Aleppo spiegata con la battaglia di Grozny
Raccontare quello che successe durante la seconda guerra cecena è utile per capire Aleppo: c'entrano le violenze degli assedianti e le milizie jihadiste
Nel 2003 le Nazioni Unite definirono Grozny, la capitale della Cecenia, la città più distrutta al mondo. Nei dieci anni precedenti a Grozny si erano combattute due guerre terribili tra esercito russo e separatisti ceceni che volevano l’indipendenza della Cecenia dalla Russia. La seconda guerra cecena aveva raggiunto il suo apice durante la battaglia di Grozny (1999-2000), quando la città fu assediata e poi bombardata violentemente dalle forze russe e filo-russe. Le decisioni di radere al suolo Grozny, di usare dei lanciarazzi multipli con bombe termobariche e di colpire i profughi che cercavano di lasciare la città assediata furono prese dall’allora primo ministro russo Vladimir Putin. Putin era arrivato al potere pochi mesi prima, nell’agosto del 1999, e nel maggio del 2000 sarebbe diventato per la prima volta presidente della Russia. Il cosiddetto “modello Grozny”, espressione che si sta usando in questi giorni per descrivere quello che stanno facendo i russi ad Aleppo, arriva da lì: è «una strategia della terra bruciata», ha scritto Daniele Raineri sul Foglio, significa distruggere qualsiasi struttura che permette la sopravvivenza della città, o della parte della città, che si vuole conquistare.
La Russia ha cominciato a usare il “modello Grozny” ad Aleppo solo pochi giorni fa, dopo avere privilegiato un metodo più morbido: per molti mesi aveva tenuto in piedi i colloqui con gli Stati Uniti per cercare di trovare una soluzione non militare alla guerra in Siria (o almeno, ad alcuni pezzi della guerra in Siria). Due settimane fa le cose però sono cambiate. Prima gli aerei statunitensi hanno bombardato e ucciso decine di soldati dell’esercito di Assad nella città siriana di Deir Ezzor – per errore, ha detto il dipartimento della Difesa americano: l’obiettivo era lo Stato Islamico. Poi, due giorni dopo, i russi o le forze di Assad hanno colpito un convoglio umanitario vicino ad Aleppo, uno dei pochi che aveva ricevuto l’autorizzazione di portare aiuti alle popolazioni assediate e tagliate fuori dai rifornimenti di cibo e medicine. I due eventi hanno fatto precipitare la situazione. Assad e i suoi alleati hanno cominciato a bombardare Aleppo come mai era successo prima, e hanno cominciato un’operazione di terra: il “modello Grozny”, per l’appunto. E a Grozny finì malissimo.
Grozny, 14 febbraio 2000 (AP Photo/str)
La battaglia per il controllo di Grozny iniziò con l’assedio russo nel novembre 1999. La Russia poteva contare su circa 50mila soldati che erano stati mandati dal governo di Mosca a riprendere il controllo della Cecenia, dopo la sconfitta subita nella prima guerra cecena combattuta tra il 1994 e il 1996. Dalla parte dei russi c’erano anche alcune forze paramilitari cecene, mentre dall’altra parte c’erano poche migliaia di ribelli separatisti. Dopo avere assediato Grozny, i russi cominciarono una violentissima campagna di bombardamenti sulla città: non usarono solo l’artiglieria convenzionale e gli attacchi aerei, ma anche i lanciarazzi multipli TOS-1 armati con bombe termobariche, la cui devastazione delle esplosioni è seconda solo alle armi nucleari, se si considera la loro capacità di ridurre in macerie gli edifici colpiti. Distrussero tutto, con l’obiettivo di esercitare la massima pressione psicologica sui separatisti. I ribelli costruirono centinaia di trincee e bunker nascosti tra gli edifici, piazzarono cecchini ovunque e minarono buona parte della città. La maggior parte della popolazione se n’era andata nelle fasi iniziali degli attacchi, ma circa 40mila persone rimasero intrappolate a Grozny (nella parte orientale di Aleppo, quella sotto assedio e controllata dai ribelli, si stima ci siano circa 250mila persone). La battaglia si concluse nel febbraio del 2000, quando i russi riuscirono a raggiungere faticosamente il centro della città, dichiarando Grozny liberata. Non si sa con esattezza quante persone furono uccise: si stima che furono più di duemila nel giro di circa due mesi.
