I sessant’anni di Paolo Rossi
Contribuì a cambiare il calcio italiano già prima che arrivasse ai Mondiali del 1982 – senza giocare da due anni – e facesse quello che sapete
Paolo Rossi, calciatore degli anni Settanta e Ottanta e uno dei “Rossi” più famosi in Italia e nel mondo, compie oggi sessant’anni. Nato a Prato nel 1956, ha guadagnato in Italia una notorietà praticamente inesauribile durante i Mondiali di calcio in Spagna del 1982 e poi pochi mesi dopo, quando divenne il terzo italiano a vincere un Pallone d’Oro dopo Gianni Rivera e Omar Sivori. Rossi però rischiò a lungo di non diventare mai quello che conosciamo oggi.
Nel 1980 Paolo Rossi fu coinvolto nel primo grande scandalo del calcio italiano, quando il suo nome venne inserito fra quelli dei giocatori squalificati per lo scandalo scommesse divenuto famoso con il nome di “Totonero”, in riferimento al Totocalcio, il concorso a premi sui risultati delle partite organizzato dai Monopoli di Stato. Subì una squalifica di due anni e rischiò di non partecipare ai Mondiali del 1982: rientrò giusto in tempo per giocare appena tre partite, dopo le quali venne ugualmente convocato dal ct dell’Italia Enzo Bearzot, sebbene non giocasse da due anni. Ma oltre a questo, che già non è poco, Rossi fu un giocatore che influenzò e cambiò molto il calcio italiano, per due cose in particolare: fu uno dei primi attaccanti moderni, fisicamente poco dotato ma molto veloce e abile nei movimenti senza palla, e poi, in seguito a un suo trasferimento dal Vicenza al Perugia, venne introdotto per la prima volta nel campionato italiano lo sponsor sulla maglia da gioco di una squadra di calcio.
Rossi iniziò a giocare a calcio prima di compiere dieci anni nella squadra di una piccola frazione di Prato. Passò poi alcuni anni a giocare per delle piccole società tra Prato e Firenze e nel 1972, dopo essersi fatto notare a livello locale, venne comprato dalla Juventus. Restò nelle giovanili della Juventus per due anni, poi andò in prestito al Como per una stagione in cui giocò appena sei partite ufficiali. Nella stagione seguente venne comprato in compartecipazione (metà cartellino di una squadra, metà dell’altra) dal Lanerossi Vicenza e nelle quattro stagioni passate in Veneto divenne uno degli attaccanti italiani più forti della sua generazione. Fu l’allenatore del Lanerossi, Giovanni Battista Fabbri, a cambiargli ruolo per sfruttare meglio le sue caratteristiche. Da ala, praticamente l’unico ruolo in cui venivano fatti giocare i calciatori più minuti, venne trasformato in attaccante, ruolo in cui riuscì a sopperire la sua fisicità non imponente con la velocità e l’abilità nei movimenti senza palla. Mario Sconcerti, giornalista sportivo, per descriverlo scrisse: «In area si alzava della polvere, intuivi un gruppo di corpi, e se la palla andava in porta era stato Paolo Rossi».
Segnò una sessantina di gol in poco più di novanta presenze, e nel suo secondo anno il Lanerossi arrivò secondo in campionato e Rossi fu convocato da Bearzot per i Mondiali del 1978. L’allora presidente del Vicenza, Giuseppe Farina, dovette sforzarsi per non farlo riprendere dalla Juventus: per la sua cessione chiese 2 miliardi e 600 milioni di lire, somma che creò un certo scalpore nell’opinione pubblica italiana. Farina, per giustificarsi, disse: «Mi vergogno, ma non potevo farne a meno: per vent’anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l’arte, e Paolo è la Gioconda del nostro calcio».
Al termine dei quattro anni passati a Vicenza, Rossi si trasferì al Perugia, il cui presidente Franco D’Attoma, per attutire i 500 milioni a stagione pagati per il suo prestito biennale al Lanerossi, introdusse per la prima volta lo sponsor su una maglia di una squadra di calcio italiana. D’Attoma concesse al pastificio locale “Ponte” un rettangolo di una decina di centimetri di lunghezza sulla maglia, all’altezza del petto, per cui si fece pagare circa 400 milioni di lire. Rossi restò a Perugia per una stagione soltanto, in cui segnò tredici gol tra campionato e coppe.
