La storia delle storie vere di crimini
Da dove viene il genere "true crime": va dai libretti sui crimini raccapriccianti dell'Inghilterra cinquecentesca al documentario appena uscito su Amanda Knox
Il documentario Amanda Knox, disponibile su Netflix dal 30 settembre e incentrato sulle indagini sull’omicidio di Meredith Kercher, è il primo esempio in Italia di un nuovo modo di raccontare storie vere di crimini: non come nei tradizionali programmi televisivi ma con uno stile più contemporaneo, che ricorda la struttura delle serie tv. Nel 2014 si parlò molto del podcast Serial, uno dei più famosi di sempre, che racconta l’omicidio di Hae Min Lee, una studentessa di un liceo di Baltimora avvenuto nel 1999.
Nel 2015 uscirono il documentario a puntate di HBO The Jinx sulla storia di Robert Durst, coinvolto in due casi di omicidio e in una sparizione, e la serie di Netflix Making a Murderer, sull’ingiusta condanna per stupro subita da un uomo di nome Steven Avery negli anni Ottanta, sulla sua scarcerazione nel 2003 e sulla sua successiva accusa per omicidio in un altro caso. Si tratta dell’ultima evoluzione del cosiddetto true crime, il racconto di crimini realmente accaduti fatto in forma narrativa e letteraria: un genere ora molto diffuso ma nato in Gran Bretagna tra il 1550 e il 1700, trattato con sufficienza in epoca Vittoriana ed elevato nel capolavoro di Truman Capote, A sangue freddo.
Le origini del true crime
In un articolo pubblicato sul sito JSTOR Daily, l’autrice e studiosa Pamela Burger fa risalire l’origine del true crime ai resoconti di omicidi e crimini stampati su fascicoletti lunghi dalle 6 alle 24 pagine e diffusi in Inghilterra dalla metà del Cinquecento. Con l’aumento del numero di persone in grado di leggere e con la diffusione della stampa a caratteri mobili, inventata da Johannes Gutenberg nel 1455, gli stampatori pubblicarono centinaia di questi libretti per intrattenere il pubblico. Nello stesso periodo divennero popolari le ballate che raccontavano le storie dei criminali più famosi d’Inghilterra, che venivano stampate e incollate sui muri di città e villaggi. I crimini che ricevevano più attenzione erano, come oggi, quelli legati a una violenza domestica o sessuale, quelli commessi da donne e quelli particolarmente sanguinolenti. Spesso i resoconti di queste storie contenevano illustrazioni cruente di smembramenti, torture e atti di stregoneria.
Le ballate sui crimini dell’Inghilterra cinquecentesca hanno una caratteristica in comune con molti documentari di oggi, e che connota profondamente il true crime: raccontavano le cose dal punto di vista di chi aveva commesso il crimine, e chi le leggeva era portato a immedesimarsi per la prima volta con il cattivo della storia, o anche solo a sforzarsi di capire le ragioni del crimine.
Burger spiega che i fascicoletti sui crimini erano prodotti di intrattenimento che oggi sembrerebbero superficiali e scandalistici, ma all’epoca non erano destinati a un pubblico di massa: soltanto i borghesi avevano la capacità e il tempo per leggerli e il denaro per acquistarli. Erano dunque prodotti di intrattenimento rispettabili, e nonostante il tono sensazionalistico avevano spesso uno scopo didattico o moralistico, a volte erano persino una forma di propaganda politica.
Il fascino per le storie dei criminali
Fu solo nell’Ottocento che anche le persone comuni poterono leggere le storie vere dei crimini contemporanei, stampate sui giornali e su altre pubblicazioni economiche. Tra l’Ottocento e il Novecento le persone smisero di assistere alle esecuzioni degli omicidi ma finirono per seguire, attraverso i giornali e poi con la tv, i processi e le indagini. Già nell’Ottocento intanto, alcuni autori letterari si interessarono e finirono per raccontare o romanzare le storie vere dei crimini pubblicati sui giornali o per criticare il sistema di pene in uso.
