Storia delle figurine
A Modena c'è una mostra dedicata a quelle sportive: ma c'è una storia ancora più grande, che parte da Re Sole, passa per il feroce Saladino e arriva a Paolo Poggi e Stefano Volpi
Dal 16 settembre a Modena – la città di Panini e del museo della figurina – si può visitare la mostra “I migliori album della nostra vita“: è allo spazio culturale MATA, è stata curata dal giornalista Leo Turrini, sarà aperta fino al febbraio 2017 e permette di vedere decine di album e più di mille figurine sportive, alcune recenti, altre di alcuni decenni fa. “I migliori album della nostra vita” parla di figurine sportive, soprattutto italiane e degli ultimi cent’anni circa. Il museo della figurina di Modena, aperto dal 2006, racconta invece una storia più grande: figurine di ogni tipo, anche non sportive, e soprattutto più vecchie. Le figurine sono infatti nate molto prima della maggior parte degli sport moderni: non erano adesive, non erano fatte per andare sugli album e non erano vendute nelle edicole, ma regalate insieme ad altri prodotti.
Alcune delle figurine di “I migliori album della nostra vita”:
Le primissime figurine – intese come “immagini da collezionare” – sono probabilmente circolate (con una bassissima “tiratura” e pochissimo collezionisti) nell’Europa del Diciassettesimo secolo. Sembra per esempio che da ragazzo Re Sole (Luigi XIV di Francia) mise insieme una specie di collezione di immagini in bianco e nero che mostravano le più famose regine d’Europa e, più in generale, cose di corte: balli, cene, giochi. Il sito della Treccani spiega che le stampò nel 1644 un tipografo fiorentino, Stefano della Bella.
Le figurine “moderne” – intese come cose da collezionare, accessibili anche ai non aristocratici – arrivarono invece nella seconda metà dell’Ottocento: erano cartoncini con sopra immagini di vario tipo, regalati a chi comprava determinati prodotti. L’idea era far comprare un prodotto proprio perché era accompagnato da una bella figurina, e funzionò. Uno dei casi più famosi fu quello delle figurine regalate dal grande magazzino “Au bon marché”, a Parigi, gestito da Aristide Boucicaut. Ai tempi i bambini francesi non andavano a scuola di giovedì: capitava quindi che accompagnassero le madri a fare la spesa. Ogni giovedì “Au bon marché” regalava ai bambini una figurina, per far sì che la settimana successiva madri e figli sarebbero tornati lì, per la felicità dei figli e il quieto vivere delle madri.
Una cosa simile la fece anche chi vendeva sigarette, prima negli Stati Uniti e poi in altri paesi del mondo. I bambini non fumavano, ovviamente, ma cercavano di farsi dare le figurine dagli adulti, per esempio stando fuori dai negozi che le vendevano, sperando in adulti disinteressati o particolarmente gentili. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento le figurine accompagnarono molti altri prodotti, soprattutto bustine di the e gomme da masticare. In Italia le figurine furono regalate anche con i pacchi di pasta. Già nell’Ottocento le figurine erano poi scambiate e usate come una specie di valuta. Il museo della figurina parla per esempio di “figurine delle sedie“: «erano usate come ricevuta di controllo per l’avvenuto pagamento di una sedia o poltroncina ai giardini parigini, luoghi in cui riposarsi durante le passeggiate».
La grande diffusione fu aiutata da una nuova tecnica di stampa che velocizzò la produzione, abbassò i costi e migliorò la qualità: la cromolitografia. Il museo delle figurine di Modena spiega che la cromolitografia «consiste nel disegnare figure con una particolare matita grassa su una matrice di pietra. Dopo aver trattato la superficie della lastra litografica con una soluzione acida, si procede inumidendo la matrice, dopo di che si inchiostra, utilizzando un rullo in pelle o in caucciù». Non esistevano però ancora gli album e le serie di figurine erano ridotte: in genere bastavano tra le sei e le dodici immagini per finire la collezione.
