Trump ha usato i soldi di una fondazione benefica per risolvere le sue cause legali
Lo ha scoperto il Washington Post esaminandone i documenti fiscali
di David A. Fahrenthold – The Washington Post
Il candidato a presidente del Partito Repubblicano statunitense, Donald Trump, ha speso oltre 250mila dollari provenienti dalla sua fondazione benefica per risolvere procedimenti legali che coinvolgevano le sue aziende, stando a quanto riportato da diverse interviste e dall’analisi di alcuni documenti giuridici. I 258mila dollari usati dalla fondazione di Trump per queste cause sono emersi da una recente documentazione, stando alla quale Trump potrebbe aver violato le leggi americane contro il cosiddetto “self-dealing“, che vietano a chi è capo di organizzazioni senza scopo di lucro di usare donazioni per avvantaggiare se stesso o le proprie aziende.
In una delle cause, risalente al 2007, il resort di Trump Mar-a-Lago Club aveva accumulato 120mila dollari in multe non pagate alla città di Palm Beach in Florida, per una controversia legata all’altezza dell’asta di una bandiera. Dopo aver raggiunto un accordo, la città aveva accettato di rinunciare al pagamento delle multe a patto che il resort di Trump facesse una donazione da 100mila dollari a favore di un ente benefico che si occupava di reduci di guerra. Stando ai registri fiscali, però, la donazione fatta da Trump proveniva dalla Donald J. Trump Foundation, un’organizzazione filantropica finanziata quasi interamente con donazioni fatte da altre persone. In un altro caso, nelle carte di tribunale si legge che uno dei campi da golf gestiti da Trump a New York accettò di risolvere una causa con una donazione a un ente benefico scelto dalla parte che aveva iniziato il procedimento. La donazione da 158mila dollari fu fatta dalla Trump Foundation, stando ai registri fiscali.
Ci sono poi altre spese emerse dai documenti relative a cifre più basse. Per promuovere la sua catena di alberghi, nel 2013 Trump usò cinquemila dollari della sua fondazione benefica per comprare degli annunci pubblicitari all’interno dei programmi di tre eventi organizzati da un ente per la tutela dei siti storici di Washington. Nel 2014, poi, Trump spese 10mila dollari della sua fondazione per comprare un suo ritratto durante una raccolta fondi benefica. Un altro ritratto, per l’esattezza: diversi anni prima, infatti, Trump aveva già usato 20mila dollari della Trump Foundation per compare un ritratto alto un metro e ottanta.
Se dovesse accertare che Trump ha violato le leggi sul self-dealing, l’Internal Revenue Service – l’agenzia delle entrate statunitense – potrebbe imporgli di pagare delle sanzioni o di restituire alla fondazione tutti i soldi che ha speso per scopi personali. Su Trump sta indagando anche l’ufficio del procuratore generale dello stato di New York, che sta cercando di scoprire se la sua fondazione ha violato le leggi dello stato sugli enti benefici.
Più in generale, questi episodi forniscono nuove prove che dimostrano che il modo in cui Trump ha gestito la sua organizzazione benefica potrebbe aver violato delle leggi fiscali americane e le convenzioni morali in tema di filantropia. «Ogni anno rappresento 700 organizzazioni non-profit e non ho mai visto una cosa così sfacciata», ha detto Jeffrey Tenenbaum, che si occupa di enti benefici allo studio legale di Washington Venable. Quando il Washington Post gli ha descritto i dettagli delle operazioni della Trump Foundation, Tenenbaum le ha definite «veramente sconvolgenti». «Se Trump sta usando soldi di altre persone – gestiti tramite la sua fondazione – per adempiere a degli obblighi personali, siamo davanti all’esempio più sfacciato di self-dealing che ho visto da un po’ di tempo a questa parte», ha detto Tenenbaum. Il Washington Post ha inviato ai responsabili della campagna elettorale di Trump una lista dettagliata di domande sulle quattro cause, a cui però non ha ricevuto risposta. Martedì i responsabili della campagna elettorale di Trump hanno diffuso un comunicato sull’articolo del Washington Post , definendolo «pieno di inesattezze e omissioni», senza specificare quali sarebbero. I responsabili della campagna elettorale di Trump non hanno ancora risposto alle ripetute richieste di commenti. L’ufficio del procuratore generale dello stato di New York non ha voluto commentare la possibilità che la sua inchiesta si stia occupando di questi casi di presunto self-dealing.
Trump creò la sua fondazione benefica nel 1987, e per anni ne fu l’unico finanziatore. Nel 2006, però, Trump donò quasi tutti i soldi che aveva dato alla fondazione, lasciandola con soli 4.238 dollari alla fine dell’anno, stando ai registri fiscali. Quindi trasformò la Trump Foundation in un soggetto quasi unico per il mondo della filantropia: la fondazione era diventata un marchio, che l’omonimo proprietario non finanziava con i suoi soldi. Trump fece le ultime donazioni – piuttosto piccole – alla sua fondazione nel 2007 e nel 2008. I registri fiscali della fondazione non riportano nessuna donazione di Trump a partire dal 2009. Le donazioni dell’ente sono arrivate da altri finanziatori, soprattutto dai dirigenti del wrestling professionistico americano Vince e Linda McMahon, che stando ai registri fiscali dal 2007 al 2009 fecero donazioni per un totale di 5 milioni di dollari. Il presidente della fondazione rimane Trump, che nell’ultima documentazione pubblica consegnata al fisco americano ha detto di lavorare per l’ente mezz’ora alla settimana.
