• Moda
  • Martedì 4 ottobre 2016

Lo street style non esiste più

I suoi elementi caratteristici e sovversivi sono stati assorbiti dalle grandi case di moda per creare capi rassicuranti, che fanno sentire "cool" chi li compra

di Robin Givhan – The Washington Post

Una modella durante una sfilata di Junya Watanabe per la collezione primavera/estate 2016 a Parigi, il primo ottobre (FRANCOIS GUILLOT/AFP/Getty Images)
Una modella durante una sfilata di Junya Watanabe per la collezione primavera/estate 2016 a Parigi, il primo ottobre (FRANCOIS GUILLOT/AFP/Getty Images)

Lo street style non esiste più. Certo, i fotografi si accalcano ancora alle entrate delle sfilate, urtando i passanti con i loro zaini nel tentativo di fotografarlo nel suo ambiente “naturale”. Le donne – sono soprattutto loro a venire fotografate – si trascinano avanti e indietro mettendosi in posa. A volte guardano direttamente verso la macchina fotografica, altre si fingono disinvolte. Ma la verità è che ben poco di quello che viene presentato come street style è davvero nato e cresciuto sulla strada. Il modo in cui si vestono queste ragazze non è stato messo insieme in modo personale e originale. E i fotografi non vanno a caccia di qualcosa di interessante ed esclusivo. Si tratta sostanzialmente di una forma di pubblicità ben piazzata, che si tratti dei marchi abbigliamento o del blogger stesso. È tutto completamente addomesticato.

Quello che una volta era considerato street style – un abbigliamento atletico, economico, assemblato a casaccio e multiculturale – oggi si ritrova nelle collezioni della storica casa di moda Christian Dior o di Maison Margiela. E anche di Off-White e Koché, entrambe selezionate tra i finalisti del premio di LVMH per gli stilisti emergenti. È soprattutto Balenciaga ad attingere allo steetwear. Il nuovo direttore creativo della casa di moda, Demna Gvasalia, è stato determinante per assottigliare fino a eliminare il confine tra quello che è sempre stato considerato street style e la maggiore raffinatezza di Balenciaga. All’interno del collettivo di stilisti Vêtements, Gvasalia ha dato inizio a un’epoca di forme sgraziate e oversize, contribuendo a trasformare capi banali come una maglietta con il logo del gigante del trasporto merci internazionale DHL in un ambito oggetto alla moda.

Nel 2015 Gvasalia è stato nominato direttore creativo di Balenciaga, una delle case di moda più rinomate della storia, dove si è portato dietro le sue tendenze sovversive unendole a un profondo rispetto per l’artigianalità del marchio. Per la collezione primavera/estate 2017, Gvasalia ha disegnato giacche oversize con spalle larghe e strutturate che sembravano giubbotti di salvataggio decorati, insieme ad abiti con audaci stampe floreali al limite dello sgargiante.
Gvasalia si è ispirato al fetish: ha usato lo spandex per disegnare leggings a righe; ha creato un mantello in lattice che ricorda un sex toy; ha aggiunto a una serie di abiti delle pompose spille di cristallo riprese dagli archivi della casa di moda che sembravano fatte dallo stesso fondatore Cristobal Balenciaga. Anche le borse indossate dalla modelle erano oversize: alcune ricordavano pouf portatili, altre sembravano la versione di lusso delle buste per la spesa.

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Una foto pubblicata da Balenciaga (@balenciaga) in data:

I tanti elementi che in passato definivano lo street style ora sono la più grande fonte di ispirazione dell’alta moda. A Undercover e Maison Margiela in particolare, sotto la guida degli stilisti Jun Takahashi e John Galliano, questi elementi sono stati incorporati in modi stupefacenti e stimolanti. A volte, però, lo stile street chic sembra più che altro un modo plateale di ravvivare un marchio dall’aria borghese aggiungendogli un po’ di senso del pericolo, per far sentire una donna dalla vita agiata un po’ sul pezzo. È un tentativo di comprare quello che rende cool.

Junya Watanabe ha avuto il merito di prendere il look da duri dei punk rocker e della scena degli street artist di Berlino e combinarlo con affascinanti figure geometriche che fanno da tempo parte del suo repertorio. I capelli delle sue modelle erano acconciati a formare creste e spuntoni luccicanti, e le sfilate sono state accompagnate da pezzi del gruppo rock Nine Inch Nails all’interno del Palais du Tokyo alle 9.30 di un sabato mattina, un orario in cui nessun vero punk sarebbe mai in piedi. Quella di Watanabe è stata un’ottima presentazione: ha unito con fiducia magliette-souvenir a cappotti dal taglio netto, shorts di pelle a top che ricordavano giganti ricci di mare. Anche Takahashi ha usato la musica come fonte di ispirazione per la sua collezione per Undercover. Ha scelto però il jazz, un genere che una volta era visto come sovversivo e che è più melodico del punk. La sua collezione ha mescolato pantaloni abbondanti, jeans larghi e giacche decorate con un mosaico di trame abbinati a delle sneaker o a sandali in stile Birkenstock.

