Breve storia delle sfilate
Prima di diventare gli eventi scenografici di oggi, erano passeggiate attorno alle piste da corsa o esclusivi appuntamenti in atelier con tè e stuzzichini
Settembre è un mese intenso per chi si occupa di moda: gli stilisti presentano le collezioni autunno-inverno nelle quattro città che a turno ospitano le cosiddette settimane della moda (in questi giorni c’è Milano, ma si parte con New York e poi, in quest’ordine, Londra, Milano e Parigi), i giornalisti e i critici le commentano e i buyer decidono quali pezzi comprare per venderli nelle catene e nei negozi. Le sfilate sono utilizzate dalle aziende per attirare l’attenzione sulle loro ultime creazioni, ma non sono state sempre gli eventi scenografici e mondani che conosciamo oggi. Il giornale online Fashionista ne ha ricostruito la storia: inizia nell’Ottocento, quando le aziende assumevano delle modelle perché passeggiassero vicino alle piste da corsa e si facessero notare dai fotografi, e prosegue con le signore dell’alta borghesia invitate negli atelier a prendere il tè, fino alle sfilate piene di celebrità in prima fila di questi giorni.
Una sfilata di Christian Dior nel 1965. (Evening Standard/Getty Images)
Gli esordi
La storia delle sfilate di moda inizia in Europa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: gli stilisti assumevano delle ragazze per indossare i loro vestiti sulle passeggiate intorno alle piste da corsa, un espediente per essere notate e fotografate e finire sui giornali.
Il passo successivo fu compiuto dagli stilisti di alta moda, che assunsero delle modelle (mannequins, in francese) per mostrare i loro abiti alla clientela d’élite: erano esibizioni private, informali, con le modelle che camminavano per la stanza mentre gli ospiti bevevano tè e mangiavano stuzzichini nell’atelier dello stilista. Queste sfilate diventarono sempre più frequenti e venivano organizzate anche ogni giorno per diverse settimane, durando fino a tre ore.
La nascita delle settimane della moda come le conosciamo oggi viene fatta risalire al 1943, grazie alla Press Week inventata dalla giornalista Eleanor Lambert (ci arriviamo), ma già agli inizi del Novecento gli stilisti cercarono espedienti per creare attesa attorno alle loro nuove collezioni e renderle desiderabili. Fashionista racconta di quelli dello stilista francese Paul Poiret e della britannica Lucile (bonus: il suo vero nome era Lady Duff Gordon, e fu una tra i sopravvissuti del Titanic). A Lucile si deve il merito di aver iniziato a mandare gli inviti alla clientela, trasformando un semplice tentativo di fare affari in un evento sociale, talvolta anche con musica e danze per mostrare come gli abiti andavano portati nella vita reale. Se prima ogni vestito sfilava con un numero per indicarlo e ricordarlo più facilmente, Lucile diede loro nomi di fantasia come “abito d’emozione” per renderli più desiderabili. Poiret è invece ricordato, tra le altre cose, per l’abilità nel marketing e per le feste con cui attirava l’attenzione sulle sue collezioni.
Un momento molto serio
A causa di un aumento dei compratori stranieri che viaggiavano in Europa per acquistare i capi delle ultime creazioni e rivenderli nei loro negozi, dal 1918 le case di moda iniziarono a programmare le sfilate in date prestabilite, due volte all’anno, mettendo le basi per le settimane della moda come le conosciamo oggi. I primi eventi di moda cercavano comunque di mantenere un’atmosfera di esclusività per la clientela, anche per limitare eventuali copiature. Le sfilate diventarono eventi molto seri e pubblicizzati, che si svolgevano nelle sedi delle case di moda o in hotel prestigiosi: Fashionista racconta di modelle ingessate e del pubblico stipato in una stanza, con i giornalisti più importanti in prima fila e sfilate che duravano più di un’ora in un’atmosfera molto silenziosa, a parte la voce che annunciava i nomi o i numeri dei modelli.
Una modella con un costume da bagno durante una sfilata, il 18 giugno 1925. (Kirby/Topical Press Agency/Getty Images)
L’apertura al pubblico delle sfilate nacque negli Stati Uniti, quando negli anni Dieci del Novecento i grandi magazzini presero a organizzare sfilate aperte a tutti per mostrare gli abiti europei o delle loro stesse linee. La consuetudine divenne ancora più popolare durante la Seconda guerra mondiale.