Il Washington Post aveva già raccontato in passato di altri casi in cui Trump aveva usato i soldi della sua fondazione benefica in modi apparentemente contrari alla legge. Nel 2013, per esempio, la fondazione aveva donato 25mila dollari a un gruppo politico che sosteneva il procuratore generale Repubblicano della Florida Pamela Bondi. La donazione arrivò grossomodo nello stesso periodo in cui l’ufficio di Bondi stava valutando la possibilità di avviare un’indagine sulle accuse di truffa alla Trump University. L’inchiesta non venne mai aperta. Le leggi fiscali americane vietano alle organizzazioni non a scopo di lucro, come la Trump Foundation, di fare donazioni a gruppi politici. I collaboratori di Trump hanno detto che la donazione fu fatta per errore da un dipendente della fondazione. Quando la scorsa primavera il Washington Post riportò la storia della donazione al gruppo politico vicino a Bondi, Trump pagò una sanzione di 2.500 dollari e restituì alla sua fondazione i 25mila dollari.
Ci sono altri casi in cui Trump sembra aver violato le norme contro il self-dealing. Nel 2012, per esempio, Trump spese 12mila dollari della fondazione per comprare un casco da football firmato dall’allora quarterback nella NFL – la principale lega di football professionistico americano – Tim Tebow. Nel 2007 sua moglie Melania offrì 20mila dollari per un ritratto di Trump alto un metro e ottanta, dipinto da uno “speed painter” durante un evento di beneficenza al Mar-a-Lago. Successivamente Trump pagò il dipinto usando soldi della fondazione. Secondo alcuni esperti di fisco, in questi casi Trump non avrebbe potuto tenere e mettere in mostra nella sua casa o nelle sue aziende questi oggetti, ma avrebbe dovuto usarli a scopi benefici. I responsabili della campagna elettorale di Trump non hanno risposto alle domande su cosa sia stato fatto del casco o del ritratto.
I quattro nuovi casi di possibile self-dealing da parte di Trump sono emersi dalla documentazione fiscale della Trump Foundation. Mentre Trump si è rifiutato di diffondere la sua dichiarazione dei redditi, la documentazione fiscale della fondazione deve essere pubblica per legge.
La causa sull’asta della bandiera che coinvolse il resort affacciato sull’oceano di Trump, il Mar-a-Lago di Palm Beach, iniziò nel 2006, quando il resort issò un’enorme bandiera americana su un’asta di 24 metri. Le norme di Palm Beach limitano l’altezza delle aste per le bandiere a circa 12 metri. Secondo i media, in merito alla controversia Trump disse che «non c’è bisogno di un permesso per issare la bandiera americana». La città iniziò a emettere contro Trump multe da 1.250 dollari al giorno. Il Mar-a-Lago sporse denuncia in un tribunale federale, sostenendo che una bandiera più piccola «non sarebbe riuscita a esprimere adeguatamente la grandezza del patriottismo di Trump», salvo poi trovare un accordo con la città di Palm Beach, che rinunciò al pagamento dei 120mila dollari di multe. Nel settembre del 2007 Trump scrisse una lettera alla città, in cui disse di aver fatto la sua parte. «Ho mandato a Fisher House un assegno da 100mila dollari». La città di Palm Beach aveva scelto di destinare i soldi a Fisher House, un’organizzazione che gestisce una rete di alloggi scontati o gratuiti per le famiglie dei reduci di guerra e per i membri delle forze armate in cura medica. Trump aggiunse di avere inviato «un assegno di 25mila dollari» anche a un altro ente benefico, l’American Veterans Disabled for Life Memorial. Trump inviò alla città copie degli assegni, che dimostrano che i soldi arrivarono dalla Trump Foundation. A Palm Beach sembra che nessuno fosse contrario al fatto che le multe comminate alla società di Trump fossero state cancellate da una donazione fatta da un ente benefico. «Non so se all’epoca qualcuno ci fece caso. Ci arrivarono solo due assegni firmati da Donald J. Trump», ha raccontato John Randolph, il procuratore di Palm Beach. «Sono sicuro che la cosa bastò a soddisfarci».