Nel 1980 la carriera di Paolo Rossi si interruppe per due anni. Lo scandalo del “Totonero” cominciò in modo piuttosto spettacolare. Il 23 marzo 1980, mentre si giocava la 24esima giornata di Serie A e la 27esima di Serie B, la polizia fece irruzione su alcuni campi da gioco dove erano in corso o appena terminate le partite di squadre e calciatori sospettati dai magistrati di attività illecite. Le immagini degli arresti e delle operazioni della polizia vennero persino trasmesse in diretta dalla celebre trasmissione sportiva della Rai “90° minuto”. Quel 23 marzo e nei giorni successivi vennero arrestati tredici calciatori di serie A e B, alcuni anche molto famosi, come Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Giuseppe Wilson della Lazio e Enrico Albertosi e Giorgio Morini del Milan. Tutti venero trasferiti a Roma per essere interrogati: l’accusa contro di loro era truffa aggravata e continuata. A Paolo Rossi, invece, venne notificato un ordine di comparizione per concorso in truffa.
Rossi, che per lo scandalo perse l’Europeo del 1980, venne accusato di aver concordato il pareggio di Avellino-Perugia della stagione 1979/1980 e fu successivamente squalificato per due anni, ma si dichiarò sempre innocente: disse di aver incontrato due persone nell’hotel in cui si trovava in ritiro con il Perugia prima della partita contro l’Avellino, ma dopo aver capito le loro intenzioni abbandonò all’istante la conversazione. Nonostante la squalifica, per volontà del presidente Giampiero Boniperti, la Juventus lo acquistò e Rossi si allenò con la squadra per due anni, in vista del ritorno in campo previsto per la fine di aprile del 1982. Il 15 maggio 1981, tuttavia, Rossi si prese un altro mese di squalifica per aver definito il processo sportivo che l’aveva giudicato “una buffonata”:
Ma questo dico: dovesse capitare di nuovo, non mi ripresenterei davanti ai giudici sportivi. Il primo processo è stato una buffonata. È terribile essere giudicati da gente simile, essere accusati di reati mai commessi, essere condannati senza la minima prova. E questa macchia, adesso, chi me la cancella?
La Commissione d’appello federale accolse il ricorso di Rossi e lo fece tornare in campo alla fine della stagione 1981/1982 per disputare le ultime partite di campionato con la Juventus. Nella sua prima partita dopo la squalifica, Rossi segnò subito contro l’Udinese e poi fece in tempo a giocarne solo altre due. Il commissario tecnico della Nazionale italiana Enzo Bearzot decise comunque di convocarlo per i Mondiali del 1982, lasciando fuori giocatori apparentemente molto più in forma, come Roberto Pruzzo della Roma, che quell’anno aveva segnato quindici gol. Bearzot si attirò così molte critiche, che aumentarono quando Rossi giocò malissimo le prime tre partite. Nella seconda fase del torneo, però, le prestazioni di Rossi mutarono completamente.
Segnò addirittura una tripletta nell’ultima partita della seconda fase a gruppi contro il Brasile, che era favorito, giocava benissimo e aveva un centrocampo formato da campioni come Zico, Falcao, Socrates e Eder. L’Italia lo battè in una delle partite più belle della storia dei Mondiali, con tre gol di Paolo Rossi, che dopo la partita contro il Brasile divenne per tutti Pablito, soprannome che gli fu dato già ai Mondiali del 1978. Rossi segnò ancora due gol nella semifinale contro la Polonia e un gol nella finale di Madrid contro la Germania Ovest. Finì il Mondiale da capocannoniere con sei reti.
Dopo tutto quello che successe agli inizi degli anni Ottanta, Rossi continuò a segnare e a vincere con la Juventus e nel 1983 gli fu assegnato il Pallone d’Oro. Si ritirò dal calcio nel 1987, dopo aver giocato un anno per il Milan, dove ritrovò il presidente Giuseppe Farina, e l’ultimo della sua carriera con l’Hellas Verona. Da allora lo si vede spesso in televisione, in alcune pubblicità o come commentatore in diversi programmi sportivi. Ha scritto due libri: un’autobiografia intitolata “Ho fatto piangere il Brasile” e “1982. Il mio mitico mondiale”, scritto insieme alla seconda moglie, la giornalista Federica Cappelletti.