Charles Dickens, ad esempio, descrisse la vita dei carcerati della prigione londinese di Newgate in un breve resoconto, pubblicato nel 1836 nella raccolta di brevi scritti Sketches by Boz. Del 1827 invece è il saggio satirico L’assassinio come una delle belle arti dello scrittore Thomas De Quincey, in cui l’omicidio viene paragonato a una pratica artistica: De Quincey citò aneddoti veri o presunti delle vite di filosofi e politici, ma anche reali casi di cronaca nera dal XVII secolo in poi, tra cui i sette omicidi di Ratcliffe Highway, avvenuti nel 1811 e diventati una specie di ossessione nazionale per la loro brutalità. Un poscritto del 1954 a L’assassinio come una delle belle arti raccontava la storia dal punto di vista dell’assassino e per questo è considerato un precursore di A sangue freddo di Truman Capote, pubblicato nel 1966, un romanzo ispirato a un fatto vero di cronaca nera.
Nel 1840 William Thackeray, l’autore di La fiera delle vanità, scrisse il saggio contro l’impiccagione Going to See a Man Hanged, in cui criticava anche le posizioni di Dickens; Thackeray era molto contrario ai cosiddetti “romanzi di Newgate“, pubblicati tra il 1820 e il 1840, che raccontavano o romanzavano le vite di famosi criminali, e lo stesso Oliver Twist di Dickens è considerato parte di questo genere letterario. Una versione più popolare ed economica di quei romanzi erano i cosiddetti penny dreadful (espressione che si può tradurre con “storie spaventose a un penny”), romanzi di genere venduti a puntate in fascicoli settimanali. Raccontavano storie di investigatori, criminali ed esseri soprannaturali, ed erano rivolti ai ragazzi della classe operaia.
Nella seconda metà dell’Ottocento vennero scritti e pubblicati anche i primi libri gialli. Secondo Pamela Burger il primo libro di questo nuovo genere letterario fu le Memorie di François Vidocq, un criminale francese diventato poi investigatore, pubblicate nel 1828. A Vidocq e ai suoi metodi si ispirarono Victor Hugo per il personaggio dell’ispettore Javert de I miserabili, ed Edgar Allan Poe per Auguste Dupin di I delitti della Rue Morgue, che a sua volta fece da modello per lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle.
Come A sangue freddo cambiò il true crime
Nel 1966 uscì A sangue freddo (In Cold Blood) di Truman Capote: raccontava il massacro di una famiglia in Kansas nel 1959 e il processo ai due assassini, e venne presentato (un po’ esagerando) come il primo romanzo interamente basato su fatti realmente accaduti. Il libro rivoluzionò il true crime, facendolo entrare di fatto nella letteratura, e insistendo molto sul punto di vista dei, presunti, criminali. A sangue freddo ha aperto la strada ad altri libri letterari di cronaca nera: uno degli autori più famosi del genere è James Ellroy, autore tra gli altri di Dalia nera, White jazz, L.A. Confidential e American Tabloid, scritti tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta. Più di recente, nel 2002, il giornalista e scrittore Philip Gourevitch (per cinque anni direttore della rivista Paris Review) ha raccontato un caso di cronaca nera nella New York degli anni Sessanta; in Europa lo scrittore francese Emmanuel Carrère ha raccontato ne L’avversario la storia dell’assassino Jean-Claude Romand.
In Italia
Conoscere le tecniche di indagine grazie alla narrativa – e poi al cinema e alle serie tv – ha permesso da un lato a lettori e spettatori di seguire meglio le indagini reali e i processi, dall’altro ha fatto nascere diversi prodotti, più o meno raffinati, dedicati alle storie vere di crimini. In Italia ci sono riviste popolari come Cronaca Vera che parlano spesso di storie vere di violenza (romanzando e inventandone buona parte), e programmi televisivi come Storie Maledette di Franca Leosini, che intervista persone condannate per omicidi famosi.
Negli ultimi trent’anni molti scrittori hanno raccontato storie criminali in modo più o meno romanzato: Carlo Lucarelli nel programma tv Blu Notte – Misteri Italiani e con alcuni libri che ricostruiscono casi di cronaca; Giancarlo De Cataldo in Romanzo Criminale, ispirato alla storia vera della banda della Magliana, e con il seguito ideale, Nelle mani giuste. Roberto Saviano ha raccontato la criminalità organizzata in Gomorra e ZeroZeroZero. Tra i libri dedicati a un famoso caso di cronaca nera c’è poi L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1993) di Gianfranco Bettin, sugli omicidi nel 1991 di Antonio Maso e Mariarosa Tessari, commessi dal figlio della coppia Pietro, all’epoca ventenne, per ottenere l’eredità.