Nell’altro caso in cui sembra che un pagamento da parte della Trump Foundation abbia risolto una disputa legale, i problemi iniziarono con una partita di golf. Nel 2010, durante un torneo di golf di beneficenza sul campo di Trump nella contea di Westchester, nello stato di New York, alla tredicesima buca un uomo di nome Martin Greenberg fece buca al primo colpo, vincendo un premio da un milione di dollari. Successivamente, però, a Greenberg venne detto che non aveva vinto niente: le regole del torneo prevedevano che per essere valido il colpo dovesse far percorrere alla pallina una distanza di circa 137 metri. Sembra però che nel campo di Trump la distanza della buca fosse stata accorciata. Greenberg fece causa. Stando ai documenti del tribunale, alla fine i responsabili del campo da golf di Trump accettarono un accordo che prevedeva una donazione a un’organizzazione scelta da Greenberg. Quando poi le parti informarono il tribunale dell’accordo, la Martin Greenberg Foundation ricevette una donazione di 158mila dollari. I soldi provenivano dalla Trump Foundation, secondo la documentazione fiscale consegnata sia dalla fondazione di Trump che da quella di Greenberg. La fondazione di Greenberg disse di non aver ricevuto denaro in quell’anno né da Trump né dalla sua fondazione. Sia Greenberg che Trump non hanno voluto commentare.
Diversi esperti fiscali hanno detto che i due casi sembrano essere chiari esempi di self-dealing, come definito dalla legge fiscale americana. Sembra che la Trump Foundation abbia fatto le donazioni in modo che non dovesse farlo una società di Trump. Rosemary E. Fei, un’avvocatessa di San Francisco che si occupa di organizzazioni non-profit, ha detto che entrambi i casi rientrano chiaramente nella definizione di self-dealing. «Nel quadro di un accordo giudiziario, Trump si è impegnato a fare una donazione a un ente benefico, ma poi è stata la sua fondazione a mandare un assegno a quell’ente», ha detto Fei. «Ma era Trump a doverlo fare. Non si può fare pagare a una fondazione benefica gli obblighi personali di Trump. È un classico caso di self-dealing».
In un altro caso, questa volta nel 2013, la Trump Foundation fece una donazione da 5mila dollari alla D.C. Preservation League, secondo quando ha riportato l’associazione e stando alla documentazione fiscale. Quando decise di convertire lo storico edificio dell’antico ufficio postale di Washington in un hotel di lusso, Trump sfruttò il sostegno della D.C. Preservation League. La donazione della Trump Foundation all’associazione per la tutela dei siti storici di Washington servì a ottenere il sostegno del gruppo per l’operazione e a comprare alcuni spazi pubblicitari nei programmi di tre grossi eventi a cui parteciparono i più importanti esponenti del settore immobiliare di Washington. Gli annunci pubblicitari non citavano la fondazione di Trump o attività legate alla beneficenza: promuovevano gli hotel di Trump, con foto glamour e un numero di telefono da contattare per fare una prenotazione. «L’assegno della fondazione è servito in sostanza a comprare la pubblicità per gli hotel di Trump?», ha chiesto John Edie, lo storico avvocato del Council on Foundations, un’associazione americana che riunisce diverse fondazioni ed enti benefici, dopo che un giornalista del Washington Post gli ha descritto l’accordo. «Questa non è beneficenza», ha detto Edie.
L’ultima delle quattro spese della Trump Foundation documentate di recente ha a che vedere con il secondo ritratto acquistato da Trump con soldi della fondazione. L’acquisto risale al 2014, durante un gala di beneficenza al Mar-a-Lago per raccogliere soldi a favore della Unicorn Children’s Foundation, un ente benefico della Florida che aiuta i bambini con disturbi dello sviluppo e dell’apprendimento. L’evento principale del gala fu un concerto del cantante cubano Jon Secada, ma si tenne anche un’asta di dipinti di Havi Schanz, un artista di Miami Beach. Uno dei dipinti ritraeva Marilyn Monroe. L’altro era un ritratto di Trump alto un metro e venti, che raffigurava un Trump dall’aspetto più giovane, presumibilmente a metà degli anni Novanta, realizzato con pitture acriliche sopra un vecchio disegno tecnico. Trump lo comprò per 10mila dollari. Successivamente, ha ricordato Schanz in un’email, «Trump mi chiese del dipinto. Io gli dissi: “Dipingo le anime e quando ho dovuto fare il suo ritratto, ho chiesto il permesso alla sua anima”. Fu toccato e sorrise».
Nella prima foto, il ritratto di Trump realizzato da Havi Schanz; nella seconda, Trump insieme all’artista (Havi Schanz)
Qualche giorno dopo la Unicorn Children’s Foundation ricevette un assegno dalla Trump Foundation, ha raccontato l’ente. Trump non fece nessuna donazione in prima persona, secondo Sharon Alexander, direttrice esecutiva dell’ente. I collaboratori di Trump non hanno risposto alle domande su dove sia oggi il secondo dipinto. Alexander ha detto di averlo visto per l’ultima volta nel resort di Trump. «Sono abbastanza sicura che lo lasciammo al Mar-a-Lago», ha raccontato, «e che poi se ne occupò lo staff di Trump». TripAdvisor offre un altro indizio su dove sia finito il quadro: sul sito del campo da golf di Trump Doral, vicino a Miami, alcuni clienti hanno pubblicato delle foto dall’interno della struttura. Una di queste sembra mostrare il dipinto di Schanz, appeso a un muro. La data riportata sulla foto è febbraio 2016.
© 2016 – The Washington Post