Che legge vige in Antartide?
In teoria quella del paese di origine dell'imputato, ma è complicato (anche se non è un gran problema: i reati sono pochi e legati soprattutto all'alcol)
In un recente articolo il New York Times si è chiesto quale legge vige in Antartide, un continente situato al Polo Sud e grande quasi due volte l’Australia ma che non fa parte di nessun paese al mondo. La risposta è un po’ complessa: formalmente nessuna, potenzialmente tutte.
In Antartide vive qualche migliaio di persone, perlopiù scienziati o dipendenti delle varie stazioni di ricerca. Non esiste uno “stato” dell’Antartide, né un governo o un Parlamento, e di conseguenza nessuna legislazione locale. Pezzi di territorio dell’Antartide sono contesi da Cile, Regno Unito, Argentina, Australia, Francia, Nuova Zelanda, Norvegia, ma nessuno di questi stati ha una sovranità riconosciuta dagli altri. E quindi cosa succede, quando qualcuno compie un reato?
Secondo il Trattato Antartico, sottoscritto nel 1959 ed entrato in vigore due anni dopo, i paesi che hanno interessi nell’Antartide si sono impegnati fra le altre cose a giudicare le persone accusate di un reato tramite la giurisdizione del paese di origine dell’accusato. Questa clausola può avere conseguenze piuttosto insolite: quando nel 1996 un cuoco americano attaccò con un martello due suoi colleghi, l’FBI mandò dei suoi agenti a fare delle indagini e ad arrestare il sospettato. I reati sono comunque molto rari: in Antartide non si può comprare praticamente nulla, e di conseguenza i soldi servono a poco. Il massimo che può capitare è una rissa causata dall’alcol, o un furto di poco conto. Per i reati minori, di solito il colpevole viene licenziato e mandato via dall’isola. Per gli Stati Uniti pratiche del genere sono gestite da una persona col grado di “sceriffo”. Il New York Times dice che anche altri paesi hanno adottato questa soluzione.
Il caso più grave mai accaduto in Antartide – in cui si sono insediate colonie umane stabili solo a partire dalla Seconda guerra mondiale – è avvenuto nel 2000, quando il fisico australiano Rodney Marks morì misteriosamente dopo una serata di bevute (la storia è raccontata per bene in un lungo articolo di Men’s Journal del 2013). Ancora oggi non è chiaro se Marks morì per cause naturali o in seguito a un tentativo di avvelenamento: al momento l’ipotesi più probabile è che abbia ingerito una bevanda alcolica troppo forte o comunque preparata male (nel suo sangue è stata trovata una elevata quantità di metanolo, altamente tossico).