A Mosul si aspetta
Adriano Sofri racconta cosa succede nella città irachena controllata dall'ISIS, quando manca poco alla battaglia per la sua riconquista
Adriano Sofri è a Erbil, a pochi chilometri da Mosul, e ha raccontato sull’Unità com’è la situazione nella grande città nel nord dell’Iraq che dal giugno del 2014 è controllata dallo Stato Islamico, e dove tra poco – non si sa esattamente quando, ma è una questione di ore o di giorni – comincerà la battaglia con la quale una formazione composta da forze militari diverse, che comprendono l’esercito iracheno, i peshmerga curdi e Hashd al Shabi – un gruppo paramilitare sciita – proverà a riconquistare la città. Nella notte tra sabato e domenica l’esercito iracheno ha lanciato su Mosul dei volantini per avvisare gli abitanti della battaglia, e spiegando le misure di sicurezza da adottare.
Affidarsi ai vari portavoce è impossibile: non che tengano le bocche cucite, al contrario, annunciano ciascuno una data, da domani mattina a gennaio prossimo. Ci si regola su quello che si vede, convogli lunghissimi di blindati trasportati su grossi camion diretti al fronte di nord est attraverso il territorio curdo: sono dell’esercito iracheno, benché alcuni alzino la bandiera con il volto dell’imam Hussein, il protomartire sciita. Ci si regola su quello che si sente, un andirivieni di grossi aerei militari e di elicotteri sulle nostre teste.
I capi dell’esercito iracheno proclamano di essere pronti – “in 65 mila” – e di aspettare solo l’ordine da Baghdad. I peshmerga di Erbil sono pronti per definizione, e stanno zitti. I peshmerga di Suleimania e di Kirkuk avvertono che prima bisogna prendere l’ultima roccaforte irriducibile di Hawijia, già qaedista poi dell’Isis, per sgombrare l’intera riva orientale del Tigri. Hashd al Shaabi, i famigerati sciiti «paramilitari» ammoniscono che loro ci saranno – «in 24 mila» -e che non c’è bisogno di altri, tanto meno dei turchi. I curdi del Pkk e di Siria non lo dicono ma ci saranno; rivendicano una nuova divisione della provincia di Ninive in cui un territorio sia loro riservato. Gli americani dicono che non vogliono il Pkk né i paramilitari sciiti.
I turchi di Erdogan rigettano sprezzantemente gli ultimatum di Baghdad, loro sono già a Bashiqa, a un tiro di schioppo, diciamo così, da Mosul, e avanzeranno: e dietro di loro fa ormai capolino la Russia che i giri di valzer diplomatici hanno avvicinato all’unico fronte dal quale erano ancora tagliati fuori. Erdogan, che Dio lo aiuti, ha detto ieri di avere un piano B e anche uno C… Gli iraniani non hanno bisogno di dire niente, per loro parlano i governanti di Baghdad e strepitano le milizie Shaabi. Poi ci sono i battaglioni di yazidi, di assiri cristiani, di shabak e turcmeni sciiti…
I sauditi si riuniscono con gli emirati per ammonire l’Iran a stare alla larga. A terra, sia pure con la beneducata avvertenza di svolgere solo compiti di istruzione e logistica, ci sono anche i militari della coalizione, americani, francesi, italiani, britannici eccetera. Le truppe in terra, gli scarponi sul suolo famosi, sono diventati fin troppi.