La ditta che seppe meglio sfruttare le figurine fu la Liebig, un’azienda tedesca che vendeva una specie di dado da brodo. La Liebig iniziò a produrre figurine – quasi sempre di 7×11 centimetri – nel 1872 e andò avanti per circa un secolo, stampando in tutto quasi duemila diverse serie di figurine. Negli Stati Uniti la ditta delle figurine divenne invece quella che ora è nota come Topps Company: nella sua storia ha venduto soprattutto sigarette, gomme da masticare e caramelle, ma è famosa soprattutto per le sue figurine. Fu anche una delle prime aziende a puntare molto sulle figurine sportive, in particolare quelle con i giocatori di baseball. In Italia le cose andarono un po’ come nel resto del mondo: le figurine erano abbinate a prodotti di vario tipo e tra le aziende che le usarono ci sono la Buitoni, la Perugina e la Lavazza.
Liebig: Serie Italiana n°344 fronte (catalogo Sanguinetti / Wikimedia)
Nella seconda metà del Novecento cambiò la pubblicità. Arrivarono nuovi mezzi di comunicazione e aumentò la concorrenza: non bastava più una figurina in regalo per convincere le persone a comprare un certo prodotto. Le figurine diventarono quindi una cosa autonoma: vendute nelle edicole, in bustine, per finire sugli album (all’inizio bisognava però incollarle, perché non erano adesive). La Panini arrivò in quel periodo: la fondarono nel 1961 Giuseppe Panini e la madre Olga, dopo aver comprato un’edicola nel centro di Modena e una ditta che si occupava di distribuzione di giornali. Il primo album Panini uscì in abbinamento alla stagione calcistica 1961-1962 con il titolo “Calciatori” e con in copertina Nils Liedholm, attaccante svedese del Milan, che dopo quella stagione si ritirò e iniziò una grande carriera da allenatore.
Trovare le fotografie con cui realizzare le figurine per i primi anni fu sempre una specie di impresa. Non esistevano, come oggi, molte agenzie fotografiche e non tutte le squadre avevano uffici stampa in grado di fornire immagini di tutti i propri giocatori. Panini era costretta a utilizzare i metodi più diversi: affidarsi ad amici giornalisti sportivi, chiedere ad agenzie fotografiche minori e assoldare fotografi all’ultimo momento per riempire i buchi. Mentre si stava per iniziare a stampare il primo album, per esempio, si scoprì che mancava la foto di gruppo dell’Udinese. L’album doveva andare in stampa in breve tempo, così un fotografo venne inviato alla prima partita disponibile: un’amichevole infrasettimanale giocata nel tardo pomeriggio. Il fotografo riuscì ad avere la sua “schierata” (il nome tecnico delle foto che ritraggono l’intera squadra in posa), ma c’era così poca luce che il cielo risultò completamente nero. La figurina divenne nota come “la nera dell’Udinese”.
Tutte le fotografie venivano scattate in bianco nero e spesso avevano inquadrature, fondali e luci piuttosto improbabili. Le immagini venivano quindi colorate in un secondo momento, stampate su grandi fogli, tagliate, mescolate e imbustate. C’erano due figurine in ogni bustina e una bustina costava dieci lire. In pochi anni i “Calciatori” Panini fecero scomparire la concorrenza. Gli album Panini avevano una serie di vantaggi rispetto alla numerosa concorrenza dell’epoca: contenevano tutte le fotografie di tutte le squadre di serie A, e soprattutto erano molto accurati sui dati biografici dei calciatori e su quelli tecnici, e per molti appassionati di calcio divenivano il riferimento su luoghi e date di nascita, presenze, gol fatti. Ma soprattutto la famiglia Panini investì moltissimo nella distribuzione. Il suo obiettivo era arrivare in tutte le edicole del paese e tenerle rifornite di figurine per tutta la stagione.
La prima collezione Calciatori del 1961-62 vendette tre milioni di figurine (che divennero 15 l’anno dopo e 29 quello dopo ancora). Da allora la società ha quasi sempre incrementato vendite e fatturati (tranne che in alcuni periodi piuttosto difficili, come vedremo tra poco). La Panini disse di aver stampato circa 40 miliardi di figurine nei suoi primi 40 anni di attività, e questo solo per gli album “Calciatori”.
