Il referendum in Colombia ha respinto l’accordo di pace con le FARC
Con il 50,2 per cento hanno vinto a sorpresa i "No", ma governo e guerriglieri promettono che proseguiranno la tregua
Lo storico accordo di pace tra il governo della Colombia e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) è stato respinto dagli elettori nell’atteso referendum che si è tenuto ieri, domenica 2 ottobre: hanno vinto i “No” con il 50,24 per cento, una differenza di meno di 63mila voti sui 13 milioni espressi durante la consultazione. Il risultato ha sorpreso molti analisti e osservatori politici, che consideravano molto probabile una vittoria dei “Sì”, nonostante nelle ultime settimane ci fossero state diverse critiche e prese di posizione contro l’accordo ritenuto troppo favorevole alle richieste delle FARC.
Il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, ha accettato il risultato ma ha confermato che nei prossimi mesi continuerà i negoziati con le FARC per trovare una soluzione, e garantire al tempo stesso che sia mantenuta la pace. L’attuale cessate il fuoco resta in vigore, ha chiarito Santos, e quanto prima saranno riavviati i contatti con i principali leader delle FARC, a partire da Timoleon Jimenez, che ha guidato le trattative di pace da parte dell’organizzazione rivoluzionaria per buona parte degli ultimi 4 anni. Lo stesso Jimenez ha commentato il risultato del referendum dicendo che le FARC intendono proseguire l’impegno per terminare la guerra.
Alvaro Uribe, l’ex presidente della Colombia e tra i più convinti sostenitori del “No” al referendum, ha detto che la pace è l’obiettivo di tutti i colombiani, ma che l’accordo così com’era stato raggiunto aveva bisogno di correzioni di vario tipo per diventare più equo. Per questo Uribe aveva partecipato alla campagna per il “No”, nonostante le sconfitte elettorali del suo partito Centro Democrático degli ultimi anni. Secondo Jacobo Garcia del País, Alvaro Uribe è il vero vincitore del referendum: ha condotto una campagna elettorale difficile, non compresa all’estero dove è stata percepita come una campagna contro la pace, e difficoltosa anche in Colombia con poche possibilità di spiegare le ragioni del “No”. È ancora presto per dirlo con certezza, ma il risultato del referendum potrebbe portare a una rinnovata rilevanza politica per l’ex presidente.
La guerra tra governo colombiano e FARC ha causato negli anni la morte di circa 260mila persone ed è stata la più lunga dell’America Latina. Le FARC nacquero come un movimento politico tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando alcuni contadini comunisti si rifugiarono sulle montagne per proteggersi dall’azione repressiva del governo, che vedeva l’ideologia marxista come una minaccia. Nel giro di poco tempo i contadini cominciarono a farsi chiamare FARC e ad adottare la lotta armata. Nel loro momento di massima forza, le FARC arrivarono a essere formate da 20mila guerriglieri: si finanziavano principalmente con i riscatti dei rapimenti e, dagli anni Ottanta, attraverso la cocaina. Per lunghi periodi i guerriglieri sono arrivati a controllare anche un terzo delle campagne del paese e diversi centri urbani.
Il trattato di pace è stato firmato dopo 4 anni di complicate trattative e prevede, tra le altre cose: il ritiro delle armi dei combattenti e il reintegro nella società di oltre 7mila suoi militanti. Molti di loro hanno già iniziato questo ritorno a una vita normale, e potrebbe proprio essere questo lento processo ormai avviato il punto di forza per proseguire sul mantenimento della pace. Il trattato era stato approvato da FARC e governo della Colombia il 25 agosto scorso con una cerimonia formale per le firme nel giorno successivo, con la condizione di tenere entro poche settimane il referendum.