Le contestate elezioni in Zambia
Un mese fa il presidente è stato rieletto per un soffio, ma molte persone credono ci siano stati brogli e non si fidano degli osservatori internazionali
di Elizabeth Sperber e Matt Herman– The Washington Post
Martedì 13 settembre Edgar Lungu, il presidente in carica dello Zambia, ha prestato giuramento per il suo secondo mandato, nonostante il partito d’opposizione stia contestando i risultati dell’elezione nei tribunali del paese. Le elezioni di agosto in Zambia sono state le più violente da una generazione a questa parte. I sostenitori dell’opposizione si sono scontrati duramente con i quelli del partito al governo e con la polizia, portando per la prima volta a un divieto temporaneo di svolgere comizi elettorali nella capitale Lusaka a luglio. Prima delle elezioni i politici al governo hanno limitato le libertà dei media generando diverse polemiche, mentre i sostenitori dell’opposizione temevano che il governo avrebbe manipolato il voto.
In questo contesto lo Zambia aveva bisogno – e ne ha tutt’ora – di organi di monitoraggio affidabili che salvaguardino il processo elettorale. Per questo motivo, la maggior parte degli abitanti del paese si è rivolta a una coalizione che riunisce chiese cattoliche, della principale corrente protestante e più antiche chiese evangeliche. In un paese in cui i cristiani sono più dell’80 per cento della popolazione, queste istituzioni sono viste come più affidabili dello stato e sono radicate nella comunità più in profondità rispetto alle missioni laiche di osservatori internazionali. Con lo stallo dei tentativi di democratizzazione del paese degli ultimi anni e l’aumento della disillusione verso le missioni di osservatori internazionali, questa coalizione di chiese ha formalizzato la sua attività di monitoraggio delle elezioni nazionali nel 2014, creando il Gruppo di monitoraggio delle chiese cristiane (CCMG).
Oggi però il CCMG – l’organo di monitoraggio elettorale considerato più affidabile in Zambia – non è in grado di verificare in modo esauriente la correttezza delle elezioni. Questo perché il governo dello Zambia ha frammentato l’accesso ai diversi segmenti del processo elettorale tra diversi osservatori nazionali e internazionali, in particolare al Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e al CCMG.
I principali candidati alle elezioni di agosto sono stati il presidente in carica Edgar Lungu del Fronte Patriottico e Hakainde Hichilema del Partito Unito per lo Sviluppo Nazionale. Quattro giorni dopo il voto, la commissione elettorale dello Zambia ha annunciato la vittoria del presidente Lungu con il 50,35 per cento dei voti, contro il 47,63 di Hichilema. Lungu ha superato il 50 per cento dei voti –vincendo così al primo turno ed evitando il ballottaggio – solo per 13.021 voti: per questo in molti hanno parlato di brogli.
Nell’ultimo mese Hichilema ha contestato il risultato elettorale nei tribunali dello Zambia. Tra le altre cose, ha accusato il Fronte Patriottico di aver collaborato con la commissione elettorale, che è neutrale, per aggiungere alle liste elettorali persone straniere o morte, in modo da garantire una vittoria anche ristretta al partito al governo. Teoricamente ora gli abitanti dello Zambia potrebbero chiedere a osservatori neutrali di verificare la correttezza del voto: ma in realtà non possono.
In alcuni casi gli osservatori internazionali fanno più male che bene
Molte organizzazioni internazionali mandano osservatori in Zambia. Ciononostante, la politologa Judith Kelley sostiene che la presenza di molti osservatori internazionali possa essere più dannosa che utile. In uno studio, le professoresse Emily Beaulieu e Susan Hyde hanno scoperto che nonostante i governi che ospitano osservatori internazionali siano sempre di più, i leader in carica continuano a manipolare le elezioni usando strategie più difficili da rilevare (per esempio escludendo candidati rivali, manipolando le liste elettorali o limitando la libertà dei media). Secondo Darren Kew, Lisa Laasko e Cyril Ob, in Africa gli osservatori internazionali che vengono da altri paesi africani non sono riusciti a rimanere neutrali per via di forti interessi diplomatici, mentre per Brian Klaas è molto meno probabile che gli osservatori internazionali definiscano «non libere e non corrette» delle elezioni in Africa rispetto ai voti in altri paesi, anche quando i governi usano le stesse strategie per manipolare i risultati.
