Né contro la politica, né contro la giustizia
Giuliano Pisapia propone di combattere le "gogne mediatiche" e aiutare i processi, per il bene di tutti
Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano col centrosinistra e noto avvocato penalista, ha scritto un editoriale su Repubblica per sottolineare la scarsa attenzione rivolta dai giornali a due recenti assoluzioni di personaggi politici che sono stati coinvolti in scandali di importanza nazionale: l’ex presidente del Piemonte Roberto Cota e l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. Entrambi sono stati molto criticati per le indagini nei loro confronti quando erano ancora in carica, mentre i giornali hanno trascurato o quasi la loro assoluzione. Pisapia cita i due casi per spiegare che in Italia è ancora molto diffusa una concezione sbagliata della giustizia, che molto spesso viene strumentalizzata a fini politici o editoriali.
La manovra finanziaria, gli abbracci di Obama, il libro di Icardi. Com’è ovvio che sia, le pagine dei giornali registrano i fatti, più o meno importanti dell’ultima ora e li consumano in fretta, stile fast food. Sarà perché sono un sostenitore dello slow food, mi pare che nei giorni scorsi sia stata persa un’occasione importante.
Il fatto – anzi, i fatti – sono le recenti assoluzioni di Ignazio Marino e di Roberto Cota. L’occasione persa è quella di partire da quei fatti per aprire finalmente un dibattito sereno e costruttivo sui rapporti tra politica e giustizia. Invece è andato in scena il solito, logoro copione: la “Politica” da una parte, la “Giustizia” dall’altra, come in un tiro alla fune che con la giustizia e la politica non ha niente a che fare.
L’occasione era buona: si tratta di sentenze di primo grado, che, se impugnate, potrebbero avere esiti diversi in appello o in Cassazione; di procedimenti penali che riguardano imputati appartenenti a partiti contrapposti; di procedimenti che non sono stati la causa delle dimissioni del Sindaco di Roma e della decadenza del Presidente della Regione Piemonte. Il che avrebbe reso più facile soffermarsi su princìpi, norme e regole che dovrebbero valere per tutti. Ma che, invece, spesso si trasformano in strumenti per attaccare l’avversario, non sulla base della realtà processuale, ma sulla base dell’appartenenza o della convenienza politica.
Cerchiamo allora di mettere da parte le convenienze e di partire dai principi che devono guidare i nostri ragionamenti: la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, l’obbligatorietà dell’azione penale, la distinzione dei ruoli tra chi è “parte processuale” (Pm e avvocati) e chi ha il delicato e difficile compito di decidere sull’innocenza o la colpevolezza dell’imputato. A differenza di chi sostiene l’accusa o è impegnato nella difesa, i giudici, lo dice la nostra Costituzione, debbono essere “terzi e imparziali” e decidere per la condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”, solo se vi sono prove certe o indizi “gravi, precisi e concordanti”.