I medici di famiglia stanno finendo?
Entro il 2023 circa 21.700 di loro andranno in pensione, e con il tortuoso sistema attuale di graduatorie e corsi si farà fatica a rimpiazzarli
Entro il 2023 circa 21.700 medici di famiglia italiani andranno in pensione, e con l’attuale sistema per l’assegnazione dei posti da medici di base si farà fatica a sostituirli: potrebbero essercene 16mila in meno rispetto al numero considerato necessario. Lo dicono i dati dell’ENPAM, l’ente nazionale di previdenza per i medici e gli odontoiatri, presentati durante il 72esimo congresso nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Famiglia (FIMMG), il più grande sindacato dei medici di base, che si è svolto dal 3 all’8 ottobre. Secondo le stime dell’ENPAM, e considerando che il numero medio di pazienti per ogni medico di famiglia è circa 1.200, nel 2023 un italiano su tre potrebbe rimanere senza medico di base: le regioni in cui andranno in pensione più medici sono la Lombardia (2.776), il Veneto (1.600) e il Piemonte (1.173). La previsione si basa sulle attuali modalità di selezione dei nuovi medici di medicina generale (il nome corretto dei medici di base, che hanno sostituito i “medici della mutua” nel 1980) e sul presupposto che non venga aumentato il numero massimo di pazienti per medico, che attualmente è 1.500.
In Italia ci sono 88,9 medici di base ogni 100mila abitanti: secondo i dati Eurostat non siamo il paese europeo che ne ha meno, ma comunque siamo molto sotto Irlanda (234,8 medici di base ogni 100mila abitanti), Germania (167,4) e Francia (155,5). Se si considera il numero totale di medici, specialisti compresi, siamo il secondo paese dell’Unione Europea dopo la Germania. Siamo anche il paese dell’UE con il più alto numero di medici con più di 55 anni: sono il 49 per cento di tutti i medici italiani.
Il problema dell’impossibilità di sostituire i medici di base che vanno in pensione è stato sollevato dall’ENPAM e dalla FIMMG già alcuni anni fa. Gli ultimi dati del ministero della Salute sul numero di medici italiani risalgono al 2012, quindi non sono del tutto attuali, ma non sembrano smentire i dati dell’ENPAM: sui 45.437 medici di medicina generale che lavoravano in Italia nel 2012, 28.463 – più del 60 per cento – erano laureati da più di 27 anni e dunque erano vicini alla pensione, che per i medici si può raggiungere anche solo dopo 35 anni di contributi se si hanno almeno 61 anni. Anche il numero di medici di base laureati da meno di 6 anni è indicativo della situazione della medicina generale: nel 2012 erano solo 69 in tutta Italia, cioè meno dell’1 per cento.
Carlo Curatola, segretario del Settore Continuità Assistenziale FIMMG di Modena, ha spiegato al Post che ci sono tanti medici di medicina generale che si avvicinano all’età pensionabile perché fanno parte della generazione che entrò nel Sistema Sanitario Nazionale quando questo venne introdotto all’inizio degli anni Ottanta. Prima i medici di famiglia erano pagati dagli enti mutualistici a cui le persone si riferivano in base al loro lavoro o a quello dei loro famigliari, e i medici della mutua potevano anche avere 2.000 o 3.000 pazienti. Quando si passò al nuovo sistema, in cui vige la regola per cui il numero massimo di pazienti di un medico di base è 1.500, il numero dei medici di medicina generale raddoppiò: i giovani medici di allora, la generazione che ora sta per andare in pensione, presero quei posti in più.
Come si diventa medici di base
La ragione per ci troviamo in questa situazione è legata sopratutto al modo in cui si diventa medici di medicina generale. La prima parte del percorso professionale è uguale per tutti i tipi di medici. Per prima cosa bisogna laurearsi in Medicina e Chirurgia, ovviamente, e poi abilitarsi alla professione medica attraverso l’esame di stato: a quel punto un medico può già lavorare come libero professionista, per esempio sostituendo saltuariamente medici di base, facendo prelievi del sangue nei laboratori o svolgendo attività di guardia medica. Per avere un lavoro stabile come medico però bisogna specializzarsi in una delle branche della medicina oppure conseguire il diploma di formazione specifica in Medicina Generale.
