Vale la pena comprare un visore per la realtà virtuale?

Google, Facebook, Samsung e tanti altri dicono che i loro visori sono il futuro della tecnologia, ma non è chiaro per farci cosa

Mark Zuckerberg all'evento Samsung del 21 febbraio 2016 a Barcellona, Spagna (Mark Zuckerberg su Facebook)
Mark Zuckerberg all'evento Samsung del 21 febbraio 2016 a Barcellona, Spagna (Mark Zuckerberg su Facebook)

Mark Zuckerberg, il CEO di Facebook, è convinto che in un futuro neanche troppo lontano l’umanità passerà parte del suo tempo con un affare in faccia, un visore fatto apposta per entrare in mondi virtuali di ogni tipo in cui ritrovarsi con gli amici, navigare su Internet, guardare film e giocare ai videogiochi. Da quando ha acquisito la società specializzata in realtà virtuale Oculus, Facebook ha investito decine di milioni di dollari per raggiungere l’obiettivo immaginato da Zuckerberg, e per arrivarci prima dei concorrenti che ripongono altrettanta fiducia nei caschi e nei visori. Oltre a quelli di Oculus, sul mercato ci sono già decine di altri sistemi per la realtà virtuale e l’offerta non manca, anche se per ora la richiesta di questi prodotti è limitata e non è chiarissimo se riusciranno a ritagliarsi uno spazio diventando per lo meno complementari con altri dispositivi, come gli smartphone. Per i più critici, i visori per la realtà virtuale sono meno utili degli smartwatch e non hanno futuro; per i più ottimisti come Zuckerberg sono il futuro della comunicazione, solo che non lo abbiamo ancora capito.

Ma non ne parlavamo già 20 anni fa?
I sistemi per la realtà virtuale non sono di per sé una novità. I primi dispositivi per dare l’opportunità allo spettatore di sentirsi parte di ciò che sta vedendo sullo schermo, coinvolgendo i suoi sensi in maniera realistica, furono teorizzati negli anni Cinquanta e già nei primi anni Sessanta ne furono realizzate versioni che funzionavano meccanicamente come il Sensorama. Il primo sistema di realtà virtuale per come lo intendiamo oggi fu realizzato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) nel 1977, ma solo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta furono introdotti caschi che avrebbero dovuto simulare realisticamente mondi immaginari, coinvolgendo completamente lo spettatore.

La realtà virtuale non ha mai fatto davvero presa, sostanzialmente per problemi di praticità e di resa dei visori. Il principale problema, rimasto insormontabile fino a qualche anno fa, era legato al ritardo (“lag”) tra le cose mostrate sullo schermo del visore e i movimenti della testa dello spettatore: lo scarto di poche frazioni di secondo era sufficiente per consentire al cervello di distinguere la scena della realtà, rendendo inutile l’effetto della virtualità. In molte persone il ritardo causava inoltre rapidamente un forte senso di nausea, con un meccanismo simile a quello del mal d’auto. I progressi raggiunti negli ultimi anni con la drastica riduzione del ritardo – ormai marginale grazie a processori e sistemi più veloci per elaborare le immagini – hanno permesso di superare uno dei principali ostacoli per rendere realistici gli effetti mostrati dai visori. Quelli che ci sono riusciti meglio sono stati proprio i ricercatori di Oculus, che ancora oggi dedicano molto della loro ricerca finanziata da Facebook a ridurre sempre di più il ritardo.

Non c’è un solo visore
Prima di comprare un visore per la realtà virtuale, è bene farsi un’idea di come è organizzata per ora l’offerta. Da una parte ci sono i visori veri e propri, come quelli prodotti da Oculus e da Sony, che servono soprattutto per i videogiochi e per avere esperienze più coinvolgenti e “immersive”, come dicono quelli che la sanno lunga; dall’altra ci sono i sistemi per trasformare il proprio smartphone in un visore. I primi sono di gran lunga più costosi dei secondi, quindi come avviene spesso nel campo dei gadget tecnologici ci si deve chiedere: cosa voglio fare con un visore e cosa ci potrò fare tra un anno? Probabilmente prima di questa avrete in mente un’altra domanda: ma a che cavolo mi serve? Ci arriveremo dopo.

