Le invenzioni di Francis Scott Fitzgerald
Che oltre a scrivere "Il grande Gatsby" mise da parte centinaia di appunti e spunti, raccolti in antologie
Chiunque abbia la passione per la scrittura inventiva, brillante, raramente banale, persino compiaciuta di sé, a un certo punto ha letto Francis Scott Fitzgerald, che era nato a St. Paul, Minnesota, il 24 settembre del 1896. Naturalmente tutti sanno di Francis Scott Fitzgerald per via del Grande Gatsby, e molti sanno di lui anche per via di Tenera è la notte, Belli e dannati o Gli ultimi fuochi. Ma quelli di cui sopra, curiosi non solo delle sue storie o di come erano raccontate, ma di come era pensata e scelta ogni parola e ogni frase, e della ricerca dell’effetto, adorano le raccolte di suoi appunti e taccuini, pubblicate in diverse e successive versioni. Frasi e paragrafi, spunti e idee, messi da parte, spiritosi abbastanza da non essere troppo sentimentali, sentimentali abbastanza da non essere troppo artificiosi.
Il vento ancora una volta era morto. C’era soltanto una foglia che volteggiava contro la finestra. Forse c’era qualcuno, dietro di essa, qualcuno che era felice.
Dopo un certo grado di leggiadria, una ragazza leggiadra è tanto leggiadra quanto qualsiasi altra.
Biondi capelli crepitanti.
Il silenzio proveniva da qualche posto profondo nel cuore della signora Ives.
L’egoismo di lei arrivò in minuscoli pacchetti graziosi ben fatti.
Continuava a ripetere tra sé un vecchio proverbio francese che aveva inventato quella mattina.
Il ricordo di un arrivo a Washington.
La macchina aspettò teneramente per un minuto.
Un pacchetto parzialmente in mostra d’innocue cartoline illustrate prometteva d’essere davvero molto sudicio.
(da L’età del Jazz, Mondadori, traduzione di Domenico Tarizzo)