Come sta andando l’integrazione dei migranti in Germania
Non molto bene, anche se resta promettente: ci sono problemi di conoscenza della lingua, di competenze e di burocrazia
Dall’inizio della crisi dei migranti, la cancelliera della Germania Angela Merkel ha adottato una politica che è stata ribattezzata della “porta aperta”. In controtendenza con tutti gli altri leader europei, Merkel ha invitato i rifugiati siriani a raggiungere la Germania e fare richiesta di asilo, proprio mentre gran parte dei paesi che si trovano sulla rotta dei migranti cercavano invece di chiudere le loro frontiere. Nel 2015 la Germania ha accolto circa un milione di migranti, la cifra più alta d’Europa sia in termini relativi che assoluti, ed è tra i sei stati su ventotto dell’Unione Europea che si sono presi carico di quasi l’80 per cento delle richieste d’asilo presentate in tutta Europa (nel 2015 sono state in totale quasi 1 milione e 260 mila: l’Italia è al quinto posto). Questo flusso di profughi significa per la Germania anche un aumento di potenziali lavoratori e lavoratrici di cui il paese avrebbe bisogno per mantenere stabile, per esempio, il suo sistema pensionistico. La Germania ha poi una delle popolazioni mediamente più vecchie d’Europa e un tasso di natalità molto basso. L’integrazione dei migranti nel mondo del lavoro sarebbe dunque nell’interesse del paese, ma non sta funzionando bene e per diversi motivi.
La scorsa settimana la cancelliera Angela Merkel ha convocato a Berlino un vertice con i dirigenti di tutti i più importanti gruppi industriali tedeschi per discutere dell’integrazione dei profughi nel mercato del lavoro. L’iniziativa è stata chiamata “Wir zusammen” (Noi insieme) ed erano presenti rappresentanti di aziende come Siemens, Deutsche Bank e Lufthansa, tra gli altri. Merkel ha detto che dopo l’accoglienza, l’obiettivo principale e comune dovrà essere favorire l’inserimento dei profughi nel mercato del lavoro.
L’immigrazione selettiva della Germania
Fino al 2014, dunque prima della cosiddetta crisi dei migranti, i flussi migratori verso la Germania avevano due caratteristiche principali: erano “permanenti”, composti cioè da persone che si stabilivano lì dopo aver acquisito il diritto di soggiorno permanente, e erano “altamente qualificati”. I risultati dell’ultimo censimento fatto in Germania, che è del 2013, ha mostrato altre due tendenze: il paese ha un’età media molto alta ed è stato calcolato che entro il 2050 avrà tra i 12 e i 14 milioni di abitanti in meno di oggi. Inoltre il tasso di natalità tedesco è tra i più bassi del mondo. Un esperto tedesco di processi demografici, Rainer Klingholz, amministratore delegato dell’Istituto di Berlino per la Popolazione e lo Sviluppo, durante un’intervista al settimanale Der Spiegel aveva fatto notare già nel 2014 che nel 2030 le persone che andranno pensione saranno il doppio rispetto a quelle degli ultimi anni e che dunque le aziende tedesche non potranno sopravvivere senza immigrazione: «I tedeschi sanno che hanno bisogno di immigrati».
Oggi la Germania ha una delle legislazioni più permissive per l’immigrazione di lavoratori molto qualificati. Dal 2013, come nel resto d’Europa, è stata introdotta la “Blue Card”, legata a uno stipendio minimo e al titolo di istruzione. A questo il paese aveva affiancato, sempre dal 2013, un programma speciale rivolto ai giovani disoccupati europei tra i 18 e i 35 anni offrendo sussidi e formazione professionale. Sta finanziando corsi di lingua gratuiti, ha reso più semplice il riconoscimento dei titoli di studio e ha velocizzato le procedure per rilasciare i visti per motivi di lavoro. Tutto questo con un preciso obiettivo: facilitare l’immigrazione di lavoratori qualificati e di accademici, lasciando invece chiuso il mercato del lavoro per i lavoratori non qualificati.
Diversi osservatori dicono però che, visti i recenti cambiamenti dei flussi migratori, queste politiche di migrazione selettiva non sono più efficaci e stanno anzi frenando l’integrazione dei migranti nel mondo del lavoro, rischiando così di aumentare significativamente il numero dei disoccupati del paese. Queste politiche andrebbero dunque ripensate e andrebbero fatti importanti investimenti per ridurre la dipendenza dal welfare delle persone che la Germania ha scelto di accogliere e per portare il prima possibile il maggior numero di persone nel mondo del lavoro.
Qualche numero
In un articolo sull’integrazione dei migranti nel mondo del lavoro in Germania, il Wall Street Journal cita il caso di Continental AG, uno dei primi produttori mondiali di pneumatici e di altre parti per automobili con sede a Hannover. A un anno dall’avvio di un programma di stage per 50 lavoratori migranti, solo il 30 per cento dei posti è stato assegnato. Lo scorso anno Deutsche Post, il principale gruppo di poste tedesco, ha offerto 1.000 posti per uno stage indirizzato in modo specifico ai rifugiati, ma ha ricevuto solo 235 richieste di partecipazione. Lo stesso è accaduto in aziende più piccole. Anche il governo, comunque, non sta andando meglio: il ministero degli Interni della Germania ha detto che le agenzie federali hanno assunto 5 rifugiati come dipendenti e 12 come tirocinanti dall’inizio dello scorso anno.
Se la percentuale dei profughi attualmente occupati in Germania è aumentata rispetto a quella di un anno fa (25 mila occupati in più), non è comunque aumentata in modo proporzionale rispetto al numero degli arrivi, e risulta dunque decisamente sbilanciata.
Perché?
Questi dati si spiegano con la combinazione di diversi fattori: molte delle persone che vengono da posti come la Siria non parlano il tedesco e hanno poche qualifiche formali, anche perché spesso sono molto giovani. Si devono poi aggiungere una serie di ostacoli amministrativi e legali per l’impiego, e il fatto che molti migranti ritardino la ricerca di un lavoro fino al momento in cui la loro richiesta di asilo arriva a buon fine.
Le confederazioni dei datori di lavoro in Germania dicono che i rifugiati adulti dovrebbero essere mandati di nuovo a scuola: finora, però, solo i rifugiati le cui domande di asilo sono state accettate sono tenuti a frequentare dei corsi di lingua. Una possibile soluzione sarebbe invece estendere il regolamento ai migranti le cui prospettive di ricevere asilo sono alte, visto il paese da cui provengono.
C’è poi il problema delle competenze: i datori di lavoro tedeschi sono interessati principalmente al personale qualificato. Solo il 19 per cento di tutti i posti di lavoro vacanti sono adatti a lavoratori senza un’adeguata esperienza professionale e senza una particolare istruzione. Per circa il 65 per cento dei posti disponibili è richiesta invece una qualificazione di medio livello e per il 16 per cento una qualificazione ancora maggiore (una laurea, per esempio). Le leggi sul lavoro di molte regioni tedesche prevedono infine che i datori di lavoro con posti disponibili siano tenuti a cercare un candidato tedesco prima di assumere un migrante. Il paradosso è che uno dei principali motivi della disoccupazione interna del paese è che spesso non tutti i cittadini tedeschi sono disposti a cambiare regione per trovare un lavoro.
Alcune aziende non sono infine disposte a investire sulla formazione di lavoratori le cui prospettive di residenza a lungo termine sono incerte. Altre ancora hanno problemi più specifici: Lufthansa, per esempio, la principale compagnia aerea tedesca, ha detto che non aveva ancora pensato ad assumere dei profughi per problemi legati alla sicurezza. Un portavoce ha spiegato che i controlli dei precedenti penali dei rifugiati non sono facili, proprio per le circostanze con cui sono arrivati o per la loro condizione nei paesi di origine.