L’uomo che cerca ancora l’MH370
Blaine Alan Gisbon da 18 mesi cerca da solo i resti del volo scomparso nel 2014, ottenendo più risultati delle ricerche ufficiali
Il Guardian ha raccontato la storia di Blaine Alan Gisbon, un avvocato di Seattle che da diciotto mesi si dedica a una ricerca indipendente e solitaria dei resti del volo MH370, l’aereo della Malaysia Airlines scomparso in mare l’8 marzo 2014 con 239 persone a bordo a metà della tratta Kuala Lumpur-Beijing. Dopo due anni e mezzo, l’aereo non è ancora stato trovato e non si sa con certezza cosa lo abbia fatto precipitare: nel corso delle ricerche ufficiali (costate per ora diversi milioni di dollari) solo due pezzi dell’aereo sono stati rinvenuti in un’isola sperduta dell’Oceano Indiano. Gibson, patito di viaggi e misteri da risolvere, è rimasto tanto colpito dalla vicenda da mettersi a cercare i resti dell’aereo da solo, spiaggia dopo spiaggia, subito dopo aver partecipato alla cerimonia a Kuala Lumpur per il primo anniversario della scomparsa dell’aereo. Da allora è diventato amico di alcuni familiari dei dispersi e le sue ricerche hanno portato a risultati notevoli, viste soprattutto la povertà dei suoi mezzi di ricerca e la mancanza di una formazione professionale in merito.
All’inizio di settembre il ministro dei Trasporti malesi Datuk Seri Liow Tiong Lai aveva detto che 22 presumibili parti dell’aereo sono state trovate molto lontane tra loro, lungo le coste di Sudafrica, Mozambico, Mauritius e Tanzania. Di queste, quattordici frammenti sono frutto delle ricerche di Gibson. Alcuni frammenti sono sotto osservazione, altri ancora in attesa di essere prelevati dalle autorità, ma uno di questi è, quasi certamente, una parte dell’MH370: un supporto orizzontale con la scritta “NO STEP” che Gibson ha trovato in una spiaggia in Mozambico alla fine di febbraio.
Gibson è un avvocato, ma preferisce definirsi un avventuriero. Parla sei lingue e dice che prima di morire vorrebbe visitare tutti gli stati del mondo. Per il momento la ricerca dell’aereo lo ha fermato al Mozambico, il 177esimo paese della sua lista. Si veste come Indiana Jones e porta al collo un badge con la scritta “The search for MH370: Keep it on”. Raramente ha praticato la professione di avvocato, comunque: figlio di un giudice, ha passato i cinquanta, non ha figli ed è scapolo. Dice di spendere tutti i suoi soldi in viaggi e di scegliere le mete quando è mosso da uno scopo, oltre che dall’interesse. Questo ha significato l’essere presente a momenti di importanza storica (per esempio, si trovava nella piazza Rossa nel momento in cui la bandiera rossa è stata calata).
Nell’anno successivo alla scomparsa dell’aereo, Gibson si interessò alla ricerca dei resti e seguì le evoluzioni di questa nei gruppi di discussione su Facebook: uno di quelli di cui fa parte (MH370 In Search of the Truth) conta ora più di 3.600 membri attivi. In occasione del primo anniversario dalla scomparsa dell’aereo, Gibson andò a Kuala Lumpur e partecipò alla cerimonia dove ascoltò il discorso di Grace Subathirai Nathan, figlia di una dei passeggeri dell’MH370 e tuttora portavoce dei familiari dei dispersi. Il discorso impressionò molto Gibson, che pensò di aver trovato il suo scopo: fare qualcosa per Nathan e gli altri familiari delle vittime. Per prima cosa andò in Myanmar e Cambogia, per escludere la possibilità che l’aereo fosse caduto a nord. Poi intervistò alcune persone che alle Maldive avevano detto di aver visto un jet la mattina in cui l’MH370 è scomparso (informazione che, contraddicendo i dati rilevati dal satellite, era stata fino ad allora accantonata). Il campo di ricerca di Gibson si è ristretto a giugno 2015, dopo il ritrovamento di un pezzo di ala a Reunion Island, a est del Madagascar.
Dal suo ritrovamento di febbraio a ora, la ricerca di Gibson è sembrata più veloce e efficace di quella delle autorità malesi, lente anche nel prelevare i resti trovati da Gibson per verificarne l’origine. Il suo metodo è abbastanza semplice: va nelle spiagge, si guarda intorno, parla con le persone del posto per ottenere informazioni e controlla anche le strutture delle baracche presenti, perché, dice, un grosso pezzo di metallo trovato sulla spiaggia potrebbe essere risultato molto utile al momento della costruzione. Si tratta di una ricerca lenta, molto diversa da quella immediatamente successiva alla scomparsa, che ha coinvolto 22 velivoli e 19 navi provenienti da otto paesi diversi, coprendo una superficie di 4,6 milioni di chilometri quadrati. Le ricerche coordinate da Malesia, Cina e Australia sono continuate, ma a luglio 2016 è stato comunicato dalle stesse autorità che le avrebbero sospese una volta analizzata tutta l’area di 120 mila chilometri quadrati sulla quale erano concentrati in quel momento.
Tra gli organi coinvolti c’è l’Australian Transport Safety Bureau (ATSB) ma i responsabili finali delle ricerche continuano a essere le autorità malesi, che avrebbero anche il compito di prelevare i materiali ritrovati da Gibson. Gibson li critica per la loro lentezza mentre elogia il lavoro dell’ATSB, che ha anche incontrato a Fremantle, in Australia, all’inizio di settembre, insieme a un gruppo di familiari dei dispersi. Gibson dice di essere stato criticato online, in particolare dopo che il sito The Hunt for MH370 ha pubblicato il suo report su un possibile avvistamento alle Maldive. La parte più frustrante e fastidiosa di tutta la vicenda, dice, sono le teorie che circolano, dal suicidio del pilota al dirottamento in Kazakistan voluto da Vladimir Putin. A volte, dice, sentendo affermare queste ricostruzioni mi sembra di essere l’unico a non sapere dove sia l’MH370. Gibson spera che l’interesse per l’argomento non si dissolva e che le ricerche, sue e delle autorità, arrivino a risolvere il mistero. “Non solo per le famiglie, ma per il trasporto aereo in generale. Bisogna essere certi che ciò che è successo non capiti di nuovo. Quando prendiamo un aereo, sappiamo tutti che potremmo avere un incidente, sono cose che possono capitare. Ma non può succedere che, semplicemente, un aereo sparisca”.