Il bambino nato con il DNA di tre persone
Grazie a una innovativa tecnica per la fecondazione che potrebbe aiutare le coppie di genitori con rare mutazioni genetiche ad avere figli con meno rischi
Il giornale di divulgazione scientifica statunitense New Scientist ha pubblicato oggi un articolo in esclusiva, nel quale annuncia l’avvenuta nascita cinque mesi fa di un bambino con il DNA di tre persone, grazie a una innovativa tecnica di fecondazione che potrebbe aiutare le coppie di genitori con rare mutazioni genetiche ad avere figli con meno rischi legati alle loro malattie. La notizia sarà data ufficialmente il prossimo ottobre nel corso dell’American Society for Reproductive Medicine’s Scientific Congress a Salt Lake City (Utah) da Joh Zhang, ricercatore e medico presso il New Hope Fertility Center di New York, ma New Scientist ha ottenuto in anteprima alcune informazioni sulla tecnica utilizzata.
Il bambino è nato da una coppia di origini giordane: la madre è portatrice sana della sindrome di Leigh, una malattia incurabile che non permette uno sviluppo regolare del sistema nervoso nella prima infanzia. I geni che la causano sono racchiusi nel DNA dei mitocondri, gli organuli cellulari che forniscono l’energia alle cellule e che sono portatori di 37 geni, che ognuno di noi ereditata dalla propria madre e che sono separati dal resto del DNA contenuto nel nucleo delle cellule. Circa un quarto dei mitocondri della madre giordana hanno la mutazione che causa la sindrome di Leigh, che aveva già causato la morte di altri due suoi figli. Dopo essere venuti a conoscenza delle varie tecniche di fecondazione sperimentate in questi anni da Zhang, la coppia si è rivolta al medico alla ricerca di una soluzione.
Finora Zhang aveva sperimentato un sistema per impedire la trasmissione dei geni con le mutazioni attraverso la cosiddetta tecnica “dei tre genitori”. Ci sono diversi modi per ottenere questo risultato: quello più conosciuto, e per ora approvato solo nel Regno Unito, si chiama trasferimento pronucleare e prevede che la cellula uovo della madre e un’altra cellula uovo di una donatrice siano fecondate con lo sperma del padre. Prima che le uova fecondate inizino i processi che portano ai primi stadi embrionali, viene rimosso il nucleo da entrambe. Quello della cellula uovo della donatrice viene eliminato e viene sostituito con quello della madre.
Zhang non ha però potuto utilizzare questa tecnica con la coppia giordana, perché sia la madre sia il padre sono musulmani osservanti e non erano disposti a distruggere degli embrioni. La soluzione è stata seguire una strada alternativa: ha rimosso il nucleo da una delle cellule uovo della madre e lo ha inserito nella cellula uovo della donatrice, senza rimuovere il suo nucleo. La tecnica ha permesso di ottenere una sorta di cellula uovo ibrida con il materiale genetico della madre nel nucleo e con il DNA mitocondriale della donatrice, che è stata poi fecondata con lo sperma del padre. Il sistema dà meno garanzie e su cinque tentativi, solo in un caso si è avuto un regolare sviluppo di un embrione, che è stato poi impiantato nella madre consentendo la gravidanza e la nascita del bambino cinque mesi fa. Le varie procedure sono state realizzate in una clinica del Messico, perché attualmente negli Stati Uniti non sono consentite pratiche di questo tipo nell’ambito della fecondazione artificiale.
La notizia sta facendo discutere non solo per il risultato ottenuto, che potrebbe portare a sistemi più rapidi per la fecondazione nel caso di coppie con rare e pericolose mutazioni genetiche, ma anche per i suoi risvolti sul piano etico. Diversi osservatori hanno criticato positivamente il lavoro di Zhang, ricordando che il suo gruppo di ricerca ha usato un sistema che evita di distruggere gli embrioni e che ha selezionato un maschio, in modo che il nuovo nato non possa trasmettere la malattia della madre se un giorno avrà figli. Meno dell’1 per cento dei mitocondri del bambino porta con sé la mutazione genetica e i medici confidano che sia sufficiente per impedire alla sindrome di manifestarsi, considerato che di solito i problemi iniziano quando la mutazione ricorre nel 18 per cento dei mitocondri. Solo lo sviluppo del bambino nei prossimi mesi e anni potrà dare risposte più certe sull’efficacia della tecnica usata da Zhang e colleghi.