La volta che Hemingway fu battuto a boxe, con Fitzgerald da arbitro
Da un altro scrittore, il canadese Morley Callaghan: finì in litigio, come mostrano le lettere che si scambiarono e che vennero poi rubate
La storia della letteratura non è fatta solo di libri, recensioni critiche, sviluppi di correnti culturali, ma anche di aneddoti che nel tempo hanno reso alcuni scrittori più popolari e amati di altri. Uno di questi è certamente Ernest Hemingway – autore, tra gli altri, di Addio alle armi, Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare –, su cui circolano decine di storie e leggende, tra cui una poco conosciuta di cui si è riparlato di recente, a fine agosto. Risale all’estate del 1929 e ruota attorno a un incontro di boxe tra Hemingway e lo scrittore canadese Morley Callaghan, in cui Francis Scott Fitzgerald, autore di Il grande Gatsby, fece da arbitro. L’ex libraio di libri rari David Mason ha raccontato sul Guardian di quando, nel 1993, gli furono rubate le lettere in cui Hemingway, Fitzgerald e Callaghan discutevano dell’incontro – che finì con la vittoria di Callaghan, che aveva quattro anni meno di Hemingway – che mostravano come i tre scrittori finirono per litigare e compromettere la loro amicizia.
L’aneddoto affascinò molti altri scrittori, come Truman Capote e Norman Mailer: è una storia sulla rivalità tra uomini e scrittori che si intreccia col mito della boxe, e l’ennesimo esempio di come un episodio poco importante possa sfuggire di mano con conseguenze gravi e imprevedibili.
L’incontro tra Hemingway e Callaghan
Esistono diverse versioni di come si svolse l’incontro, raccontate perlopiù in occasioni diverse da Hemingway. Secondo Mason la più affidabile è però quella scritta da Callaghan nel suo libro autobiografico Quell’estate a Parigi, pubblicato nel 1963, e che racconta l’estate del 1929. All’epoca Hemingway, Fitzgerald e molti altri intellettuali e artisti americani – la cosiddetta “Lost generation” – vivevano a Parigi. Morley Callaghan non è molto famoso in Italia – alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in italiano, ad esempio Aprile è arrivato (Il Melangolo) e Tre amanti (BUR) – e in generale non divenne mai famoso quanto Hemingway, che però non riuscì mai – pare – a superare l’umiliazione di essere stato battuto da lui, tanto che continuò a chiedergli una rivincita per anni.
Hemingway e Callaghan si conobbero quando lavoravano per il Toronto Star, nel 1923. All’epoca nessuno dei due aveva ancora pubblicato un romanzo, ma entrambi volevano fare gli scrittori e avevano gusti letterari simili. Nel 1924 Hemingway si trasferì a Parigi e invitò Callaghan, che ci andò nella primavera del 1929. Nel frattempo Hemingway aveva pubblicato Fiesta (1926) e stava per pubblicare Addio alle armi, mentre nel 1928 era uscito il romanzo Strange Fugitive di Callaghan. In Quell’estate a Parigi Callaghan racconta che Hemingway doveva essersi impermalosito perché lui, Callaghan, aveva scritto un racconto sulla boxe pubblicato sulla rivista Scribner: era un tema molto amato da Hemingway – convinto che si possa scrivere solo di ciò che si conosce – che aveva quindi sfidato Callaghan in un incontro per metterlo alla prova. Inizialmente a Hemingway bastarono solo un paio di colpi in casa sua, davanti alle rispettive mogli: voleva solo verificare se Callaghan avesse mai fatto boxe in vita sua.
Il giorno dopo però ci ripensò e gli propose un vero incontro all’American Club, dove c’era più spazio anche se mancava un vero ring; da allora i due cominciarono ad allenarsi insieme regolarmente. Callaghan racconta che nessuno dei due era un professionista e che avevano un livello simile, anche se Hemingway era più massiccio. Gli allenamenti furono interrotti dall’arrivo di Francis Scott Fitzgerald a Parigi: l’amicizia tra Fitzgerald ed Hemingway era in crisi perché a Hemingway non piaceva Zelda, la moglie di Fitzgerald. Callaghan era riuscito a mantenere un buon rapporto con entrambi, separatamente, ma le cose si complicarono quando Fitzgerald chiese di assistere al loro incontro (che in Quell’estate a Parigi si può leggere in inglese qui).
Hemingway chiese a Fitzgerald di arbitrarlo. Callaghan racconta che il primo round si svolse normalmente ma all’inizio del secondo Hemingway cominciò a boxare in modo più spericolato e Callaghan lo colpì al labbro, facendolo sanguinare. Hemingway rispose con più forza, Callaghan continuò a colpirlo al labbro e alla fine lo mandò a terra. Hemingway si rialzò, Fitzgerald si rese conto di aver lasciato passare un minuto di troppo ed Hemingway lo accusò di averlo fatto apposta: «Va bene, Scott. Se volevi vedermi messo al tappeto, bastava che lo dicessi. Però ora non dire di esserti sbagliato». Nel corso degli anni Hemingway raccontò che Fitzgerald aveva fatto durare il round otto minuti anziché tre; poi disse che Fitzgerald aveva bevuto, non era lucido, e il round era durato 13 minuti.
Hemingway lasciò il ring per la pausa, poi l’incontro riprese ma a quel punto la situazione era tesa e nessuno si divertiva più. Fu probabilmente quel giorno che l’amicizia tra lui e Fitzgerald finì definitivamente, mentre il rapporto con Callaghan si incrinò dopo che un giornale di pettegolezzi di New York raccontò l’incontro, e Hemingway sospettò che fosse stato Callaghan a fare la soffiata. Callaghan scrisse al giornale per chiedere una rettifica, Hemingway chiese a Callaghan la rivincita.
Mason spiega che la versione della storia data da Callaghan gli sembra più affidabile: non era una persona vanitosa, né mostrava risentimento nei confronti di Hemingway. Quell’estate a Parigi fu pubblicato nel 1963, due anni dopo il suicidio di Hemingway, che non poté dunque replicare. Callaghan morì nel 1990.
Il furto delle lettere
Non si sa che fine abbiano fatto le lettere rubate in cui era raccontata la storia dell’incontro. A un certo punto fu arrestato un uomo trovato con una cartolina che faceva parte della corrispondenza: confessò di aver fatto parte del gruppo di ladri che derubò Mason, poco tempo dopo si suicidò in carcere e gli altri complici non vennero mai trovati. Mason stima che nel 1993 le lettere e i libri di Hemingway che gli furono rubati valevano 170 mila euro dell’epoca, oggi potrebbero superare i 670 mila euro.