La storia di “Primary Colors”, ancora attuale
Negli anni Novanta in America uscì un romanzo politico di grande successo, scritto sotto pseudonimo, e l'autore venne "smascherato" da un articolo di giornale: vi ricorda qualcosa?
La storia della letteratura è piena di libri scritti sotto pseudonimo: per timore di gravi ripercussioni sull’autore, per un desiderio di privacy e riservatezza o per l’esigenza “autoriale” di separare un certo libro dai lavori più famosi dello stesso scrittore. Negli anni l’esigenza di procurarsi uno pseudonimo è diventata però sempre meno necessaria, via via che si allentavano programmi di censura e pressioni politiche e sociali: il meccanismo dello pseudonimo si è ridotto spesso ad avere quasi solamente ragioni personali o letterarie, come nel recente caso di Elena Ferrante. Altre volte però stabilire il confine fra meccanismo letterario e timori di conseguenze concrete non è così chiaro, come per esempio in uno dei casi più recenti di successo editoriale scritto sotto pseudonimo: il libro Primary Colors, che uscì negli Stati Uniti nel 1996 e rimase per diverse settimane in cima alla lista dei bestseller del New York Times, creando anche un discreto caso politico. Esiste anche una certa similitudine con il caso Ferrante: il nome dell’autore di Primary Colors fu rivelato da un’approfondita inchiesta di un importante quotidiano.
La storia
Primary Colors è un romanzo lungo 376 pagine: negli Stati Uniti uscì nel gennaio del 1996 e lo stesso anno uscì in Italia per Garzanti. Autore: “Anonimo”. Fu pubblicato da Random House, una delle più note case editrici americane. Il libro inizia così:
Era un tipo imponente, che nelle vie di Harlem, in piena estate, appariva di un pallore preoccupante. Io, invece, sono piccolo di corporatura e non tanto scuro di pelle, perciò agli occhi dei bianchi non sembro granché minaccioso.
Ci stringemmo la mano. Il fatto che adesso non riesca a ricordare con maggior precisione quel momento particolare mi secca: la stretta di mano è l’atto d’ingresso, il principio della politica. Ormai l’ho visto stringere la mano milioni di volte, eppure ancora non saprei dire come fa, come muove la destra, con quanta forza, espressione, durata: i rudimenti dell’arte di comprimere la carne. In compenso, posso dire un sacco di cose su quello che fa con la sinistra. È lì che si rivela un genio. Può posarvela sul gomito, oppure sul bicipite: gesti fondamentali, istintivi. Significa che voi gli interessate; conoscervi per lui è un onore. Se al contrario sale più su e, per esempio, vi avvolge il braccio sinistro attorno alle spalle, in qualche modo c’è meno confidenza, più distacco: si farà due risate con voi, oppure vi rivelerà un segreto (un segretuccio, niente di trascendentale), lusingandovi con l’illusione di essere suoi complici. Ma se non vi conosce tanto bene e voi gli avete appena detto qualcosa di «importante», una cosa seria o nata sull’onda di una grande emozione, si avvicinerà e vi farà omaggio di una stretta a due mani, abbrancandovi polso e avambraccio con la sinistra. Vi fulminerà con quel suo famoso sguardo velato. E sarà sincero.
Il libro segue la campagna elettorale per le elezioni presidenziali di Jack Stanton, governatore di un piccolo stato del sud degli Stati Uniti, attraverso la prospettiva di un giovane membro del suo staff. Il libro racconta i problemi quotidiani della campagna elettorale, fra scandali sessuali che riguardano Stanton e la crescente disillusione del giovane membro del suo staff sul mondo della politica. Come si intuisce dalla trama e da descrizioni come quelle contenute nelle prime righe del libro, Primary Colors è ispirato a Bill Clinton e alla sua campagna elettorale del 1992, che come la sua successiva amministrazione fu toccata da diversi scandali sessuali. Il caso Lewinsky avvenne solamente due anni dopo l’uscita del libro, nel 1998: ma Clinton aveva già avuto guai simili, anche se meno gravi.
Primary Colors fu un successo sia fra il pubblico sia fra gli addetti ai lavori – si stima che vendette circa un milione di copie – e fu anche molto apprezzato dalla critica per il suo stile realistico e «piacevole, spesso molto divertente». Nel libro compaiono diversi personaggi facilmente identificabili da chi aveva familiarità con il mondo politico di Washington, cosa che lo rendeva simile a una specie di saggio sulla politica americana. Parte del suo fascino derivava anche dal fatto che non fosse firmato: nella copertina della prima edizione – e anche in quella delle ristampe – al posto del nome dell’autore c’era scritto solamente “Anonimo”.
