Magari non sono così disperati, ‘sti giovani

Almeno non è l'impressione del direttore della Luiss, che polemizza coi commenti dei suoi coetanei sulle prospettive dei "Millennials"

Nelle pagine dei commenti del Corriere della Sera di sabato c’è un intervento del direttore generale dell’Università Luiss Giovanni Lo Storto, che polemizza con le letture disperanti e demotivanti di molti commentatori non giovani sulle prospettive e gli stati d’animo dei giovani italiani rispetto al proprio futuro. La sensazione, dice Lo Storto, è che le letture di molti derivino da punti di vista esterni ed estranei alle sensibilità dei cosiddetti “Millennials”, e alla loro disponibilità a frequentare e approfittare di questi tempi, diversi da quelli familiari a chi li ha preceduti.

Prendere decisioni con la propria testa è importante. Una decisione difficile, come quella di scegliere il percorso formativo giusto, nel posto migliore per sé, per le proprie ambizioni, per le proprie predisposizioni, andrebbe davvero presa con cognizione di causa. Ma esattamente di quale causa dovrebbero avere cognizione i nostri giovani, spesso accusati di inettitudine, mancanza di fiducia nei propri mezzi, coraggio?
Fortunatamente, malgrado la cortina fumogena eretta dalle molte analisi, i giovani oggi sono meno rassegnati di quanto si possa immaginare e con molta più voglia di fare. Non si possono certo definire una «gioventù bruciata» ma piuttosto una «gioventù incendiaria» desiderosa di appiccare il fuoco della trasformazione con le proprie mani e di governarlo con cuore e pancia.
Da parte degli adulti manca forse una statistica sulla consapevolezza giovanile. Eppure, chi frequenta i Millennials, che non è necessariamente chi ne scrive sull’unica base di dati numerici, sa bene che circola tra di loro il diffuso disinteresse per le sole carriere manageriali.
Un sondaggio della Business School di Harvard evidenzia come la maggior parte dei laureandi preferisca aziende e startup ad alto contenuto tecnologico e con al centro il benessere della persona e la sostenibilità. Difficile non apprezzare il loro scetticismo nei confronti di un modello di carriera stucchevolmente standardizzato, che premia il pensiero acritico e limita le possibilità vere di innovazione.

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