Cosa succede con la sentenza su Brexit
Qualche risposta alle domande che ci stiamo facendo da ieri: cosa farà il governo britannico? Brexit può saltare? (spoiler: no)
Questa mattina tutti i principali quotidiani britannici e molti degli internazionali hanno aperto con la notizia della nuova sentenza su Brexit, secondo cui il governo britannico non può avviare autonomamente le procedure per uscire dall’Unione Europea senza prima avere l’approvazione del Parlamento. Se ne sono occupati anche i quotidiani italiani, con titoli e toni piuttosto sopra le righe (“un voto può cancellare Brexit”, “vogliono rovesciare il voto degli inglesi”, e così via). Nel Regno Unito la notizia è discussa e analizzata da ieri e nel frattempo sono stati chiariti alcuni punti relativi a quello che succederà ora. Versione breve: Brexit può saltare? No, ma il governo May potrebbe essere costretto a cambiare l’approccio politico ai futuri negoziati per uscire dall’Unione Europea.
Cos’è successo?
Il governo britannico aveva sostenuto di poter invocare autonomamente l’articolo 50 del Trattato di Lisbona – cioè quello che regola le procedure di uscita di un paese dall’Unione – per via della cosiddetta Royal prerogative, l’insieme di poteri un tempo esercitati dal monarca del Regno Unito e che ora competono all’esecutivo. Normalmente i trattati internazionali rientrano nelle competenze della Royal prerogative. A inizio ottobre Theresa May, il primo ministro britannico, aveva annunciato di voler invocare l’articolo 50 entro marzo 2017.
Qualche settimana fa un gruppo di persone guidato dall’imprenditrice britannica Gina Miller ha fatto ricorso sostenendo che il governo da solo non ha l’autorità per avviare il negoziato per uscire dall’Unione. Ieri i tre giudici dell’Alta Corte di giustizia hanno dato ragione al ricorso: hanno detto (PDF) che l’uscita dalla UE potrebbe cambiare anche diverse leggi interne al Regno Unito, e per questo non può essere decisa esclusivamente dal governo, ma deve essere approvata dal parlamento. Il governo britannico ha annunciato che intende fare ricorso alla Corte Suprema britannica, il tribunale di ultima istanza per la maggior parte dei casi giudiziari nel Regno Unito.
Che opzioni ha il governo?
Sostanzialmente tre, come sintetizzato dal giornalista di Politico Ryan Heath nella sua newsletter giornaliera sulle principali notizie di politica in Europa.
1. Vincere l’appello alla Corte Suprema, e cioè convincerla del fatto che un voto in parlamento sull’attivazione dell’articolo 50 non è necessario. Secondo BBC, la Corte Suprema esaminerà il ricorso del governo a dicembre, il verdetto dovrebbe essere diffuso in tempi ragionevoli.
2. Approvare l’attivazione dell’articolo 50 in parlamento: fattibile sulla carta, più complicato nella pratica. È vero che al governo ci sono i Conservatori, che si sono impegnati a rispettare il risultato del referendum: ma il partito continua ad essere diviso fra i deputati sostanzialmente ostili a Brexit – che quindi cercheranno in ogni modo di ritardare il processo oppure di cambiarne i termini – e quelli favorevoli.
3. Indire nuove elezioni per ottenere una maggioranza più larga – al momento è di soli 15 deputati – e in qualche modo “legittimare” il proprio approccio a Brexit.
Qual è la più probabile?
Un portavoce di May ha escluso l’opzione 3, spiegando che il governo britannico non intende indire nuove elezioni prima del 2020, cioè fino alla scadenza naturale della legislatura. May cercherà di perseguire una via di mezzo fra la 1 e la 2: il governo farà quasi certamente ricorso alla Corte Suprema, ma per non dipendere eccessivamente dalla futura sentenza cercherà di allargare il proprio consenso su Brexit, magari facendo qualche compromesso sui propri piani per i futuri negoziati con l’Unione – piani che finora ha tenuto segreti.
