Come comunica l’ISIS per non farsi scoprire
Le strategie vecchie e nuove – per esempio: non comunicare proprio – stanno mettendo in difficoltà le agenzie di sicurezza internazionali
Il Wall Street Journal ha pubblicato una ricostruzione delle tecniche di comunicazione utilizzate dai terroristi dello Stato Islamico (o ISIS) che progettano attentati, e dei metodi che usano per non essere intercettati o sviare le agenzie di sicurezza che indagano su di loro. All’utilizzo delle applicazioni per messaggi criptati, i membri dello Stato Islamico e di altri gruppi terroristici hanno cominciato ad affiancare metodi molto più semplici ma per molti versi più efficaci: messaggi scritti a mano, incontri di persona e scambi di cellulari per confondere gli agenti nella localizzazione degli affiliati, come è successo con Abdelhamid Abaaoud, il militante dello Stato Islamico che ha diretto gli attacchi a Parigi lo scorso 13 novembre ed era riuscito a far credere alla polizia di essere in Siria.
Poche settimane prima degli attentati di novembre, le autorità francesi avevano localizzato Abaaoud nel nord della Siria, determinando la sua posizione grazie ai dati di localizzazione del suo cellulare. In realtà, però, era solo il cellulare a trovarsi in Siria: Abaaoud lo aveva consegnato a un complice prima di tornare in Europa, sospettando probabilmente di essere sotto la sorveglianza della polizia. Il depistaggio è una delle tecniche che lo Stato Islamico sta usando per nascondere ai servizi di intelligence le sue comunicazioni interne e gli spostamenti dei suoi affiliati. Tra gli altri accorgimenti non tecnologici che rendono difficili le indagini della polizia c’è il silenzio: al momento degli attentati di novembre a Parigi, il gruppo di tre terroristi che attaccò il Bataclan durante il concerto degli Eagles of Death Metal non comunicava da settimane con il gruppo che si fece esplodere allo Stade de France durante la partita Francia-Germania. La sospensione delle comunicazioni rende più difficile per la polizia ricostruire i rapporti tra i diversi membri delle cellule terroristiche e dà meno occasioni di errori che possano compromettere l’esito dei loro piani.
La vicenda di Abaaoud è esemplare e aiuta a ripercorrere cronologicamente il cambio di strategia dello Stato Islamico. Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 Abaaoud stava coordinando un gruppo di terroristi che avrebbe dovuto attaccare il Belgio entro la fine dell’anno. I membri del gruppo usavano telefoni monouso e comunicavano ciascuno con almeno un account di WhatsApp e di Telegram. Non furono abbastanza prudenti, però, e la polizia belga intercettò le loro linee telefoniche: prima furono scoperte le comunicazioni di un cittadino belga sotto controllo perché di ritorno dalla Siria; da quel momento, grazie a intercettazioni e appostamenti, la polizia arrivò a un appartamento a Verviers, in Belgio, utilizzato dai terroristi. Lì gli agenti trovarono pugnali, materiali per la produzione di bombe e uniformi della polizia. Era il gennaio del 2015. Due sospetti terroristi furono uccisi durante lo scontro a fuoco con la polizia. I servizi di intelligence utilizzarono i dati di Abaaoud ottenuti attraverso le intercettazioni per rintracciare la sua posizione, che fu individuata ad Atene. Prima che la polizia greca riuscisse a circondare la zona del suo appartamento, Abaaoud era già riuscito a scappare.
In seguito agli attacchi aerei statunitensi su Siria e Iraq di settembre 2014, lo Stato Islamico aveva iniziato ad adottare misure di sicurezza più stringenti, vietando per esempio l’utilizzo del GPS. Durante il 2015, le agenzie di intelligence europee hanno continuato a seguire gli spostamenti di Abaaoud elettronicamente, individuandolo in Siria. A metà agosto, gli agenti dell’intelligence arrestarono Reda Hame, un francese militante dello Stato Islamico appena tornato in Francia dalla Siria. Da Hame scoprirono che Abaaoud voleva attaccare Parigi, in particolare un concerto rock. Attraverso le reti cellulari, gli hotspot Wi-Fi e i satelliti, i servizi di intelligence – compresi quelli statunitensi – individuarono sempre in Siria la posizione di Abaaoud, tra le città di Raqqa, Manbij e Deir ez-Zor.
La polizia non sa tuttora con esattezza come e quando Abaaoud e gli altri terroristi fossero arrivati in Europa, ritenendo però probabile che sia avvenuto alla fine di settembre 2015. Una delle ragioni di questa incertezza è dovuta al fatto che, una volta arrivati, i terroristi hanno comunicato pochissimo tra di loro, avendo già predisposto tutto il piano altrove. Il 13 novembre, giorno degli attentati, la polizia era ancora convinta che Abaaoud si trovasse in Siria. Tre giorni dopo l’attentato gli agenti capirono che non era vero e che Abaaoud aveva diretto di persona le operazioni a Parigi. Il 18 novembre individuarono l’appartamento a nord della città dove lui e gli altri si nascondevano e dove Abaaoud fu ucciso dalla polizia.
Il capo dei servizi segreti francesi Patrick Calvar, lo scorso maggio, aveva detto davanti a una commissione parlamentare che «ci troviamo davanti a dei veri professionisti», spiegando che lo Stato Islamico è diventata un’organizzazione gerarchica e specializzata, grazie all’esperienza dei jihadisti e dei veterani delle forze di sicurezza irachene che sono entrati nel gruppo. Una cosa simile la dice Rob Wainwright, il direttore dell’Europol, l’agenzia che coordina le autorità di polizia nazionali all’interno dell’Unione Europea: «nel momento in cui lasciano il Belgio, la Francia o il Regno Unito, gli affiliati sono principianti. Una volta tornati sono terroristi di tutt’altra razza».
Il resoconto del Wall Street Journal è basato su documenti ufficiali, sulla propaganda fatta dallo Stato Islamico e su interviste agli agenti che hanno indagato sulle cellule terroristiche di Parigi e Bruxelles. Il cambiamento nella strategia di comunicazione, spiega il Wall Street Journal, è avvenuto perché lo Stato Islamico ha capito quanto possano essere vulnerabili le comunicazioni elettroniche. Se in un primo momento l’utilizzo di Facebook, degli smartphone e dei messaggi di testo era diffuso come mezzo per fare propaganda, presto ha mostrato i suoi limiti in termini di sicurezza, rendendo possibili diverse operazioni e arresti da parte delle agenzie di sicurezza. Oggi lo Stato Islamico consiglia ai suoi militanti di cambiare i cellulari spesso, come fossero usa e getta; di registrarsi online usando numeri temporanei e di saltare da un’applicazione all’altra durante una conversazione per rendere difficile la sua comprensione da parte della polizia.
Le applicazioni di cui si parla sono quelle che usiamo tutti: WhatsApp e Telegram, entrambe dotate di un sistema di crittografia end-to-end. Questo fa sì che i messaggi possano essere visti solo da mittente e ricevente, rendendo la loro decodificazione difficile per chiunque altro, comprese le autorità. Un caso particolare c’è stato in Italia, ad aprile, quando è stata rintracciata una nota audio inviata con WhatsApp da un membro dello Stato Islamico. Il destinatario era Abderrahim Moutaharrik, campione di kickboxing di origini marocchine che vive in Italia e che era indagato dalla procura di Milano per possibili legami con lo Stato Islamico. Il messaggio vocale venne scoperto quasi per caso: Moutaharrik lo ascoltò senza auricolari all’interno della sua auto, dove la polizia aveva messo dei microregistratori.