Watanabe
Una modella sfila per Junya Watanabe, Parigi, 1 ottobre 2016 (AP Photo/Zacharie Scheurer)

Adottando pantaloni della tuta, sneaker, e felpe con o senza cappuccio, gli stilisti hanno anche sollevato l’alta moda dalla suo fastidioso formalismo e dalla sua arretratezza. È diventata più vicina alla vita quotidiana e più facile da indossare. Ma ha anche fatto sì che i clienti più affezionati rimanessero perplessi all’idea di comprare una felpa disegnata da uno stilista al prezzo di un capo sartoriale di qualità. Questi sentimenti ricordano sicuramente le conversazioni intorno ai primi jeans e sappiamo tutti come sono andate le cose: i clienti sono stati disposti a pagare di più per i jeans di Calvin Klein e gli stilisti hanno giustificato i prezzi più alto con un ampio assortimento di misure, scoloriture ed effetti vari, diversi tipi di denim e pubblicità accattivanti. Lo street style però non si riduce a un paio di jeans: è una questione di sensibilità, un quadro di riferimento. Non è qualcosa che si può prendere in prestito dagli operai, dai musicisti o dai fattorini. Lo street style è una risposta al formalismo delle case di moda.

Le magliette di DHL usate da Vêtements sono state interpretate come un commento feroce sulle cose a cui la cultura dà valore e sul perché succede. È stata una mossa intelligente ma anche controcorrente. Poi però l’estetica bizzarra e divertente è diventata uno stile di moda ricercato. Gvasalia è arrivato a Balenciaga, e Vêtements ha sfilato a fianco dell’alta moda, cioè la più pomposa che esista. Quello che era sovversivo è stato assorbito – o perlomeno annesso – alla torre d’avorio. Tutto si è mescolato insieme.

Virgil Abloh, che ha avuto molto successo nel settore dell’abbigliamento maschile grazie a giacche militari, magle e pantaloni decorati con motivi di graffiti, ha presentato la sua collezione femminile giovedì sera davanti a un pubblico che comprendeva Kanye West, Frank Ocean e diverse Kardashian. Come prevedibile, la collezione includeva felpe irriverenti e pantaloni da ragazza cool. Abloh, però, ha anche presentato il tipo di vestiti frivoli e con volant che si potrebbero trovare in una boutique polverosa nell’Upper East Side di New York. Cosa hanno a che fare vestiti come questi con il dibattito sullo street style che Abloh ha portato avanti così brillantemente? La moda sta cambiando. Per definirsi moderni, oggi basta abbinare una gonna da ragazza-che-debutta-in-società a una felpa con cappuccio.

Cosa pensare per esempio di un marchio come Koché, con le sue felpe con cappuccio e le magliette disegnate da Christelle Kocher, che è anche la direttrice artistica di Lamarié, la casa di alta moda specializzata in piume e fiori di proprietà di Chanel? Kocher ha legato il suo marchio alla Parigi “reale” e in passato, aveva presentato la sua collezione in un vicolo sporco frequentato da tossicodipendenti. Per questa stagione ha scelto un caotico centro commerciale nel centro di Parigi, dove le persone venivano catapultate dalle scale mobili nel mezzo della sfilata. Guardando attentamente, ci si accorgeva che i vestiti erano realizzati in modo magnifico, con tessuti pregiati e decorazioni di lusso. Allontanandosi un filo, però, sembravano perfettamente al loro posto in mezzo a ristoranti, fast food e gli scaffali con i prodotti in offerta del centro commerciale.

Sarebbe ottimistico pensare che questo cambiamento nel mondo della moda sia positivo: se indossiamo tutti delle felpe, forse alla fine il muro crollerà. Nel frattempo sembra che la moda venga declassata fino a diventare una semplice questione di pose, messinscene e ostentazione. La moda è sempre stata legata allo status, ma in passato c’era anche qualcosa di più: la natura unica e fantastica dei vestiti. Non era solo un modo per dire mi posso permettere un capo di Dior. Era un modo per dire mi posso permettere uno straordinario capo di Dior. Oggi ci si può limitare a mettere in mostra le mutande di Dior.

Christian Dior
Una modella sfila per Christian Dior, Parigi, 30 settembre 2016 (Pascal Le Segretain/Getty Images for Dior)

Da qualche parte, lontano dalle sfilate di Parigi, esistono stili che non sono stati co-optati, non ancora stati assorbiti da stilisti in cerca di un’ispirazione, o presi da imprenditori di quartiere che cercano di diventare ambasciatori per un pubblico più ampio. Lo stile è qualcosa di personale, pensati e provocatori. Potete definirli sovversivi, idiosincratici o fortuiti. Ma tutto quello che si è visto sulle passerelle di Parigi per la stagione primavera/estate 2017 – e che è stato postato su Instagram dal circo che gli stava intorno – è solo banale moda.

© 2016 – The Washington Post