L’Arabia Saudita ha raccolto 17,5 miliardi di dollari coi titoli di stato
Per la prima volta nella sua storia, il paese ha iniziato a emetterli a livello internazionale: c'entrano la crisi del petrolio e l'austerità
Aggiornamento del 20 ottobre 2016
Con la sua prima vendita di titoli di stato, l’Arabia Saudita ha raccolto 17,5 miliardi di dollari, più di quanto avevano previsto gli analisti.
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L’Arabia Saudita ha iniziato ad accettare ordini per la prima emissione di titoli di stato a livello internazionale della sua storia. Il governo saudita ha deciso di collocare sul mercato tra i 10 e i 15 miliardi di dollari in obbligazioni, una cifra che renderà l’emissione una delle più grandi mai fatte in un paese in via di sviluppo, dopo quella da 16 miliardi dell’Argentina alla fine del 2015. I titoli di stato saranno divisi in tre fasce di maturità, cioè tre fasce di “durata” dell’obbligazione: cinque, dieci e trent’anni.
Secondo le prime linee guida pubblicate dal governo, il paese intende finanziarsi pagando un interesse medio del 3,6 per cento, che potrebbe scendere nel momento in cui i titoli di stato saranno collocati sul mercato: c’è stata molta domanda, e quindi l’interesse chiesto dai compratori potrebbe calare. Per fare un paragone, nel 2015 l’Italia si è finanziata emettendo titoli di stato con un rendimento medio dello 0,7 per cento (qui c’è un grafico col costo medio delle emissioni negli ultimi anni).
La prima emissione di titoli di stato nella storia dell’Arabia Saudita fa parte di un grande piano di riforma economica annunciato per la prima volta lo scorso novembre. Il regno si trova da tempo in una situazione molto difficile a causa del crollo del prezzo del petrolio, la sua principale esportazione e il pilastro della sua economia. Tra la fine del 2014 e oggi, il prezzo del petrolio si è più che dimezzato arrivando a circa 50 dollari al barile.
In risposta, l’Arabia Saudita ha introdotto un piano di austerità e riforme che è stato definito il più importante nella storia del paese, noto soprattutto per il suo conservatorismo sociale e religioso. Il piano, chiamato Vision 2030, prevede tra le altre cose tagli alle spese del governo e a quelle della famiglia reale. È stato voluto da Mohammad bin Salman Al Saud, che è figlio dell’attuale re Salman, è il ministro della Difesa ed è considerato una delle figure politiche principali nella complicata gerarchia della famiglia saudita, che regna in maniera assoluta sul paese.
L’Arabia Saudita è l’economia più importante di tutto il Golfo Persico, e la collocazione dei suoi titoli di stato avrà effetti in tutta la regione. La Giordania, ad esempio, sta pianificando un emissione di bond da iniziare subito dopo la collocazione dei titoli sauditi. Il Kuwait sta pensando di vendere alcune quote della sua compagnia petrolifera nazionale e lo stesso potrebbe accadere alla compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita, l’Aramco. Il Financial Times scrive che se una quota delle sue azioni sarà collocata in borsa, l’operazione potrebbe diventare la più grande della storia (al momento, la più grande è quella del sito di e-commerce cinese Alibaba).
La crisi del petrolio, però, è così grave che i paesi del Golfo dovranno compiere ulteriori sforzi per ripianare il deficit causato nei loro bilanci dal calo dei prezzi. Secondo un’analisi di Standard & Poor’s, i sei paesi che formano il Consiglio di cooperazione del Golfo – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Bahrein e Oman – avranno bisogno di raccogliere sui mercati un totale di 560 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni.