Il nuovo museo sulla storia afroamericana a Washington
Si inaugura sabato, e la sua realizzazione è discussa da settimane come un evento storico negli Stati Uniti
Il 24 settembre aprirà a Washington, D.C., il nuovo museo nazionale di storia e cultura afroamericana dello Smithsonian Institution, grande istituzione didattica e museale statunitense che già gestisce i più importanti musei della città. La struttura del museo è stata progettata dall’architetto britannico di origini tanzaniane David Adjaye e si trova sul National Mall, il grande prato longitudinale che si estende per tre chilometri al centro della città, dal Campidoglio al Lincoln Memorial, e su cui si affacciano anche gli altri grandi musei nazionali. Davanti a dove si trova adesso il museo, in un giorno del 1963 si affollarono 200mila persone per ascoltare Martin Luther King che dal Lincoln Memorial tenne il discorso famoso con la frase “I have a dream”. La creazione del museo è stata raccontata e discussa molto estesamente sui media americani nelle scorse settimane, ed è considerata un necessario e dovuto completamento al modo con cui le istituzioni nazionali raccontano la storia degli Stati Uniti nella capitale, soprattutto in tempi in cui le discriminazioni pratiche e culturali degli afroamericani nel passato e nel presente sono di nuovo molto di attualità: più che un completamento, quindi, una scelta di grande importanza nell’incompleta storia dell’integrazione.
Sui cinque piani di esposizioni, tre dei quali interrati, la storia e la cultura afroamericane vengono raccontate cronologicamente: si inizia con la schiavitù in Africa, si tratta il 1968 come anno di svolta e si arriva a oggi con i movimenti di protesta recenti contro la violenza sui neri. Il museo apre tredici anni dopo l’autorizzazione alla sua costruzione – e dopo un percorso ancora più lungo e tormentato di discussione politica sulla sua realizzazione – allo scadere del secondo mandato presidenziale di Barack Obama e in un momento in cui la questione dell’uguaglianza tra bianchi e neri appare tutt’altro che risolta.
All’esterno, il museo e le sue pareti scure sono diversi dagli altri monumenti del complesso, tutti in stile neoclassico e con superfici chiare. La sagoma del National Museum of African American History and Culture è ispirata al disegno di elementi formali Yoruba (un gruppo etnico-linguistico diffuso nell’Africa occidentale). Il rivestimento esterno doveva essere formato da pannelli in bronzo che, per via dei costi, sono stati sostituiti con pannelli in lega di alluminio colorati di bronzo, che alla luce del giorno fanno sembrare l’edificio ricoperto di una patina di ruggine. Dei cinque piani che costituiscono l’edificio, tre sono completamente interrati: questo ha richiesto uno scavo profondo circa ventitré metri e lavori aggiuntivi per proteggerlo dalle infiltrazioni d’acqua: diverse parti del progetto sono state sviluppate e modificate mentre il cantiere era già aperto. Dall’inizio dei lavori a oggi sono stati spesi 540 milioni di dollari, metà dei quali raccolti attraverso finanziamenti privati e i restanti provenienti da fondi federali.
Nella mostra sono esposti appena 3500 oggetti dei 40mila appartenenti alla collezione. I tre piani interrati, raggiungibili con gli ascensori o le rampe a spirale, sono la parte più storica. Secondo una recensione del New York Times, che come altri media americani ha visitato il museo prima dell’apertura, in questa prima parte sono contenuti gli oggetti più emotivamente forti, come il collare da schiavo di dimensioni così piccole da essere stato certamente utilizzato per un bambino, il documento di vendita di una ragazzina di dieci anni e dei figli che avrebbe generato, o la bara che aveva accolto il corpo di Emmett Till, un ragazzo di 14 anni torturato e ucciso in Mississippi nel 1955 per aver forse flirtato con una donna bianca. Molte riflessioni sono state già dedicate al modo in cui questi pezzi della storia saranno accolti dai ragazzi e bambini delle visite scolastiche, per esempio.
L’atmosfera si fa meno dolorosa ai piani superiori, dove iniziano a comparire pannelli multimediali e la storia viene raccontata attraverso le vite di personaggi importanti come Angela Davis, o da oggetti di culto come il cappello di Michael Jackson o la Cadillac rosso ciliegia di Chuck Berry. Oltre alla politica e alle organizzazioni rivoluzionarie come le Pantere Nere, si racconta anche la cultura pop attraverso la ricostruzione di un set dell’Oprah Winfrey Show, il famoso talkshow di Winfrey, andato in onda dal 1986 al 2011 (la stessa Winfrey ha finanziato il museo con 21 milioni di dollari). L’esposizione si fa sempre più concentrata, arrivando alla galleria “Comunità” dedicata in gran parte alla presenza afroamericana in ambito militare e sportivo. Qui è esposto il biplano guidato nella seconda guerra mondiale dai Tuskegee Airmen, un reparto dell’esercito statunitense nato per addestrare piloti da caccia e riservato ai neri, ma a fianco sono riportati i versi che il poeta Langston Hughes rivolse alla sua patria:
Everything that Hitler
And Mussolini do
Negroes get the same
Treatment from you.
E molto della comunicazione e dei messaggi del museo cerca di affrontare la necessità di trovare un equilibrio tra l’integrazione e la rappresentazione di un pezzo di storia degli Stati Uniti e la rivendicazione di come la stessa storia degli Stati Uniti sia stata persecutoria nei confronti della cultura e delle persone raccontate. Equilibrio che alla fine il museo cerca di raggiungere mescolando piani, storie ed elementi diversi: “l’effetto è confuso, ma è la Storia ad essere confusa”, ha commentato il New York Times, “se non lo è, non è Storia, è fiction”. Mentre sul Washington Post la confusione e la ricchezza di cose esposte e narrate sono più criticate.
Oltre alla mostra permanente, nell’edificio sono stati realizzati un teatro e un ampio atrio d’ingresso che ospiterà eventi o installazioni. “So che non avremo accontentato tutti” ha detto Lonnie G. Bunch III, il direttore del museo. Gli organizzatori si sono molto interrogati sul tipo di narrazione da proporre ai visitatori, su come affrontare ciascun periodo storico e su quale tema dovesse esserci al termine della mostra, con due principali alternative: la vittoria di Obama alle elezioni presidenziali del 2008 o gli episodi più recenti di violenza della polizia ai danni di afroamericani e dei movimenti di protesta che da essi sono derivati. Hanno scelto la seconda, dando al museo una delle sue caratteristiche più distintive, cioè quella di non essere concluso.
Alla cerimonia di apertura sabato 24 settembre saranno presenti sia Barack e Michelle Obama – lui terrà il discorso inaugurale – che l’ex presidente George W. Bush con sua moglie Laura.