May ha fatto sapere che intende rispettare il percorso già stabilito dal governo e quindi invocare l’articolo 50 entro marzo. Diversi giornali hanno anticipato che May ribadirà questo concetto anche a Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea. Secondo il Guardian la sentenza «ha dato l’opportunità a diversi parlamentari di ostacolare il processo chiedendo a May di rivelare più dettagli sul suo piano per i futuri negoziati». E dato che il governo sarà costretto a parlare dei suoi piani per i negoziati in parlamento, sarà più facile fare una battaglia politica sui punti da includere nel negoziato (la permanenza o meno nel mercato unico europeo, la libertà di circolazione dei cittadini britannici in Europa, e così via). Il Guardian ha anche saputo che giovedì pomeriggio un gruppo di politici Conservatori e Laburisti si sono incontrati per studiare una strategia di pressione sul governo May. Diversi parlamentari conservatori si sono esposti pubblicamente nel sostenere la sentenza dell’Alta Corte. Jesse Norman, sottosegretario all’Industria, ha scritto su Twitter che la sentenza «ci ricorda che viviamo in una democrazia parlamentare, e non popolare», mentre Anna Soubry, parlamentare ed ex ministro delle Piccole imprese nel governo Cameron, ha spiegato di voler «rappresentare gli interessi del 48 per cento», cioè di quelli che al referendum su Brexit votarono per rimanere nell’Unione Europea.
Whatever one thinks of the Art 50 judgement, it is a reminder that we live in a parliamentary and not a popular democracy 1/2
— Jesse Norman (@Jesse_Norman) November 4, 2016
Tolerance must win over hate & scaremongering. I'm not alone in standing up for the #48% who also have the right to be heard & listened to
— Anna Soubry 🖤🤍🇪🇺🇺🇦🇬🇧 (@Anna_Soubry) November 4, 2016
Anche i Laburisti sono sulla stessa lunghezza d’onda: il ministro-ombra del partito su Brexit, Keir Starmer, ha spiegato che «era inevitabile che May sarebbe stata costretta a dare conto dei principali punti» dell’approccio del governo a Brexit. Bloomberg ha consigliato però di non sottovalutare l’opzione delle elezioni anticipate, anche se May ha smentito di volerle indire: i Laburisti si sono detti pronti per eventuali nuove elezioni, ma una netta vittoria dei Conservatori – e quindi dei loro leader, cioè Theresa May – darebbe al nuovo governo piena legittimità per occuparsi di Brexit a propria discrezione, senza cedere a troppi compromessi. Spiega Bloomberg:
Al momento May è molto avanti nei sondaggi: se decidesse davvero di indire un’elezione, potrebbe ottenere una maggioranza di più di 50 deputati alla Camera dei comuni, più del triplo di quella attuale. Finora l’economia ha tenuto botta ai risultati del referendum e nel terzo trimestre si è espansa dello 0,5 per cento superando le aspettative. Se May scegliesse di arrivare fino a fine legislatura, rischierebbe nel frattempo di subire i futuri danni causati da Brexit e dovrebbe chiedere di essere rieletta ad elettori che potrebbero sentirsi più poveri e incolparla di tutto questo. C’è inoltre il rischio che a tempo debito il partito Laburista – attualmente diviso e indietro nei sondaggi, sotto la leadership di Jeremy Corbyn – trovi una soluzione ai propri problemi.
E quindi? Brexit può saltare?
No, dato che nessun parlamentare britannico si sognerebbe di ignorare il risultato del referendum. Ed è improbabile che la sentenza dell’Alta Corte possa avere effetti rilevanti a lungo termine o che non possa essere ribaltata o dalla Corte Suprema o da un tribunale europeo (pochi giorni fa, per esempio, l’Alta Corte nordirlandese ha respinto una richiesta simile a quella accolta dall’Alta Corte britannica).
Prima della sentenza, il governo britannico poteva avviare i negoziati con un grosso vantaggio strategico: non dover rendere conto a nessuno di come condurre le trattative, e su quali punti concentrare gli sforzi. Se Theresa May fosse costretta a rivelare in Parlamento le sue intenzioni – per esempio: puntare su una “hard” o “soft” Brexit, cioè rispettivamente un’uscita netta dall’Unione o una solamente parziale – perderebbe quel vantaggio. Al contempo, i parlamentari favorevoli a una “soft” Brexit potrebbero persino mettere insieme una maggioranza e costringere il governo a scendere a compromessi e accettare alcuni punti fermi, fra cui la permanenza nel mercato unico economico (che fa sì che all’interno dell’Unione Europea, più Svizzera e Norvegia, si possa commerciare senza barriere tariffarie o doganali). È una soluzione che non piace molto ai sostenitori del “Leave”. Per accedere al mercato unico, Norvegia e Svizzera hanno dovuto accettare gran parte delle regole europee che riguardano la libera circolazione delle persone, proprio quelle che i sostenitori del “Leave” non vogliono.
Diversi funzionari europei e analisti sono convinti che l’effetto più immediato della sentenza sarà quello di ritardare i programmi del governo britannico sui negoziati, e quindi in pratica far saltare l’invocazione dell’articolo 50 entro marzo 2017: cosa che di fatto metterebbe ulteriore pressione al governo May.