Cos’è la storia del Regno Unito che vuole schedare i lavoratori stranieri
Sui giornali italiani si è un po' esagerato, ma la nuova ministra degli Interni Amber Rudd ha proposto di costringere le società britanniche a dire quanti stranieri impiegano
Dal 2 al 5 ottobre il Partito Conservatore del Regno Unito ha tenuto a Birmingham il suo congresso annuale, che quest’anno è stato l’occasione per Theresa May – nuova segretaria del partito e prima ministra – di spiegare con chiarezza e con la solennità offerta dal contesto i suoi piani di governo per i prossimi mesi, che per lo più gireranno intorno a Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europa decisa con un referendum lo scorso giugno, e alle nuove politiche sull’immigrazione. Uno dei discorsi più commentati del congresso è stato proprio quello con cui Amber Rudd, la 53enne nuova Home Secretary del Regno Unito (una sorta di ministro degli Interni), ha spiegato i piani concreti del governo per ridurre i livelli di immigrazione nel paese, e che sui giornali italiani è stato riassunto con “il Regno Unito vuole schedare i lavoratori stranieri”.
Durante i giorni del congresso May ha tracciato a grandi linee la sua idea di governo e di quello che dovrà essere il partito – cambiando strada rispetto ad alcune idee dell’ex segretario David Cameron – e ha spiegato che il referendum su Brexit è stato una “rivoluzione silenziosa” che ha mostrato ai politici le vere preoccupazioni del paese, che secondo lei si raccolgono intorno all’immigrazione e i suoi effetti per l’economia del Regno Unito. Rudd, nel suo discorso, si è concentrata invece sulle soluzioni pratiche con cui il governo vuole affrontare il problema, presentando una serie di misure per ridurre i livelli di immigrazione nel Regno Unito nel breve, nel medio e nel lungo periodo e “cambiare verso all’opinione pubblica”.
Una delle sue proposte, la più discussa e criticata nelle ore successive, è quella che potrebbe portare le società del Regno Unito a pubblicare liste dei loro lavoratori che indichino quanti sono gli stranieri: questo sistema, secondo Rudd, dovrebbe indurre molte società ad assumere un numero maggiore di cittadini britannici, per essere visti meglio dai loro concittadini. Non si tratta di una schedatura, né di un divieto di assumere stranieri, ma di una specie di manovra di pubbliche relazioni nel tentativo di spingere le aziende a fare una scelta “popolare” (assumere britannici) e non farne una “impopolare” (assumere stranieri), ammesso che sia davvero così. Una delle cose su cui ha più insistito Rudd nel suo discorso è che gli immigrati dovrebbero servire per “riempire gli spazi” lasciati liberi dai lavoratori britannici, e non a prendere i lavori che potrebbero fare loro; ha spiegato che le società che operano nel Regno Unito spesso ricorrono a lavoratori stranieri per non spendere nella formazione di quelli locali e il sistema attuale non fornisce sufficienti incentivi per fare diversamente.
Rudd non ha ulteriormente elaborato la sua proposta, che al momento è ancora lontana dall’essere una vera proposta di legge (nel Regno Unito le proposte di legge seguono un iter preciso di successivi livelli di approfondimento), ma nel suo discorso ha spiegato che le attuali regole che servono per garantire posti di lavoro ai cittadini britannici non sono abbastanza dure (chi vuole assumere, per esempio, deve pubblicizzare il suo lavoro solo nel Regno Unito per i primi 28 giorni) e che chi vorrà assumere lavoratori non britannici dovrà essere molto chiaro sulle sue ragioni, su quello che ha fatto per dare la precedenza a candidati locali e sull’impatto che le assunzioni di stranieri potrebbero avere sull’economia del paese.
La proposta di chiedere alle società di dire quanti stranieri impiegano è stata subito molto criticata dalle associazioni di imprenditori che hanno accusato il governo di voler “mettere in imbarazzo” davanti all’opinione pubblica le società che assumono lavoratori stranieri, con potenziali danni per le attività economiche e per l’economia stessa del Regno Unito. Adam Marshall, direttore generale della Camera di Commercio britannica, ha detto per esempio che avere una forza lavoro globale non dovrebbe essere visto come qualcosa di cui vergognarsi e Tim Thomas, dirigente di un’importante associazione di industriali, ha detto che la proposta sarebbe una “maledizione” per ogni datore di lavoro responsabile. Rudd ha dovuto difendersi, spiegando che la proposta per ora verrà solo considerata dal governo e non diventerà necessariamente legge, ma al Guardian alcune fonti del ministero degli Interni hanno spiegato che per il momento il governo ha intenzione di lavorare sulla proposta di Rudd.