Il primo della classe
A oggi il miglior casco per la realtà virtuale in circolazione è il Rift, di Oculus. Il visore ha ricevuto recensioni estremamente positive da buona parte delle testate di tecnologia ed è la migliore dimostrazione delle capacità di questi dispositivi. Ha uno schermo molto definito e un sistema di sensori per rilevare la sua posizione nello spazio, in modo da adattare meglio le immagini che mostra a seconda di come si muove la testa. Può essere utilizzato con diversi videogiochi del catalogo della console Xbox e Oculus sta lavorando per arricchire il suo Store, dal quale si possono scaricare simulatori e applicazioni di vario tipo, come dall’App Store per gli iPhone. Oculus ha inoltre presentato di recente Touch, due controller che permettono di manipolare le cose che si vedono nei mondi virtuali, usando normalmente le mani in modi piuttosto realistici.

Rift non è autonomo: per funzionare deve essere collegato per forza a un computer, e non a un PC qualsiasi: richiede grandi capacità di calcolo, quindi un portatile che usate per il lavoro o un computer da tavolo vecchio di qualche anno non offrirà le risorse necessarie. Oculus sta lavorando per rendere il suo visore meno ingordo, in modo che funzioni con più PC, ma attualmente l’unica soluzione per non avere cattive sorprese è comprare un computer che sia indicato come “Oculus Ready”, cioè pronto per funzionare con Rift e gli altri prodotti della società. Significa mettere in conto una spesa intorno ai 1.000 euro, che vanno aggiunti ai 699 necessari per comprarsi il Rift. La migliore realtà virtuale disponibile costa.

Vive vs Rift
Il principale concorrente dei Rift di Oculus è Vive, un casco per la realtà virtuale prodotto dalla taiwanese HTC insieme con Valve, casa di produzione di videogiochi e tra i principali distributori di giochi online tramite la sua piattaforma Steam. Vive è in vendita dallo scorso aprile e a inizio anno ha ricevuto 22 premi al CES, la più grande fiera di elettronica al mondo che viene organizzata annualmente a Las Vegas, negli Stati Uniti. Vive ha diverse cose in comune con Rift, a partire da un sistema molto accurato per tenere traccia degli spostamenti del visore nello spazio, anche in profondità, rendendo quindi più realistiche le interazioni soprattutto nei videogiochi. Come Rift, anche Vive ha due controller che servono per manipolare li oggetti negli ambienti virtuali in modo piuttosto realistico. Il sistema funziona collegandolo a un computer, che deve essere potente a sufficienza, mentre videogiochi e altre applicazioni possono essere scaricate dalla sezione di Steam per la realtà virtuale.

La principale differenza tra Vive e Rift è la presenza sul primo di una videocamera nella parte frontale del casco: serve per la realtà aumentata, cioè per sovrapporre ad ambienti reali oggetti virtuali, e ha anche una funzione di sicurezza per evitare di andarsi a sfracellare contro qualche arredamento di casa quando si è molto presi in un gioco. Vive costa 899 euro.

Un buon compromesso
Sony in questi anni ha ottenuto un grande successo con la sua PlayStation, una delle console per videogiochi più vendute al mondo, e per mantenerlo sta cercando di anticipare i concorrenti con un suo visore che ha chiamato PlayStation VR per sfruttare un marchio già molto conosciuto. A differenza di Oculus, il sistema per la realtà virtuale di Sony funziona collegandolo a una PlayStation e sfrutta in parte soluzioni già messe in vendita in passato dall’azienda, come i controller per gestire le azioni di gioco muovendoli nello spazio e non solo schiacciando tasti. Il PlayStation VR ha una resa inferiore rispetto al Rift, ma in compenso può contare su un catalogo piuttosto ampio di giochi già compatibili con il nuovo sistema e con applicazioni per usare il visore in contesti diversi da quelli dei videogiochi.

Oltre a non richiedere l’acquisto di un computer potente a sufficienza, il PlayStation VR è più semplice da configurare e funziona senza intoppi con la console di Sony, a patto che sia una PlayStation 4. Anche il prezzo è inferiore rispetto ai Rift: il PlayStation VR costa 399 euro. Nella confezione non è però compreso il sensore per rilevare gli spostamenti del casco nello spazio, questo perché è lo stesso sistema già usato per i controller PlayStation Move. Chi non li ha mai acquistati dovrà quindi spendere altri 69 euro per la PlayStation Camera.

Più economici
Come dicevamo in precedenza, c’è una seconda categoria di caschi per la realtà virtuale molto più economici: sono quelli che funzionano trasformando il proprio smartphone in un visore. Ne esistono decine di modelli, ma il principio di base è più o meno lo stesso per tutti: hanno uno scompartimento in cui inserire lo smartphone, con lo schermo rivolto verso le lenti attraverso cui si osservano i mondi virtuali. È quindi lo smartphone a rilevare con i suoi sensori i movimenti della testa e a regolare di conseguenza l’immagine mostrata sullo schermo, anche se alcuni modelli offrono sensori aggiuntivi per rendere più precise le rilevazioni. La resa è inevitabilmente inferiore rispetto a quella del Rift e può esserci un po’ di ritardo, quindi sono visori adatti per vedere fotografie e video panoramici in modo più coinvolgente, mentre non sono molto utili per i videogiochi.

