Il porno ai tempi dei video amatoriali
I siti porno vanno benissimo ma l'industria del porno "tradizionale" sta avendo molti problemi, di soldi ma non solo
Da qualche anno il porno è cambiato: internet ha reso più facile ed economico accedere a contenuti di ogni tipo, e di conseguenza sono cambiati anche i contenuti e la vita di chi nell’industria della pornografia ci lavora. I siti porno fanno grandi affari – nel 2015 su Pornhub, il più grande sito di video porno al mondo, sono stati visti video per oltre 4 miliardi di ore – ma la stragrande maggioranza di registi, registe, attori e attrici porno non ne traggono vantaggio. Pochi grandi nomi riescono a diventare delle star, per molti altri ci sono bassi stipendi, condizioni di lavoro problematiche e, tra le altre cose, ostacoli legali. Gli unici ad arricchirsi davvero sono i siti più grandi e chi li gestisce: la maggior parte dei più famosi sono controllati da MindGeek, una società con un utilizzo di banda superiore (cioè il traffico dati su internet) a quello di Facebook e Amazon. Di come questi cambiamenti abbiano influenzato il porno ha parlato sul New Yorker Katrina Forrester, che insegna Storia del pensiero politico alla Queen Mary University di Londra, partendo dalle considerazioni del libro “The Pornography Industry: What Everyone Needs to Know”.
Se guardi porno, ci sono grandi possibilità che tu lo faccia su internet. I giorni in cui guardare porno voleva dire comprare o farsi dare una rivista o guardare un filmato in un peepshow sono ormai finiti, e sono finiti anche quelli dei negozi di video per adulti in qualche lontana strada di periferia. La pornografia è cambiata così tanto da essere ormai irriconoscibile da quello che era nella sua età dell’oro, quel periodo tra gli anni Sessanta e Settanta in cui i film per adulti uscivano nei cinema e sembravano andare di pari passo con l’emancipazione sessuale. Prima che le videocassette abbassassero la qualità delle produzioni, negli anni Ottanta.
Quando si facevano poche cose, per un pubblico ridotto, c’era il tempo di farle meglio: ora c’è così tanta concorrenza – tra prodotti e tra posti in cui vederli – che la qualità si è molto abbassata. La maggior parte dei siti più famosi – YouPorn, RedTube, XVideos e Pornhub – funzionano in modo simile a YouTube: sono un enorme archivio di video che chiunque può guardare gratis e a cui chiunque può contribuire caricando altri video. Questi siti guadagnano grazie alla pubblicità e a contenuti “Premium” offerti a pagamento. Da qualche anno i video sono di conseguenza più corti e spesso hard-core: significa che la penetrazione è mostrata, non solo suggerita. La più grande novità riguarda però i filmati amatoriali (“amateur” è una delle parole più cercate, insieme ad “anal”, “teen” e “mom and son”).
I filmati amatoriali – alcuni lo sono davvero, altri fingono di esserlo – hanno una bassa qualità e, a differenza dei vecchi film porno, non hanno una storia. Fanno vedere quello che serve, senza fronzoli, senza sceneggiatura, senza regia e, spesso, senza recitazione. Chi guarda quei video non fa caso alla qualità delle immagini e, soprattutto, spesso non si preoccupa del fatto che alcuni di quei video sono finiti online senza che i protagonisti lo sapessero o lo volessero. I video amatoriali non sono solo una categoria di video: sono un’evidente e importante evoluzione della pornografia.
Forrester ha scritto che la distinzione tra film per adulti e filmati amatoriali è molto più sentita dagli addetti ai lavori, specialmente negli Stati Uniti, il paese in cui si passa più tempo sui siti porno (e da cui arriva oltre il 40 per cento del traffico totale di Pornhub). Dagli anni Novanta in California – nella San Fernando Valley, vicino a Los Angeles – c’è infatti una specie di Hollywood del porno. È nata dopo che nel 1989 una decisione della Corte Suprema della California decise che le riprese di scene di sesso non erano assimilabili alla prostituzione, dando così l’implicito diritto di esistere a tutta l’industria del porno. Negli anni Ottanta ci furono attori e attrici famosi (Linda Lovelace e John Holmes, per esempio), film importantissimi (Gola Profonda) e grandi discussioni su pornografia e femminismo – era offensivo per le donne? Faceva parte di un processo di liberazione ed emancipazione? Se sì, a quali condizioni e in quali casi? – ma fu dagli anni Novanta che il porno divenne una vera industria, con professioni, incarichi e contratti.