Panini oggi ha circa 900 dipendenti e una distribuzione che arriva in oltre 120 paesi. Negli anni ha cambiato diverse proprietà – negli anni Ottanta fu acquistata dall’inglese Robert Maxwell, nel 1991 da DeAgostini e nel 1994 dalla Marvel – e dalla fine degli anni Novanta è tornata ad avere una proprietà italiana, dopo l’acquisto di una cordata di imprenditori. Il sito Panini parla di un fatturato di oltre 500 milioni di euro nel 2013. Gli anni migliori per Panini sono però quelli degli Europei di calcio e ancora più dei Mondiali. Per i Mondiali del 2014 in Brasile (il primo mercato di Panini, per cui l’Italia è solo un quarto del mercato totale) ha stampato oltre 60 milioni di album. «Quale altra società al mondo pubblica 65 milioni di copie di qualsiasi cosa?», disse un dirigente brasiliano della società. Panini è molto attiva in Sudamerica, e in Brasile c’è il centro di tutte le sue operazioni nel continente.
Non ci sono dati chiari e aggiornati su quante figurine stampi Panini ma in base alle informazioni più recenti sono 6 miliardi l’anno. Un altro interessante dato ricavato dalle stime Panini è che circa il 50 per cento di quelli che comprano le sue figurine sono adulti. I social network, internet e tutte queste cose dell’ultimo decennio hanno aiutato Panini: sul suo sito ma anche in altri siti è possibile scambiare figurine, oltre che richiedere quelle mancanti. La Panini è famosa per le figurine di calciatori, ma iniziò piuttosto presto a fare figurine di altre cose: iniziò con “Aerei e Missili” nel 1965 e nel 1966 uscì “Animali di tutto il mondo”.
Pizzaballa, Volpi, Poggi e il Feroce Saladino
La Panini assicura sul suo sito che «attualmente ogni collezione è composta da un numero di figurine pari a quelle inserite in uno o due fogli di stampa, fogli di stampa che contengono tutte le figurine una volta e che vengono stampati in ugual numero». La storia italiana è però stata segnata da tre grandi questioni relative alla figurina-che-manca. La prima è degli anni Trenta ed è il feroce Saladino: faceva parte di una collezione legata al programma radiofonico I quattro moschettieri e abbinata ai prodotti Perugina e Buitoni. Nelle figurine c’erano i quattro moschettieri ma anche personaggi di altro tipo (Tarzan, Sandokan, Buffalo Bill, Cleopatra) e chi completava gli album vinceva premi di vario tipo. Per chi completava 150 album c’era la possibilità di vincere una FIAT Topolino. Pare che in quel caso una figurina – quella del Feroce Saladino – fu prodotta con una bassissima tiratura. Il concorso fu chiuso con un decreto del governo.
Un’altra figurina quasi-introvabile fu quella di Pier Luigi Pizzaballa, portiere dell’Atalanta. In un album Panini degli anni Sessanta la sua figurina sembrava essere difficile da trovare: ci fu anche chi disse che Pizzaballa era assente al momento della foto e che la sua figurina quindi proprio non c’era. Invece la figurina esisteva, e sempre anche con una tiratura uguale a tutte le altre. Non è mai stato davvero chiarito se successe qualcosa (e se sì cosa successe): parte della questione è probabilmente dovuta al fatto che essendo portiere dell’Atalanta, e quindi “primo giocatore” della prima squadra in ordine alfabetico, l’assenza della sua figurina si faceva notare più di altre. Pizzaballa ha però detto: «Come sia stato possibile non lo so. È sempre stato un mistero anche per me. Mi hanno anche detto che, al momento di ristampare le foto, non si trovasse più l’impasto della mia figurina e quindi cominciò a mancare la figurina numero uno».
Un caso simile e più recente – per ricordarlo bisogna essere giovani, ma non troppo – riguarda due figurine di calciatori di un album della stagione 1997/1998: era associato a delle gomme da masticare ed era della Topps, non di Panini. Le figurine di due calciatori – Sergio Volpi e Paolo Poggi – erano davvero quasi-introvabili. Dopo che i bambini di tutta Italia spesero una fortuna in gomme da masticare – e probabilmente in future spese dentistiche – la società ammise al programma di Rai 3 “Mi manda Lubrano” di aver stampato in un numero molto limitato quelle due figurine.