I dati sul lavoro tirati per la giacchetta
Spiega La Stampa che i numeri di Istat e Inps raccontano cose più complesse di quelle nei titoli dei giornali
Su La Stampa di oggi c’è un articolo di Linda Laura Sabbadini, ex dirigente dell’ISTAT, che cerca di interpretare i dati pubblicati dall’INPS nei giorni scorsi su assunzioni, licenziamenti e voucher relativi ai primi otto mesi dell’anno: spiegando che c’è una complessità e delle variabili che spesso vengono trascurati dalle sintesi giornalistiche o dalle contrapposizioni strumentali. L’articolo de La Stampa si concentra in particolare sui “voucher” spiegando che sono andati a coprire una porzione di lavoro sommerso: i voucher, o buoni lavoro, sono un sistema di pagamento che si può utilizzare per il lavoro cosiddetto accessorio, che non è riconducibile a un contratto di lavoro in quanto svolto in modo saltuario. Il datore di lavoro compra i voucher dallo stato e il lavoratore, che non ha un contratto di lavoro, li riceve come forma di pagamento e deve incassarli in un ufficio postale fino a un massimo di 2.000 euro netti annui da ogni datore di lavoro e 7.000 euro in tutto in un anno.
Assunzioni e dimissioni in calo, licenziamenti e voucher in crescita: sui dati Inps c’è un allarme generale ma la mia opinione è che in questo momento abbiamo tutti bisogno di più analisi e di meno allarmismo. Cerchiamo di fare chiarezza. I voucher sono effettivamente cresciuti molto.
Sono passati da 15 milioni nel 2011 a 115 milioni nel 2015 e a 96,6 milioni nei primi 8 mesi del 2016. Il numero di persone che ha utilizzato i voucher è stato 1 milione 400 mila nel 2015, con un numero di voucher medio di 60 e un reddito medio da voucher inferiore a 500 euro netti nell’anno. Ebbene, se queste persone avessero lavorato solo il numero di ore registrate dai voucher, avremmo dovuto trovarne un riscontro nei dati Istat, attraverso una percentuale più alta del passato di occupati che lavorano poche ore. Invece non è successo. Nonostante diminuisca il numero complessivo di ore lavorate rispetto a inizio crisi, la percentuale di occupati che lavorano poche ore nella settimana è rimasta stabile. Sono infatti l’1,6% quelli che lavorano fino a 8 ore e il 3,7% da 9 a 16 ore. Come si concilia questo dato con il «boom dei voucher» di cui tanto si è parlato? I voucher, probabilmente, sono andati a coprire, per una parte importante, una porzione di lavoro sommerso di lavoratori che, nella rilevazione Istat, venivano intercettati con il loro effettivo numero di ore lavorate e sono regolarizzati solo per una minima parte di queste.
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