Molti leader di comunità dello Zambia, disillusi nei confronti del monitoraggio elettorale del paese, hanno sostenuto l’adozione di una sorveglianza nazionale. Il reverendo Suzanne Matale, segretario generale del Consiglio delle chiese dello Zambia, un organo che fa parte della principale corrente protestante, ha detto per esempio che mentre gli osservatori nazionali possono monitorare «la registrazione, le campagne elettorali e tutto il resto fino a dopo le elezioni, lo UNDP arriva due giorni prima del voto e si concentra sulle lunghe e tranquille code nel giorno delle elezioni, prendendo poi importanti decisioni sulla correttezza e sulla credibilità del voto».
Nel 2014, con l’aumento dell’instabilità politica e religiosa del paese, le quattro importanti organizzazioni religiose dello Zambia hanno fondato il Gruppo di monitoraggio delle chiese cristiane (CCMG). In Zambia, un paese a maggioranza cristiana, la maggior parte della popolazione aderisce alle principali confessioni protestanti o cristiane, e il numero delle persone che si identificano come evangelici è in aumento. I membri del CCMG rispecchiano questa spartizione e hanno al loro interno associazioni ombrello per le principali correnti protestanti, cattoliche ed evangeliche, oltre a un Centro gesuita per la riflessione teologica. Il CCMG è finanziato dalle agenzie per lo sviluppo di Stati Uniti e Regno Unito, lo USAID e il DFID, e riceve assistenza tecnica dal National Democratic Institute, un’organizzazione non governativa americana che promuove la responsabilizzazione del governo e la partecipazione dei cittadini. Il CCMG era pronto a monitorare il processo di registrazione al voto, verificare le liste e svolgere una tabulazione parallela del voto (PVT) durante il giorno delle elezioni. La metodologia PVT prevede che gli osservatori trasmettano direttamente il conteggio dei voti da un campione rappresentativo di seggi a un centro di elaborazione dati indipendente, che poi usa i dati per fare previsioni sui risultati elettorali a livello nazionale. Gli osservatori confrontano poi le stime del PVT con i risultati ufficiali per confermare che lo spoglio dei voti non è stato manipolato.
La commissione elettorale dello Zambia, però, non ha permesso al CCMG di esaminare le liste elettorali; e ha chiesto invece allo UNDP di inviare due consulenti keniani, Dismas Ong’ondi e Ben Chege Ngumi, affidando loro il compito di vigilare su questa importante fase del processo elettorale. Nonostante non ci siano prove dirette che dimostrino la manipolazione degli elenchi, il rifiuto di dare ad affidabili osservatori nazionali l’accesso alle liste rafforza lo scetticismo di molti abitanti dello Zambia verso le missioni di osservatori internazionali dello UNDP. Eugene Kabilika, uno dei membri fondatori del CCMG, ha sottolineato come prima del voto alcune persone nel paese diffidassero dell’UNDP perché «non sembrano in grado di sfidare il governo a correggere i suoi difetti. L’opposizione si fiderebbe più del CCMG che dello UNDP, ma al momento non credo ci sia nessuno che si fiderebbe dell’autenticità delle liste».
Nonostante la mancanza di prove dirette di brogli, il rifiuto da parte del governo di concedere allo CCMG accesso illimitato all’intero processo elettorale rafforza lo scetticismo popolare in Zambia verso le missioni di osservatori internazionali, in special modo lo UNDP. Suggerisce inoltre che in molti paesi in via di sviluppo – dove la transizione iniziata con la fine della Guerra Fredda verso un sistema politico multipartitico ha prodotto regimi “semi-democratici” o ibridi – i partiti al governo possono selezionare le missioni di osservatori internazionali o nazionali da coinvolgere nel monitoraggio delle elezioni, e potenzialmente mettere questi gruppi l’uno contro l’altro, a scapito della responsabilizzazione democratica e della fiducia pubblica nel governo. Il futuro del processo di democratizzazione nella regione dipenderà in parte dall’abilità delle organizzazioni di monitoraggio internazionali e nazionali di formare alleanze indissolubili e rispettabili.
© 2016 – The Washington Post