Berlusconi, un raggio di sole
E altre cose divertenti che Giuliano Ferrara racconta al Foglio per celebrare l’ottantennio dell’ex PresdelCons
Sul Foglio di lunedì 26 settembre Alessandro Giuli ha pubblicato un lungo articolo intitolato “Il mio Cav.” per gli ottant’anni di Silvio Berlusconi (li compirà giovedì 29 settembre). L’articolo di Giuli è di fatto una lunga e informale intervista a Giuliano Ferrara che parla di Berlusconi, del suo rapporto con lui, di televisioni, Milan, politica e malattia, mettendo in chiaro, fin da subito, come stanno le cose: “Il Foglio, che di Berlusconi è stato un raro e atipico araldo fin sul piano societario, dapprincipio lo ha battezzato Cav. e per ultimo smetterà di volergli bene. A modo suo”.
Nell’intervista Ferrara racconta dei suoi primi incontri con Berlusconi, quando lo chiamò mentre lavorava alla RAI per offrirgli un lavoro a Mediaset, dei colloqui di lavoro che faceva insieme a Fedele Confalonieri, dell’ingresso in politica – «quando mi dissero il nome del movimento, Forza Italia, volevo morire» – e della fondazione del Foglio, che Berlusconi suggerì di chiamare “il Quadrifoglio”, come portafortuna. È il racconto di un amico, molto tenero nei toni e nella sostanza, ma che dice molte cose sulla storia di Berlusconi, di Ferrara e di un pezzo dell’Italia.
Eravamo al governo e lui aveva appena fatto mettere dei fiori orrendi, troppo fioriti, nelle sale auguste di Palazzo Chigi, gli domandai: presidente, ma lei, veramente, che vuole fare dell’Italia? E lui: Giuliano, vorrei che l’Italia fosse un po’ più simile alla Fininvest”. Giovedì prossimo Silvio Berlusconi compirà ottant’anni, il numero ha una rotondità definitiva, come il segno di una sopraggiunta fissità. Una pietra di confine. Ma il Cav. – impaziente di ritornare dalla sua convalescenza – è molto più dei suoi ottant’anni. Il Foglio, che di Berlusconi è stato un raro e atipico araldo fin sul piano societario, dapprincipio lo ha battezzato Cav. e per ultimo smetterà di volergli bene. A modo suo: prima di essere assunto da Giuliano Ferrara, nel 2004, il direttore mi convocò per un colloquio di tre frasi: sei berlusconiano? No. Chissenefrega, siamo il giornale berlusconiano con meno berlusconiani dentro. Dodici anni dopo riprendo quel colloquio con il direttore, adesso emerito: lui, che tanta parte ha avuto nella vicenda pubblica berlusconiana, accetta di regalare al Cav. un’ora di memorabilia punteggiate di sorrisi continui e sonori che la scrittura non può restituire.
“Mi chiedi del mio Cav.? Bisogna risalire alla fine degli anni Ottanta. Dopo aver debuttato in tivù su Rai3, ero passato a Rai2 con Antonio Ghirelli. Con una trasmissione che ebbe molto successo, il cui nome ora è stato usurpato, ‘Il testimone’, il primo programma con dementi di piazza messi davanti allo schermo: un sacco di ascolti, puntate su Tortora, sui miracoli (e non sapevo che i miracoli facessero ascolto. La puntata su Milingo, poi, fu una bomba). Berlusconi non voleva che il giovedì ci fosse un concorrente forte sulla Rai. Mi chiamò. Avevo passato gli ultimi anni tra il Pci e il dopo Pci a parlare bene di lui; andavo a casa di Laura Betti, c’erano molti intellettuali, da Alberto Moravia in giù. Tutti dicevano ‘ah questo Berlusconi è un salumiere…’ e io obiettavo ‘sì però la gente si diverte, vuole vedere quiz e fondali rosa, siate compassionevoli’. Insomma ero molto ben disposto, mi dicevo spesso ‘uh che palle lavorare in questa televisione finta, senza pubblicità. Mi piacerebbe lavorare per una televisione commerciale’. Stiamo parlando di un Giuliano Ferrara quasi ebete, cioè televisivo. Chiamò Berlusconi: ‘Venga da me’. Andai a trovarlo nella famosa casa romana di via dell’Anima, dove tutto cominciò. Capii subito che era un seduttore, conoscitore di uomini.
Riceveva in un salottino con Fedele Confalonieri a fianco. Funzionava così: lui ti parlava e Confalonieri ti guardava, poi parlava Confalonieri e a guardarti era Berlusconi. Eri sempre in svantaggio. Al dunque chiesi una cifra che mi parve elevata come compenso, lui disse ‘senz’altro sì’ – a quel punto realizzai che era una cifra troppo poco elevata. Tra il lusco e il brusco mi ritrovai a firmare un contratto con l’avvocato Dotti in una casa meravigliosa che era stata dello scenografo Maurizio Chiari, arredata in un modo squisito, dove il Cav. s’era insediato vicino a Sant’Agnese e alla scalinata del Bernini dove un tempo passavano i ciuchi… mi risultò molto simpatico, e non solo perché mi pagava bene, c’era quest’aria diversa, la Rai la sentivo parte della mia storia primorepubblicana… i partiti eccetera, ma con Berlusconi c’era un sapore più divertente… tra i quattrini e il glamour mi sembrò da subito simpaticissimo”.