Un importante punto di svolta fu nel 1995, quando l’attrice porno Jenna Jameson firmò il suo primo contratto con la Wicked Pictures, una casa di produzione esclusivamente pornografica. Forrester ha scritto: «Quando Jameson iniziò a lavorare, l’industria era diventata un’efficace macchina-crea-celebrità. C’erano distributori e pubblicitari, gruppi di produzione e riviste di settore, riprese fatte con tutti i necessari permessi, agenti che si occupavano di attori e attrici e sindacati che li rappresentavano». Dal 2012 al 2015 le richieste per girare scene porno nella contea di Los Angeles sono invece diminuite del 95 per cento: in parte perché si è iniziato a girare altrove ma soprattutto perché i film per adulti fatti “dall’industria” sono molti meno.
(Evan Agostini/Getty Images)
Se l’industria fa meno soldi, c’è meno posto per chi ci vuole lavorare. È ormai raro che ci siano grandi contratti e la maggior parte dei lavori è pagato a prestazione: a seconda del tipo di scena si va – in media – da qualche centinaia di euro a qualche migliaia di euro (per esempio nel caso di doppie penetrazioni). La conseguenza è che a tutte le attrici viene chiesto di fare cose più estreme: «Negli anni Ottanta e Novanta, avrebbero aspettato in media due anni prima di girare una scena anale; ora si parla di sei mesi», ha scritto Forrester, che ha anche parlato dell’emblematico caso di Jameson, che si rifiutò sempre di farlo. Oggi la carriera media di un’attrice porno dura tra i quattro e i sei mesi: i compensi sono in genere bassi e in molti casi la maggior parte delle spese – controlli medici, trasferte e spese legali per poter lavorare in regola – sono a carico delle attrici. Forrester ha anche scritto che da qualche anno l’industria dei video non-amatoriali si sta lamentando di alcune regole imposte dalla California, dove dal 2012 è obbligatorio usare preservativi in ogni scena. In realtà non sempre succede e Forrester ha scritto che in certe case di produzione di film gay “si parte dal presupposto che gli attori siano già positivi all’HIV”.
Mentre l’industria tradizionale del porno ha molti problemi e mentre i siti porno sono tra i più visitati al mondo, continuano anche i dibattiti sull’utilità del porno, sul modo in cui le donne sono rappresentate e, in certi casi, sulla sua legalità. Qualche mese fa lo Utah – uno stato americano tradizionalmente molto conservatore situato a est del Nevada e a nord dell’Arizona: due stati che confinano con la California – ha approvato una risoluzione che definisce la pornografia «un problema di salute pubblica». Negli Stati Uniti il movimento che si occupa dei danni causati dalla pornografia, e soprattutto della ricerca sul tema, sono cresciuti regolarmente negli ultimi anni, acquisendo sempre più forza. Mentre negli anni Sessanta le proteste contro la pornografia negli Stati Uniti erano mosse principalmente da ragioni morali, oggi la scienza e la ricerca hanno un ruolo centrale nel dibattito americano sugli effetti del porno: nella risoluzione approvata in Utah, per esempio, ogni frase contiene un riferimento a credibili studi scientifici.
L’idea è che le nuove generazioni sono esposte a una quantità di pornografia senza precedenti, a cui non si arriva soltanto tramite ricerche volute ma anche accidentalmente, con l’apertura di popup e la visualizzazione di video “consigliati” mentre si è su internet. Esperienze di questo tipo hanno portato a diversi danni a livello neurologico, fisiologico e sociologico, che oggi vengono riconosciuti da soggetti di idee politiche e filosofiche diverse, e che richiedono una strategia a livello di salute pubblica. Tra chi difende la pornografia c’è invece l’ex attrice porno Sasha Grey, «l’unica star che di recente è arrivata al livello di Jameson», ha scritto Forrester. Nel 2009 Grey disse: «Sono una pervertita. Voglio far sapere alle ragazze che fare sesso va bene. Va bene essere troia. Non te ne devi vergognare».
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
Molti altri attori e attrici porno evitano invece questioni etiche, sociali o scientifiche: dicono che il loro è un lavoro come tutti gli altri e che sì, in certi casi ci sono sfruttamento, precariato e persone sottopagate, ma che queste cose ci sono in tantissimi altri ambienti. L’idea di molte delle persone che lavorano nel porno – alcune di esse rappresentate da società e associazioni come Pink and White Productions e TrenchcoatX – è che i siti porno degli ultimi anni siano un pericoloso monopolio e Forrester scrive che il loro obiettivo è «combattere le categorie sessiste e razziste che stanno silenziosamente dando forma alle preferenze degli utenti». Il problema, scrive Forrester, è che l’industria pornografica tradizionale ha problemi per certi versi simili a quelli di chi vende prodotti alimentari biologici: si fa fatica a venderli, perché «poche persone vogliono l’etica quando guardano i porno».