All’inizio si pensò che solo un membro dello staff di Clinton potesse scrivere un libro del genere (cosa che temeva lo stesso staff di Clinton). Si fecero nomi di diversi giornalisti e personaggi del mondo politico di Washington, senza che nessuno ammettesse pubblicamente di aver scritto il libro. A un certo punto si fece anche il nome di Garry Trudeau, il vignettista della celebre striscia di Doonesbury. Sembra che neppure la casa editrice, Random House, sapesse con certezza chi ci fosse dietro. Il nome dell’autore di Primary Colors fu un piccolo caso per settimane: ci scherzò sopra persino lo stesso Bill Clinton, che ai giornalisti della Casa Bianca disse che era «l’unico segreto che ho visto davvero rispettato a Washington negli scorsi tre anni».
A un certo punto cominciò a circolare la voce che l’autore potesse essere Joe Klein, ex inviato a Washington per Rolling Stone, che a quei tempi scriveva per Newsweek. Circolava persino una storiella che faceva più o meno così: vedi quello lì seduto? È un giornalista del Washington Post, e sta leggendo Primary Colors. Lui invece lavora per il New York Times: anche lui sta leggendo Primary Colors. Quello là con Primary Colors in mano, invece, è del Wall Street Journal. Quello che sta ascoltando la musica invece è Joe Klein.
Klein negò tutto. A febbraio del 1996, poco dopo l’uscita del libro, disse a un giornalista del Washington Post: «per l’amor del cielo, e una volta per tutte: non l’ho scritto io». Durante il caucus dello Iowa di quell’anno, racconta il New York Times, Klein si avvicinò a un gruppo di colleghi e chiese loro «col viso paonazzo e con fare indignato» se la sua reputazione fosse davvero quella che aveva il personaggio del giornalista in Primary Colors. Newsweek, il giornale in cui Klein lavorava e il cui direttore era una delle pochissime persone che sapeva la verità su Primary Colors, pubblicò un articolo in cui si domandava chi potesse essere l’autore del libro, senza mai citare Klein.
Il 17 luglio di quell’anno il Washington Post pubblicò un articolo che chiuse la vicenda. La redazione del giornale aveva assunto un esperto per paragonare la calligrafia di Klein a quella di una parte del manoscritto di Primary Colors. L’esperto concluse che la grafia era la stessa: entrambi i documenti erano stati scritti da Joe Klein. Il Washington Post telefonò a Klein per esporgli il risultato della perizia: lui si prese cinque minuti per pensare, poi richiamò e rispose di non voler fare nessun commento. Poi convocò una conferenza stampa assieme al suo editore in cui ammise di essere l’autore di Primary Colors.
Klein spiegò di aver mentito sia perché non voleva che i critici fossero influenzati dalle cose che aveva scritto in passato come giornalista, sia perché temeva che il libro avrebbe potuto rovinare la sua reputazione. Il libro conteneva infatti diversi giudizi e prese in giro sull’ambiente di Washington e non solo su Clinton (il personaggio ispirato all’ex governatore di New York Mario Cuomo, per esempio, nel libro viene descritto come un uomo che sogna “un’elezione dove non è necessario impegnarsi come candidato, ma dove nessun altro vince”). Durante la conferenza stampa in cui ammise di aver scritto Primary Colors, Klein disse: «ci sono state delle volte in cui ho mentito per proteggere una fonte, e questa esperienza la metto in quella categoria». Diversi giornalisti se la presero molto per il fatto che Klein per mesi negò di aver scritto il libro, anche a domanda precisa, accusandolo di averlo fatto solo per avere un tornaconto economico.
Tutto sommato Klein atterrò in piedi: dopo l’uscita del libro fu assunto dal New Yorker, pubblicò una specie di sequel del libro – The Running Mate, che ebbe molto meno successo del primo romanzo – e nel 2003 lasciò il New Yorker per Time, dove tuttora lavora come editorialista politico. Nel marzo del 2002 pubblicò un saggio sull’amministrazione Clinton che fu recensito piuttosto bene. Oggi Klein dice di considerare Primary Colors come il suo “tributo ai politici larger-than-life”, un’espressione americana che indica una personalità sopra le righe, sia in positivo sia in negativo. È una cosa che disse anche a Bill Clinton, nel 2000:
«Quindi», Bill Clinton chiese a Klein, «perché hai scritto quel libro, alla fine?». Era la prima volta che menzionava Primary Colors. Klein rispose: «Signor presidente, l’ho visto come un tributo ai politici sopra le righe». Hillary sbuffò per prenderlo in giro. «Signora first lady», disse Klein voltandosi verso di lei, «preferirebbe avere un presidente sopra le righe o uno minore?». Clinton si strinse nelle spalle. Klein disse: «Sa, i politici sopra le righe hanno pregi sopra le righe e difetti sopra le righe». Hillary guardò Klein. Poi guardò suo marito. Poi disse: «Questo è poco ma sicuro».