Le accuse contro l’ONU in Sud Sudan
I soldati della missione dell'ONU sono accusati di non essere intervenuti durante le terribili violenze di metà luglio, quando furono uccisi molti civili e operatori umanitari
Una settimana fa l’ONU ha diffuso un rapporto sulle intense violenze commesse a Giuba, in Sud Sudan, tra l’8 e l’11 luglio di quest’anno. Il rapporto è stato il risultato del lavoro di una commissione di indagine indipendente istituita dall’ONU stessa che aveva il compito di valutare la risposta alle violenze di UNMISS (la missione dell’ONU in Sud Sudan). Le conclusioni illustrate sono molto dure e hanno già avuto importanti conseguenze. Il rapporto dice che UNMISS non protesse i civili durante gli scontri di luglio e che molti membri della missione non reagirono alle richieste di aiuto provenienti da alcuni operatori umanitari che erano stati attaccati all’interno di un edificio vicino alla base ONU. Il segretario generale Ban Ki-moon ha annunciato la sostituzione del keniano Johnson Mogia Kimani Ondieki a capo della missione ONU in Sud Sudan.
Le violenze commesse dall’8 all’11 luglio provocarono l’uccisione di molti civili, di due peacekeeper di UNMISS e della fine del fragile accordo di pace tra le due fazioni che si stanno combattendo in Sud Sudan: quella che sostiene il presidente Salva Kiir, i cui membri fanno parte dell’etnia Dinka, e quella che sostiene l’ex vicepresidente Riek Machar, dell’etnia Nuer. L’attacco più grave fu compiuto l’11 luglio, quando poco più di una decina di operatori umanitari e membri dell’ONU che si trovavano nel complesso dell’hotel Terrain furono presi di mira dai soldati sud sudanesi. Il rapporto sostiene che i peacekeeper di UNMISS non intervennero nonostante le richieste di aiuto e nonostante si trovassero a circa un chilometro dall’hotel attaccato. Durante l’assalto, dice il rapporto, «i civili furono sottoposti e assistettero a gravi violazioni dei diritti umani, tra cui omicidi, intimidazioni, violenze sessuali e torture perpetrati dai soldati governativi». In una ricostruzione fatta da Associated Press il 15 agosto sulla base delle testimonianze di persone presenti durante l’attacco, si leggeva:
«Il soldato puntò il suo fucile AK-47 contro un’operatrice umanitaria e le disse: “O fai sesso con me oppure verrai stuprata da tutti gli uomini che ci sono qui e poi ti spareremo in testa”, ha raccontato lei. L’operatrice non ebbe scelta. Alla fine della sera, era stata stuprata da 15 soldati sud sudanesi.
L’11 luglio i soldati sud sudanesi, freschi dalla vittoria in una battaglia a Giuba contro le forze di opposizione, si scatenarono in un attacco di quattro ore in un complesso residenziale molto popolare tra gli stranieri, in uno dei peggiori attacchi contro gli operatori umanitari nei tre anni di guerra civile in Sud Sudan. Spararono a un giornalista locale e costrinsero gli stranieri presenti a guardare; stuprarono diverse donne straniere, si concentrarono sugli americani, picchiarono e derubarono i presenti e misero in scena delle finte esecuzioni»
Secondo il rapporto, durante la crisi UNMISS non rispose in maniera efficace alle richieste di aiuto, a causa tra le altre cose della mancanza di una leadership forte e della scarsa coesione tra i vari contingenti della missione (provenienti dalla Cina, dall’Etiopia, dal Nepal e dall’India). La commissione d’indagine non è stata in grado di confermare le accuse rivolte ai peacekeeper riguardo a una loro inazione di fronte alle violenze sessuali compiute dai soldati governativi durante l’attacco dell’11 luglio. Il rapporto parla però di un atteggiamento generale di grande superficialità: per esempio riferisce di un assalto contro una donna compiuto vicino all’entrata del complesso dell’ONU, sotto gli occhi dei peacekeeper di UNMISS: «Nonostante le urla della donna, i peacekeeper non reagirono» e gli unici a intervenire furono altri membri dell’ONU. In quei giorni più di 120 donne furono violentate, secondo i dati riportati dai leader delle comunità locali e dall’ONU: molti episodi di violenza furono compiuti da soldati governativi sud sudanesi sulla strada che porta verso il complesso dell’ONU a Giuba.
Non si sa ancora con chi sarà sostituito Ondieki, l’ex comandante di UNMISS. Negli ultimi giorni, ha scritto il Guardian, l’ONU ha discusso su come rispondere alle raccomandazioni fatte nel rapporto della commissione indipendente, tra le quali c’è l’ipotesi di mandare dei contingenti formati solo da donne. Al momento in Sud Sudan ci sono 13mila soldati impegnati nel gestire il conflitto, cominciato nel dicembre 2013: la guerra ha già provocato migliaia di morti e 2,5 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case.