La trattativa tra giornali e procure
Il giurista Giovanni Fiandaca commenta la sentenza che ha ridimensionato "la trattativa stato mafia", e il modo in cui era stata raccontata
Giovanni Fiandaca, giurista ed ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura (e nel 2014 candidato del PD alle elezioni europee), ha commentato sul Foglio di giovedì le motivazioni della sentenza di assoluzione dell’ex parlamentare Calogero Mannino nel processo sulla presunta “trattativa stato-mafia”, pubblicate questa settimana. Fiandaca riferisce delle critiche nei confronti dell’accusa e dei suoi presupposti contenute nelle motivazioni, e usa il caso per analizzare e mostrare il distorto rapporto tra il lavoro di molte procure e le cronache giornalistiche.
L’impianto argomentativo della sentenza assolutoria di Calogero Mannino smantella la costruzione accusatoria della cosiddetta trattativa stato-mafia. Da coautore (insieme con Salvatore Lupo) di un saggio critico sull’argomento, pubblicato da Laterza due anni fa, potrei molto compiacermene e andare alla ricerca delle coincidenze tra i miei argomenti critici e le ragioni poste a fondamento della sentenza del giudice Marina Petruzzella. Ma rinuncio a questa esercitazione perché, oltretutto, considero la Trattativa un tema ormai archiviato (i miei attuali interessi di studioso si rivolgono ad altro).
Piuttosto, ritengo opportuno richiamare qui l’attenzione sull’atteggiamento del sistema mediatico rispetto al processo sulla Trattativa, che si è andato caratterizzando secondo movenze tali da confermare in maniera emblematica una relazione gravemente patologica, una sorta di perversione sistemica, riscontrabile da qualche decennio nel contesto italiano: alludo, com’è facile intuire, alla relazione incestuosa tra buona parte dei media e gli uffici di procura. E’ un dato di fatto inconfutabile che il processo-trattativa costituisce una esemplificazione straordinaria di un processo inscenato nei media e potentemente alimentato da stampa e televisione, specie nelle sue fasi iniziali: con un bombardamento informativo continuo e drammatizzante, tendente ad assecondare come verità assodata ipotesi accusatorie ardite e basate (tanto più all’inizio) su teoremi storico-politici preconcetti, affondanti le radici in “precomprensioni” soggettive e – purtroppo – costruiti anche in vista del perseguimento di impropri obiettivi lato sensu carrieristici.
(continua a leggere sul Foglio)