Tiziana Cantone e la “cultura della gogna”
Sul Foglio, Salvatore Merlo scrive che nel caso della donna di Napoli internet ha fatto da amplificatore a una tendenza che ormai troviamo ovunque
In un lungo articolo sul Foglio, il giornalista Salvatore Merlo scrive che internet non c’entra con la morte di Tiziana Cantone, la donna di 31 anni originaria di Napoli che lo scorso 13 settembre si è suicidata, apparentemente per le conseguenze della diffusione online di video privati che aveva girato durante rapporti sessuali con alcuni uomini. Secondo Merlo, il vero problema è la tendenza recente ad attaccare personalmente i propri avversari, sia quelli quotidiani sia quelli politici, legittimando gli insulti nei loro confronti. Solo in un secondo momento questa tendenza si trasferisce su internet, scrive Merlo: l’esempio migliore è che viene diffusa soprattutto su altri media “tradizionali” come giornali e tv. Dello stesso tema si è occupato anche il giornalista gallese Jon Ronson nel suo libro I giustizieri della rete (di cui qui trovate un estratto del secondo capitolo).
La gogna in Italia è una cultura. Uno stile. Un metodo. Un clima morale. Ieri hanno messo alla gogna la povera Tiziana Cantone, ma già oggi su internet impiccano per i piedi e mettono alla berlina un imbecille qualsiasi che l’aveva a sua volta messa alla gogna. Poi tutti, schiumando rabbia, chiedono che vengano fatti i nomi e pubblicate le foto (forse anche gli indirizzi per andarli a prendere sotto casa?) degli indagati dalla procura di Napoli, cioè i quattro uomini sospettati di aver diffuso le immagini di Tiziana, la ragazza che si è suicidata il 12 settembre perché non ha retto l’indecente e vigliacca marea di frizzi, lazzi e giudizi che le venivano scagliati addosso come pietre della lapidazione.
La ferocia di una gogna che trasforma una ragazza in un niente a disposizione di tutti Tiziana Cantone, la gogna mediatica e i produttori di fango che ora si indignano E c’è allora il serio giornalista radiofonico, solitamente mite, che getta la parola “merda” in faccia a qualcuno. E c’è il collega, che conosciamo per essere civile, che invece fa un elenco di persone, di testate giornalistiche: “Assassini”. E ancora: “Merde”. La gogna suona sempre come uno spasmo bilioso e come un ordine al plotone di esecuzione: “Sparate!”. Su Twitter, andate a controllare, c’è un tizio, un utente anonimo, che ha passato gli ultimi giorni a rispondere e ritwittare, dunque a esporre al pubblico, uno per uno, decine di altri utenti che nei mesi e negli anni passati avevano citato, deriso, insultato Tiziana. E improvvisamente è tutto un additare e mettere alla gogna chi ha messo alla gogna, o chi si crede – basta il sospetto – che abbia messo alla gogna.
E allora c’è la nota conduttrice televisiva di talent show, e giornalista di quotidiano e intrattenitrice radiofonica, che su Facebook prende un povero deficiente qualsiasi dal web, con nome e cognome, uno stupido come ce ne sono tanti, uno che scriveva cose disgustose sul conto di Tiziana, e lo espone al giudizio pubblico delle 930.373 persone che la seguono su internet. “Ti regalo un giorno da Tiziana Cantone”, gli scrive la giornalista, “sperimenta sulla tua pelle…”. Come dire: “Adesso ti faccio suicidare”. Un invito esplicito allo stalking, che più che un reato è una patologia. Un incitamento a molestare, che è un delitto punito dal codice ma anche un’ossessione che raccolta in rete produce in poco tempo reazioni intemerate di dileggio e persino di minaccia. Diciassettemila condivisioni, sessantatremila like, molti di giornalisti (uno addirittura del direttore di un importante giornale regionale), 8.844 commenti, più o meno di questo tono: “Io spero che questo pezzo di merda paghi molto caro”.
E si vede bene che la gogna ha un suo linguaggio, una sua grammatica. Si possono sommariamente contare 1.000 “culo”, 3.090 “merda”, 2.000 “ora sparati”, 1.125 “crepa”. E dunque una giovane donna propone: “Scriviamo ai suoi datori di lavoro, qui c’è l’indirizzo, devono cacciarlo”. E la conduttrice-giornalista: “Brava. Ma in massa proprio”. Così alla fine i commenti si accavallano, uno sull’altro, le persone cominciano ad additare a loro volta altri utenti, si fanno altri nomi, si pubblicano altre foto, si indicano altri colpevoli da mettere alla gogna: “Sei meno di una merda”. Il loro numero impressiona. E guardando i messaggi sembra di sentire cavalcare i tasti, come nella musica di Wagner, solo che quelle erano le valchirie e questi sono i giustizieri incappucciati.
“Non voglio vederlo penzolare! Perché sprecare un foulard per il collo di una merda così?”. E ancora: “Brava! Bisogna ripagarli con la stessa moneta”. A un certo punto un tizio apre una sub conversazione sul genere di gogna, di punizione più adatta, è un consulto: come lo puniamo? “A schiaffi”, dice uno. “No no aspettiamolo all’angolo di casa e picchiamolo”, risponde l’altro. “Beh dovrebbe impiccarsi anche lui con il foulard”, conclude un terzo. Poi qualcuno annuncia di avere già iniziato a tempestare i datori di lavoro del malcapitato imbecille, che alla fine si fanno vivi anche loro, davvero, e annunciano di averlo sospeso, l’imbecille. E che forse sarà anche licenziato.