Mark Galeotti, un esperto di sicurezza russa, ha scritto su Foreign Policy che, dalla prospettiva russa, quello che dimostrò la seconda guerra cecena fu il valore strategico della brutalità in guerra, quando applicata in quantità sufficienti. Valore strategico significa che la violenza era diventata funzionale a un obiettivo preciso – annullare la resistenza fisica e morale dei separatisti – che a sua volta era funzionale allo scopo finale: riconquistare Grozny e vincere la guerra. Galeotti ha scritto che in Cecenia, così come sta succedendo ora ad Aleppo, la Russia non mostrò imbarazzo per le violenze compiute. Smentì sistematicamente qualsiasi accusa, anche quelle sostenute da prove:
«In Cecenia, per esempio, il ministro degli Esteri russo Igor Ivanov disse al segretario di Stato americano Madeleine Albright che i ribelli avevano aperto un “secondo fronte” usando i mezzi di comunicazione e che le fotografie delle case e degli ospedali bombardati erano semplicemente disinformazione diffusa allo scopo “di gettare un’ombra sulle azioni delle autorità federali, e di complicare le relazioni dei russi con i loro alleati nel mondo”. A una recente riunione dell’ONU, l’esperto ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha ripreso quella retorica, svalutando la grande documentazione su attacchi aerei e di artiglieria, e definendola come “un tentativo di lanciare una campagna mediatica diretta a screditare le misure del governo per spingere i terroristi a smettere di usare registrazioni video false e vecchie”»
C’è poi un altro elemento che lega il “modello Grozny” a quello che sta succedendo ad Aleppo: la presenza di milizie jihadiste. Nella seconda guerra cecena fu rilevante la presenza dei jihadisti di al Qaida che andarono in Cecenia nell’ambito del loro progetto di combattere un jihad globale. Lorenzo Vidino, esperto italiano di terrorismo, ha scritto sulla rivista specializzata Middle East Quarterly che la maggior parte dei ceceni non condivideva la visione strategica di al Qaida: era vicina a un’interpretazione più moderata dell’Islam e voleva solo l’indipendenza dalla Russia. Ma allearsi con i jihadisti significava avere più possibilità di vincere la guerra. Anche ad Aleppo sta succedendo una cosa del genere. Diverse milizie ribelli, anche quelle non estremiste, si sono alleate con al Qaida per una questione di opportunità: nessuno vuole aprire un altro fronte di guerra, oltre a quello già aperto contro le forze di Assad. Allora come oggi, ha scritto Galeotti, «ogni tentativo di mettere in discussione i metodi russi è stato tacciato [dal governo russo] come un tentativo di proteggere i terroristi».
Aleppo, 18 settembre 2016 (KARAM AL-MASRI/AFP/Getty Images)
Mentre Assad sta distruggendo il suo paese per rimanere al potere, ha scritto l’Economist, Putin sta esportando il metodo della “terra bruciata” che usò quindici anni fa per costringere Grozny alla sottomissione: «Una tale ferocia non fermerà il jihadismo, ma lo rafforzerà», ha scritto l’Economist, che ha aggiunto: «Qualsiasi strategia dell’Occidente deve partire da due considerazioni. Primo, l’obiettivo più importante in Medio Oriente è quello di placare le rivendicazioni dei sunniti nella misura sufficiente affinché si allontanino dal culto-della-morte del jihadismo e si avvicinino a politiche più costruttive. Secondo, la Russia non è parte della soluzione, ma del problema».