Il gran casino della Repubblica Popolare di Luhansk
È lo stato autoproclamato nell'Ucraina orientale dai separatisti filo-russi, che si contendono il potere e i traffici illeciti in una specie di lotta tra gang
di Jack Losh – The Washington Post
Dopo che nel 2014 i ribelli appoggiati dalla Russia fondarono la Repubblica Popolare di Luhansk, nell’autoproclamato stato dell’Ucraina orientale arrivò al potere come primo ministro un ex paracadutista diventato imprenditore. Gennady Tsypkalov, che in passato aveva lavorato nel settore degli oleodotti e sul cui conto giravano voci di legami con la criminalità organizzata, si era fatto la fama di essere un uomo riservato con molte conoscenze con il quale poter fare affari, un pragmatico filo-russo più che un ideologo separatista con posizioni estremiste. «Non era un bifolco ma nemmeno un gentiluomo», ha detto un suo ex collaboratore che ha chiesto di rimanere anonimo per via dei timori per la sua sicurezza. «Certo, aveva una visione romantica dell’Armata Rossa e delle glorie dell’impero sovietico. Ma era prima di tutto un imprenditore». Dopo essere stato rimosso dall’incarico un anno fa, Tsypkalov era stato arrestato a metà settembre con l’accusa voler organizzare un colpo di stato: è morto lunedì 3 ottobre.
Tsypkalov era tra le decine di importanti funzionari militari, comandanti dell’esercito e soldati a essere stati arrestati nelle ultime settimane. Nell’ambito di una netta e potenzialmente ampia riorganizzazione all’interno della piccola repubblica autoproclamata controllata dai ribelli, i separatisti appoggiati dai russi stanno epurando molte delle figure dell’opposizione interna. Gli arresti sono avvenuti dopo un presunto tentativo di colpo di stato contro l’autoritario capo della Repubblica Popolare di Luhansk sostenuto dal governo russo, Igor Plotnitsky, che prima di arrivare al potere grazie agli sconvolgimenti causati dalla guerra era un funzionario regionale poco importante.
Secondo gli analisti è possibile che la situazione cupa e violenta porti a un’intensificazione degli scontri sul fronte di guerra, e che sia legata alle dispute per il controllo dei redditizi canali di contrabbando tra la Russia e la parte dell’Ucraina controllata dal governo, che attraversano i territori dei ribelli. Potrebbe però anche riflettere la lotta politica interna tra chi, da Mosca, controlla i ribelli, in un periodo in cui le élite del governo russo usano la regione per portare avanti le loro battaglie private. «Queste battaglie di potere interne spesso hanno come causa le dispute territoriali, i guadagni del mercato nero e l’accesso agli aerei da guerra russi, e possono portare all’aumento degli scontri sulla linea di contatto», ha detto Alexander Clarkson, che insegna studi europei al King’s College di Londra. «Nell’Ucraina orientale avere il potere militare equivale ad avere il potere politico. Plotnitsky si sta impadronendo di entrambe le cose. Chiunque sia al potere, poi, dipende in sostanza dall’appoggio di Mosca». Parlando della sedicente Repubblica Popolare di Luhansk, Clarkson ha aggiunto: «Se questa repressione nella repubblica è legata alle lotte interne al Cremlino – se è quindi una guerra per delega tra le élite russe al potere nella quale i rivali di Mosca appoggiano le fazioni rivali di Luhansk – allora il tutto assume un’importanza strategica più ampia».
Famosa per le sue fazioni ribelli in lotta tra loro, Luhansk è stata distrutta dalle lotte interne tra il clan di Plotnitsky e l’MBG, i potenti servizi di sicurezza dei separatisti, che hanno lo stesso nome dell’apparato di sicurezza di Stalin. I signori della guerra filo-russi che hanno provato a ritagliarsi il loro territorio sono stati uccisi in attentati che secondo molti sono stati pianificati e compiuti dall’interno da gruppi di ribelli rivali o da forze d’élite russe. Ma se da una parte la possibilità di venire assassinati era diventata un rischio intrinseco all’incarico di comandante militare nella Repubblica Popolare di Luhansk, fino a ora i politici civili non erano mai sembrati soggetti alla stessa minaccia. Prima di autorizzare la repressione di settembre, i leader dei separatisti avevano tenuto diverse conferenze stampa in successione sostenendo di aver soffocato una ribellione, parlando di nemici interni e agenti stranieri aiutati dalle forze ucraine. Diversi esperti hanno espresso dei dubbi su queste affermazioni, citando la mancanza di prove.
