José Mourinho è il passato?
Dopo un discreto inizio col Manchester United, ha perso tre partite di fila per la prima volta dal 2002: il Guardian si chiede se non sia rimasto indietro, mentre il calcio è cambiato
Questa estate, la squadra di calcio del Manchester United si è rinforzata come poche altre volte nella sua storia: ha speso circa 110 milioni di euro per comprare il centrocampista Paul Pogba dalla Juventus, ha ingaggiato l’attaccante svedese Zlatan Ibrahimović e si è rinforzata in diverse altre zone del campo. Soprattutto ha sostituito Louis Van Gaal con José Mourinho, l’allenatore di calcio più vincente degli ultimi vent’anni.
Qualcosa però non sta funzionando: la settimana scorsa il Manchester United ha perso tre partite di fila – a una squadra allenata da Mourinho non capitava dal 2002 – e in generale la squadra non sembra avere ingranato, dato che da inizio stagione fatica spesso. Dopo cinque partite di Premier League è settimo con 9 punti, sei in meno del Manchester City primo in classifica (quest’anno allenato dal suo avversario storico, Pep Guardiola). Le cause possono essere diverse: le difficoltà di ambientamento dei nuovi arrivati, la competitività della Premier League, o ancora una preparazione fisica studiata per sopportare una stagione che dura praticamente dieci mesi, da agosto a giugno. Jonathan Wilson, uno dei giornalisti sportivi britannici più seguiti e rispettati, sullo Sportblog del Guardian ha suggerito un altro motivo: è possibile che Mourinho non sia più quello di una volta, o che il calcio sia cambiato troppo negli ultimi anni mentre Mourinho è rimasto uguale.
Wilson fa notare che fra il 2002 e il 2010 Mourinho ha vinto sette campionati in tre paesi diversi – con Porto, Chelsea e Inter – e due Champions League. Dal 2010 a oggi ha vinto “solamente” due campionati e nessuna Champions League, nonostante in questo arco di tempo abbia allenato due delle squadre più ricche e vincenti al mondo: il Chelsea e il Real Madrid. L’ultimo periodo al Chelsea, in particolare, è stato sorprendentemente negativo per gli standard di una squadra di Mourinho, che dal 2001 in poi ha sempre concluso il campionato nei primi tre posti. Mourinho ha lasciato il Chelsea a metà dicembre del 2015 con la squadra al sedicesimo posto, appena sopra la zona retrocessione. Guus Hiddink, che ha allenato il Chelsea subito dopo Mourinho, ha perso solamente cinque delle restanti partite della stagione.
La partita che costò a Mourinho la panchina: una sconfitta in casa 2-1 contro il Leicester City primo in classifica
Anche dal punto di vista della comunicazione con la stampa, in cui Mourinho è considerato abilissimo – Pep Guardiola in passato lo ha definito «un fottuto maestro» della sala stampa – qualcosa non ha ingranato. Ogni tifoso di una ex squadra di Mourinho o giornalista sportivo ha il suo momento-Mourinho preferito: la prima conferenza stampa in italiano, quando parlò in italiano e rispose a un giornalista dicendo «io non sono pirla», quella degli «zeru titoli», le prese in giro verso Pep Guardiola, Rafael Benítez, Arsène Wenger, il gesto delle manette, quello del “tre” – come i trofei vinti nella stagione 2009-2010 da allenatore dell’Inter – mimato dal pullman prima di Milan-Real Madrid di Champions League, e così via.
Ora però il suo stile sarcastico e provocatorio sembra essersi un po’ perso, ed è diventato inefficace. In una delle ultime interviste, dopo una faticosa vittoria per 3-1 contro una squadra di terza divisione in Coppa di Lega, si è lamentato che il «nuovo calcio» è pieno di «Einstein» che vogliono cancellare i suoi passati successi di allenatore. Probabilmente si riferiva ai commentatori tecnici della tv britannica, molto più preparati rispetto al passato (a Sky Sport UK, per esempio, lavora fra gli altri Thierry Henry, a BBC Sport Gary Lineker, e così via).
Wilson spiega che quest’ultima dichiarazione di Mourinho potrebbe essere una spia del suo problema: essere rimasto un po’ indietro, mentre il calcio attorno a lui è cambiato. È plausibile che c’entri una questione tattica: lo stile di gioco di Mourinho è prevalentemente di “reazione” – attesa dell’avversario, compattezza difensiva, contropiede – in un momento storico in cui va di moda un calcio propositivo fatto di pressing, sbilanciamento offensivo e giocatori portati per le giocate rischiose. Potrebbe esserci anche un altro motivo, spiega Wilson.
Ci siamo abituati a lui. Una volta le sue critiche ad avversari, dirigenti, arbitri e federazioni provocavano stupore. Ora ogni sua dichiarazione viene filtrata dal fatto che è solito fare questo tipo di giochini: è evidente che in alcune recenti occasioni ha perso volutamente il controllo di sé per perseguire una forma di strategia di manipolazione. Ad ogni modo, l’impatto delle sue dichiarazioni pubbliche è diminuito. Mourinho non controlla più la narrazione [intorno alla sua squadra] come faceva una volta.
Si può dire lo stesso per i suoi giocatori: mentre Wilson fa notare che quelli di alcune sue ex squadre «parlano di lui come membri di un culto, e lo considerano una figura simil-messianica», si trovano pochi giocatori di Real Madrid e Chelsea disposti a descriverlo in questo modo. Anche al Manchester United, Mourinho ci sta mettendo del suo: ha criticato pubblicamente i suoi giocatori per il secondo gol preso nella sconfitta contro il Manchester City e in particolare il talentuoso terzino sinistro Luke Shaw per aver sbagliato un movimento in pressing nella recente sconfitta contro il Watford. Scrive Wilson: «un tempo Mourinho era un maestro nell’attirare l’attenzione su di sé per toglierla dai giocatori. Ora usa i loro fallimenti come una scusa, in un momento storico in cui i calciatori soffrono sempre di più le critiche». Siamo molto lontani dagli anni in cui Mourinho definiva i propri giocatori «i migliori al mondo», all’inizio dei suoi due anni con l’Inter (che in quel momento era reduce da diversi titoli in campionato ma prestazioni deludenti in Champions League). Conclude Wilson:
Il mondo è cambiato e Mourinho forse non è cambiato con lui. Ovviamente rimane un allenatore formidabile: la situazione al Manchester United è tutt’altro che irrimediabile, ma l’impatto immediato avuto da Guardiola al Manchester City evidenzia il crescente scetticismo attorno a un allenatore che è sembrato ancora danneggiato da quello che gli è successo al Real Madrid, e che forse non si è ancora adattato al fatto che non è più il brillante anticonformista di una volta.