Prima del 1991 qualsiasi laureato in Medicina e Chirurgia poteva diventare medico di base, e così è ancora oggi per chi è diventato medico prima del 1995. I laureati dopo il 1995 invece devono seguire un corso di formazione specifica in Medicina Generale per poter fare i medici di famiglia. Non è una specializzazione universitaria, come per esempio quelle in ginecologia o in ortopedia, e infatti viene organizzato dalle regioni e dalle province autonome, non dalle università. Il corso dura tre anni e comprende una parte di lezioni e un’altra, molto consistente, di servizio in reparti ospedalieri, in poliambulatori dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e nello studio di un medico di medicina generale. Per frequentarlo i laureati abilitati alla professione medica ricevono una borsa di studio di circa 800 euro al mese, molto più bassa rispetto alla retribuzione prevista per le specialistiche. Per poter accedere al corso è necessario superare un esame che si tiene una volta all’anno: il concorso è bandito dal ministero della Salute ma organizzato dagli assessorati regionali competenti, e i corsi regionali sono a numero chiuso.
Il numero di posti disponibili nei corsi di formazione varia da regione a regione (per l’Emilia Romagna quest’anno era 70, per esempio) e in tutta Italia non è maggiore di 900-1.000 all’anno. I medici di base che invece vanno in pensione ogni anno sono circa 3.000: sembra impossibile quindi mantenere costante il numero di medici di base in servizio, tenendo poi conto del fatto che alcuni medici che iniziano il corso post-laurea lo abbandonano prima di terminarlo (nel 2013 il tasso di abbandono medio era del 10 per cento). Per questa ragione secondo il presidente dell’ENPAM Alberto Oliveti «bisogna aumentare i posti nelle scuole post-laurea di medicina generale».
L’ammissione ai corsi post-laurea non è l’unico problema
Le regioni potrebbero aumentare autonomamente il numero di posti disponibili nei propri corsi di formazione in base alle necessità locali, e i dati raccolti dall’ENPAM mostrano che sarebbe utile aumentare il numero delle borse di studio previste da ogni regione. Se le regioni non lo fanno è probabilmente a causa del modo in cui sono realizzate le graduatorie regionali per l’assegnazione dei posti da medico di medicina generale: una conclusione a cui è arrivato uno studio realizzato da Carlo Curatola insieme a Letizia Angeli, vicesegretaria del Settore Continuità Assistenziale FIMMG di Modena.
I posti disponibili per dare lavoro a nuovi medici sono stabiliti ogni anno dagli assessorati regionali, che individuano le zone in cui c’è carenza di medici di base: i posti e le relative convenzioni con il Sistema Sanitario Nazionale – i medici di base non sono dipendenti, ma liberi professionisti che lavorano “in convenzione” – sono assegnati seguendo una graduatoria che dipende dall’esperienza di ogni medico e dai risultati ottenuti al corso di formazione post-laurea per coloro che lo hanno frequentato.
Le diverse graduatorie regionali dicono che ci sono moltissime persone pronte a rimpiazzare i medici di base che vanno in pensione, ma nella realtà non è così, ha spiegato Carlo Curatola al Post. Lo studio – compiuto sui dati della regione Emilia Romagna e poi replicato con risultati analoghi anche per Toscana e Calabria – mostra che circa solo il 40 per cento dei medici in graduatoria è davvero interessato a diventare medico di base: gli altri sono per esempio medici che già fanno i medici di base o hanno uno studio specialistico di qualche tipo ma restano nelle graduatorie per sicurezza, nel caso in futuro abbiano bisogno di cambiare lavoro. Grazie alla loro esperienza e al lavoro che svolgono, la loro posizione nelle graduatorie è più alta rispetto a quella dei medici giovani e la loro presenza nelle graduatorie fa sì che non sia evidente il bisogno di formarne di nuovi, che invece esiste: sarà più evidente quando avverranno i 21.700 pensionamenti previsti dall’ENPAM.
Dopo la diffusione dei dati raccolti dall’ENPAM, la deputata del Partito Democratico Giuditta Pini ha presentato un’interrogazione parlamentare indirizzata al ministero della Salute e al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per chiedere se sia intenzione dei ministeri aumentare il numero di medici abilitati che possono frequentare i corsi di formazione specifica in Medicina Generale, e quali siano le intenzioni del governo e del ministero della Salute per evitare che in futuro ci sia una carenza di medici di base come indicano i dati dell’ENPAM. La soluzione più semplice sarebbe aumentare i posti disponibili nei corsi di formazione, magari riorganizzando le graduatorie. Se questo non sarà fatto e ci si troverà nella situazione in cui mancheranno 16mila medici di medicina generale, il sistema sanitario dovrà riorganizzarsi, assumere medici stranieri oppure permettere a medici che non hanno seguito il corso di formazione di diventare medici di base.