre.
Lo scorso maggio la società di consulenze Korn Ferry Hay Group ha calcolato (su più di 8 milioni di dipendenti in 33 diversi paesi del mondo) che il “gender pay gap” è pari in media al 18 per cento. Il divario di retribuzione diminuisce quando si confrontano le retribuzioni di uomini e donne a uno stesso livello con pari funzioni all’interno della stessa azienda, ma gli uomini continuano a guadagnare in media l’1,6 per cento in più rispetto alle donne.
Il differenziale salariale di genere si spiega soprattutto con l’assenza di donne nei lavori pagati meglio. Le donne costituiscono infatti il 40 per cento della forza lavoro con mansioni di segreteria, ma solo il 17 per cento della forza lavoro con incarichi dirigenziali. Le donne beneficiano del congedo di maternità – che continua a essere concepito come una specie di privilegio – e tendono a scegliere posti di lavoro flessibili per potersi prendere cura della famiglia (compito che ricade, con un automatismo ben noto, quasi esclusivamente su di loro e a cui il mercato del lavoro non ha mostrato grandi capacità di adattamento). Questi elementi però non possono spiegare fino in fondo la portata del divario che persiste anche oltre gli anni in cui le donne dovrebbero aver smesso di prendersi cura dei bambini: c’entrano discriminazioni nei luoghi di lavoro, il mancato riconoscimento delle competenze femminili rispetto a quelle maschili, la mancata rappresentanza nella politica e nell’economia, il fatto che le responsabilità familiari non siano condivise in maniera equa. Le conseguenze sono diverse, perché il divario retributivo incide sul reddito femminile lungo tutto l’arco della vita: guadagnando meno degli uomini, anche durante la pensione, le donne sono più esposte al rischio di povertà in vecchiaia.
Diversi paesi (tra cui Regno Unito e Germania) hanno avviato progetti di legge per ridurre il gap salariale tra uomini e donne. Un recente rapporto del World Economic Forum ha mostrato che la tendenza verso una uguale retribuzione ha rallentato negli ultimi tre anni e che, se non comincerà ad accelerare, la parità salariale tra uomini e donne sarà effettiva solo nel 2186: fra 170 anni.