Alexander Zakharchenko, capo dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, ha detto di aver impiegato le proprie truppe per contribuire alla soppressione della presunta rivolta nella vicina Luhansk: se fosse vero, sarebbe una mossa senza precedenti e un segnale della maggiore cooperazione tra i due pseudo-stati, da tempo noti per i loro rapporti tesi. «Ho dovuto mandare un battaglione per risolvere i loro problemi», ha detto Zakharchenko. Le autorità della Repubblica Popolare di Luhansk hanno rivelato che Tsypkalov era stato arrestato solo quando hanno diffuso la notizia della sua morte durante l’incarcerazione. Il procuratore capo di Luhansk ha detto che l’ex primo ministro aveva manifestato tendenze suicide e si era poi impiccato in cella, consumato dal senso di colpa per la «gravità del suo crimine». «Tsypkalov non aveva paura di Dio né del diavolo. Suicidarsi non era nella sua natura», ha detto un ex collaboratore di Tsypkalov e membro del regime, che ha parlato a patto di rimanere anonimo per via dei timori per la sua sicurezza. «Questo “colpo di stato” era soltanto una scusa per fare una caccia alle streghe».
Dalla notizia della morte di Tsypkalov hanno iniziato a circolare resoconti contrastanti sul destino di Vitaly Kiselev, vice ministro della Difesa della Repubblica Popolare di Luhansk, meglio conosciuto con il suo nome di battaglia “Comunista”, anche lui incarcerato con l’accusa di aver pianificato il colpo di stato. Stando ad alcune ricostruzioni Kiselev sarebbe morto durante un interrogatorio. Le autorità della Repubblica Popolare di Luhansk hanno contestato questa versione dei fatti pubblicando un video in cui si vede il comandante in carcere, apparentemente illeso. Si dice che Tsypkalov e Kiselev fossero molto coinvolti nel mercato nero: il primo avrebbe beneficiato del contrabbando di carbone e gas, mentre il secondo di quello delle sigarette. La loro rimozione dovrebbe permettere ai collaboratori di Plotnitsky di avere maggior accesso alle loro risorse. Pare anche che il regime abbia arrestato l’ex capo del Parlamento Alexei Karyakin e l’ex ministro dell’Interno Igor Kornet. Karyakin, che era in fuga da quando la Repubblica Popolare di Luhansk aveva emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti, sarebbe stato detenuto in Russia e poi rimandato a Luhansk. La maggior parte delle persone arrestate erano «coinvolte in affari sporchi», ha detto un comandante militare dei separatisti che ha chiesto di restare anonimo per non dare ai suoi capi «alcuna ragione per dubitare della nostra lealtà». Il comandante ha detto che quella a Luhansk è stata «un’operazione di pulizia», aggiungendo che «forse l’arresto di queste persone migliorerà un po’ la vita nella repubblica».
Le epurazioni non sembrano destinate a finire presto. «Quando Mosca ha a che fare con figure che non gradisce, il processo è senza intoppi e mortale», ha detto Mark Galeotti, un esperto di questioni di sicurezza russe e ricercatore dell’Istituto di relazioni internazionali di Praga. «Il caos che c’è adesso a Luhansk non sembra opera della Russia: è la politica di una gang di strada, bisticci tra i capi di un complotto criminale. Non è un rapido regolamento di conti e potrebbe scatenare una lunga scia di vendette e faide». Sarà difficile che la violenta riorganizzazione all’interno della Repubblica Popolare di Luhansk porti a un indebolimento del regime che il governo di Kiev sarà in grado di sfruttare sul campo di battaglia. Politicamente Plotnitsky – i cui genitori sono morti il mese scorso, apparentemente per aver mangiato dei funghi avvelenati – ha dimostrato di essere determinato e pericoloso. Militarmente, nonostante continui a reggere una sorta di tregua, la Russia è sempre pronta a far arrivare armi, soldi e combattenti dall’altra parte del confine, se necessario.
© 2016 – The Washington Post