Prima di acquistare uno di questi visori è necessario verificare che sia compatibile con il proprio smartphone. Samsung, il più grande produttore di smartphone al mondo (ultimamente con qualche guaio), ha realizzato il suo Gear VR in collaborazione con quelli di Oculus. Il visore è compatibile con gli smartphone Galaxy S7 ed S6 e le loro varianti Edge, e può essere utilizzato anche con i Note 5; costa 129 euro e può essere usato con numerose applicazioni, sia per vedere passivamente contenuti sia per giocare. Altri produttori come LG, Zeiss e di recente Google hanno iniziato a produrre visori per diversi smartphone, anche a prezzi inferiori. Alcuni sono compatibili con gli iPhone, anche se finora Apple non ha dimostrato particolare interesse per queste soluzioni.

Ok, ma che me ne faccio?
I visori come il Rift e il PlayStation VR al momento danno il loro meglio nel campo dei videogiochi, soprattutto con quelli che sono stati progettati già con in mente la realtà virtuale come sistema di fruizione: si gioca in modo diverso, ci si sente molto più coinvolti, forse persino più responsabilizzati nei confronti dei propri personaggi. Il problema è che per ora i titoli realizzati per i visori sono pochi e sarà necessario qualche mese prima di avere un minimo di scelta. Per quanto futuristici, i visori per gli smartphone sono invece più spartani e danno il meglio in ambiti ristretti, legati più che altro alla visione di fotografie e video panoramici. Sono ideali per fare un salto su Marte, guardare qualche video a 360° su Facebook e YouTube, ma dopo qualche minuto viene da sfilarseli per tornare a usare normalmente il proprio smartphone.

Difetti
Utilizzando un visore per la realtà virtuale si ha la netta impressione di avere per le mani, anzi in faccia, una tecnologia che deve ancora maturare molto. Le idee di base su come farla funzionare ci sono tutte e alcune aziende, come Oculus, hanno lavorato moltissimo sui dettagli, ma c’è ancora molto da fare. I visori sono ingombranti, pesano ancora troppo, schiacciano la faccia, sono una tortura se indossi gli occhiali e non riesci a regolarli bene, tengono caldo e danno un lieve senso di claustrofobia, nonostante il loro intento di aprire la vista e gli altri sensi verso nuovi mondi, fantastici o irraggiungibili. I sistemi più potenti funzionano inoltre solo se sono collegati a un PC o a una console per videogiochi, per lo più solo via cavo, perché la quantità di dati che deve essere trasmessa non rende pratico l’utilizzo di sistemi senza fili. Per contro, i visori per gli smartphone registrano solo i movimenti della testa, ma non gli spostamenti in profondità nello spazio: non capiscono quindi se stai avanzando, o se per esempio ti stai sporgendo per guardare oltre un cornicione virtuale.

Un giorno forse
Sono tutti difetti superabili, comunque: la tecnologia di questi dispositivi si sta evolvendo molto rapidamente, e basta pensare a come fossero i caschi per la realtà virtuale solo un paio di anni fa per rendersene conto. In futuro probabilmente avremo visori talmente potenti e miniaturizzati da essere inseriti sulle montature degli occhiali da sole e da vista, senza grandi ingombri e cavi che ci tengono costretti a un computer da tavolo. Una sorta di versione evoluta e davvero funzionante dei Google Glass, il progetto molto ambizioso di Google ormai quasi del tutto abbandonato dopo gli insuccessi registrati negli ultimi anni. Ma anche pensando alla migliore tecnologia possibile, è difficile ora come ora immaginare un futuro in cui inforcheremo un paio di occhiali per vedere i nostri amici, senza vederli veramente, in ambienti virtuali in cui giocare a biliardo o guardare insieme un film.

Durante un evento organizzato da Oculus a San Jose, in California, la settimana scorsa, Zuckerberg ha illustrato un prototipo dei sistemi di realtà virtuale che metteranno insieme Facebook e i visori per la realtà virtuale. L’idea è trasferire in ambienti tridimensionali le interazioni con i propri amici, mettendo insieme applicazioni e funzioni diverse. La dimostrazione di Zuckerberg è stata a tratti sorprendente, ma l’impressione è che nessuno abbia ancora capito come padroneggiare e rendere convincente questa tecnologia oltre al suo impiego nei videogiochi.