La prima vera settimana della moda
La prima settimana della moda venne organizzata durante la Seconda guerra mondiale: se prima la moda americana si limitava a riproporre modelli e stili europei, con l’occupazione nazista e i negozi che chiudevano gli stilisti americani ebbero l’occasione di emergere con i propri capi. Nel 1943 la giornalista Eleanor Lambert organizzò a New York la “Press Week”, cioè la settimana della stampa, per presentare i lavori degli stilisti americani, fino a quel momento ignorati. Le settimane della moda di Milano e Parigi arrivarono invece negli anni Settanta, quella di Londra nel 1984.
Leggi anche: Breve guida alle Settimane della moda
Le cose cambiarono parecchio negli anni Sessanta, con il decollo del prét-a-porter (i capi di abbigliamento da portare tutti i giorni) che prese il posto dell’alta moda. Gli eventi venivano organizzati in location particolari e gli stilisti invece di cercare l’esclusività volevano avvicinarsi ai giovani e al consumismo di massa, con modelle che ridevano e ballavano in passerella. Per dirne due: gli stilisti Mary Quant e André Courrèges furono tra i primi che incoraggiarono le modelle ad abbandonare le tradizionali camminate da passerella in favore di movimenti più liberi.
Le modelle di una collezione di Mary Quant in una sfilata a Milano, il 2 marzo 1967, e una sfilata di Andre Courreges a New York, 8 ottobre 1964. (Keystone/Getty Images)/(AP Photo)
Gli anni Ottanta-Novanta
Questa tendenza venne portata all’estremo negli anni Ottanta e Novanta: i tempi delle top model e dei grandi eventi. Fashionista racconta quattro episodi che spiegano bene la dimensione spettacolare e a tratti teatrale delle sfilate di quegli anni.
Nel 1984 lo stilista francese Thierry Mugler organizzò una sfilata allo Zenith di Parigi lasciando che la metà dei biglietti venisse venduta al pubblico: parteciparono seimila spettatori.
La sfilata di Versace per la collezione autunno-inverno 1991 venne chiusa da Naomi Campbell, Christy Turlington, Linda Evangelista e Cindy Crawford che cantavano Freedom di George Michael.
Nel 1998, per i suoi 40 anni di attività, Yves Saint Laurent mostrò alcuni capi della sua collezione prima della finale dei mondiali di calcio in Francia, di fronte a tutto lo stadio e a un miliardo di telespettatori: c’erano 300 modelle, 70 tra parrucchieri e truccatori e 200 tecnici, per un totale di 900 persone per l’organizzazione di un evento di quindici minuti.
Sempre nel 1998, Alexander Mc Queen concluse la sfilata della collezione autunnale con una modella mascherata vestita di rosso e circondata da un cerchio di fiamme per simboleggiare Giovanna D’Arco, da cui aveva preso il nome della collezione, Joan.
(Paul Vicente/AFP/Getty Images)
A che punto siamo
Da quegli anni le sfilate sono diventate sempre più scenografiche e ci sono sempre più occasioni per creare veri e propri spettacoli: oltre alle settimane della moda per le collezioni autunno-inverno e primavera-estate di uomo e donna (quindi quattro in totale all’anno), ci sono quelle della haute couture e delle cruise collection. Lo scopo delle sfilate è di aumentare la desiderabilità del marchio, oltre a promuoverlo, farlo conoscere e aumentare le vendite. È maestro in questo lo stilista tedesco Karl Lagerfeld, direttore creativo di Chanel, che ha ambientato le sue sfilate in allestimenti di aeroporti, supermercati e casinò, le ha organizzate alla Fontana di Trevi (per i 90anni di Fendi) e più recentemente anche a Cuba, per il primo evento di moda internazionale dai tempi della rivoluzione del 1959.
Il modo di promuoversi sta cambiando in generale: gli stilisti tendono a fare sfilate sempre più spettacolari e a usare i social network per far parlare delle proprie creazioni, sfruttando spesso modelle seguitissime sui social (come Kendall Jenner o Gigi Hadid), con la conseguenza che i clienti vogliono acquistare le novità il prima possibile. Le nuove collezioni vengono solitamente presentate sei mesi prima della messa in vendita nei negozi (per dare il tempo ai responsabili delle boutique e delle grandi catene di scegliere cosa comprare, e alle aziende di produrre i capi in base alle richieste), ma ora alcune aziende di moda rendono disponibili nei negozi i capi delle nuove collezioni subito dopo le sfilate in cui li hanno presentati.